Welfare
Bambini rubati o bambini salvati?
Stotie vere che ripropongono il problema dei molti bimbi sottratti alla famiglia e spediti in istituto.Le associazioni denunciano
Una bambina di nove anni, malata di leucemia, si cura con il metodo Di Bella per decisione dei genitori, che l?hanno vista deperire dopo la chemioterapia. Il tribunale per i minorenni lo viene a sapere e minaccia di togliere a padre e madre la patria potestà – che oggi si chiama potestà genitoriale – e far ritornare la bimba alle cure tradizionali. Accade a Padova in questo mese di maggio. A oggi, dopo che sono scoppiate le polemiche sulla stampa, si è decretata una perizia medica per accertare se la piccola è migliorata o no grazie alla terapia Di Bella. I genitori, per il momento, la possono tenere con sé. Facciamo un passo indietro: siamo a Milano, in febbraio. I piccoli Giuseppe e Laura (meno di dodici anni in due) vengono allontanati dai genitori con un analogo provvedimento di sospensione della potestà. I motivi? La madre, ventitreenne, è giudicata ?immatura?; il padre, poco più grande, ?ciclotimico?, cioè soggetto a sbalzi di umore. Entrambi, poi, osserva il tribunale senz?ombra di ironia, hanno un ?pensiero non evoluto, deficitario livello cognitivo, basso livello socio-culturale?. E si sa che persone così non possono essere bravi genitori. Spostiamoci a Napoli. La signora Annamaria Ferraro, per aver tenuto nascosta per 20 giorni la vera paternità di suo figlio, è stata condannata a tre anni e mezzo di reclusione e alla perdita della potestà genitoriale. Solo la grazia concessale la settimana scorsa del presidente Scalfaro le ha evitato la galera, permettendole di restare accanto al bambino.
Tribunali ladri di bambini?
Casi diversi e diverse famiglie, unite da un solo denominatore: il dramma di vedersi sottrarre i figli a causa di un intervento del tribunale dei minorenni, la revoca della potestà genitoriale. Una decisione grave, che spalanca davanti ai bambini le porte degli istituti, e prospetta loro un futuro non certo facile. E tutto ciò mentre da anni si dice che sarebbe ora di chiuderli, questi istituti, e il governo ha appena reso operativo – almeno nominalmente – quel piano Minori (legge 285) così fortemente voluto dal ministero della Solidarietà sociale.
Eppure, la cronaca fa emergere questi episodi, che sono verosimilmente solo una minima parte di quanto accade ogni giorno nei tribunali per i minori italiani. Che già in parecchi casi si sono guadagnati, a torto o a ragione, la fama di ?ladri di bambini?. Ma è possibile che un bambino venga allontanato dai genitori soltanto perché sono ?immaturi? o poveri, o hanno commesso irregolarità per l?anagrafe, o hanno scelto di affidarsi a un medico e non a un altro? «Il tribunale ha il potere di sostituirsi ai genitori, in base agli articoli 330 e 333 del codice civile, nel caso in cui non provvedendo al figlio gli rechino un danno, che per la legge si chiama pregiudizio», spiega l?avvocato milanese Ines Catarisano, da quarant?anni impegnata, anche volontariamente, a favore dei minori in difficoltà. «E proprio nello stabilire cosa è pregiudizio e cosa non lo è sta la difficoltà di emettere questi provvedimenti. Se per esempio un minore è picchiato sistematicamente da uno dei genitori, è tutto chiaro; ma chi può dire se alla piccola malata di Padova reca maggior pregiudizio la terapia Di Bella o la chemio?». Un compito difficile, quello dei giudici per i minori italiani. Sul loro lavoro sono costantemente puntati i riflettori della stampa, e anche le associazioni per la difesa dei diritti dei minori li marcano stretti. Ma senza preconcetti.
Un?ottima legge. Sulla carta
Dal Ciai (Centro Italiano per l?Adozione Internazionale), ad esempio, difendono il lavoro dei magistrati. «Macché ladri di bambini», dice una dei responsabili, Gabriella Merguici. «Prima di allontanare i figli molti giudici vanno con i piedi di piombo, stimolano i genitori a sanare le situazioni a rischio. Il problema è che non tutti sono così sensibili, ma soprattutto non si è entrati nell?ordine di idee di sostenere la famiglia di origine con contributi economici, perché possa migliorare le proprie condizioni. Si sospetta sempre che qualcuno se ne approfitti. Potrebbe accadere, è vero, ma di certo con i sussidi non ci si arricchisce». E allora perché non utilizzare di più questi strumenti previsti dalla legge, e che la 285 potenzia ancora di più, per evitare separazioni traumatiche? «Gli strumenti concreti, reali, a disposizione di giudici e operatori sono ancora pochi», dice Walter Martini dell?associazione Papa Giovanni XXIII, titolare di una casa-famiglia in cui vivono, oltre alla moglie e i due figli, sette ragazzi in affidamento. «Eppure la la legge sulle adozioni, stabilisce chiaramente che ogni bambino ha diritto a crescere con i suoi genitori naturali. In mancanza di mezzi per favorire ciò, dunque, c?è chi preferisce togliere il bambino dal suo contesto alla prima difficoltà». Via il bambino, via il dolore? «Sì, alcuni giudici la pensano così. Anche per scaricare eventuali responsabilità nel caso la situazione degeneri».
Assistenti sociali, non poliziotte
Un allarme raccolto anche dalle assistenti sociali, stufe di essere additate come una massa di streghe senza cuore pronte a strappare i bambini alle madri. «Noi non preleviamo nessun minore di nostra iniziativa, ma ci limitiamo a eseguire i provvedimenti del tribunale», sbotta la presidente dell?Ordine delle assistenti sociali, Paola Rossi. «E non possiamo rifiutarci, perché saremmo sanzionate penalmente. Anche quando non siamo d?accordo con quanto ha deciso il magistrato. Così ci prendiamo anche le colpe non nostre, perché non è detto che il giudice decida l?allontanamento sulla base della nostra relazione: può farlo – e spesso lo fa – in totale autonomia. È ora di finirla: noi non siamo agenti di polizia giudiziaria, vogliamo stare al fianco delle famiglie. Ma finché verremo utilizzate come poliziotte è chiaro che i genitori non si fideranno di noi. E chi ci andrà di mezzo, come al solito, saranno i bambini». Cosa chiedete dunque come categoria per migliorare la situazione? «Una vera riforma dell?assistenza che garantisca ai servizi sociali la parità con i tribunali. Vogliamo lavorare insieme ai magistrati nel definire un programma di recupero e tutela dei bambini e delle famiglie, e non venire scavalcate da provvedimenti di allontanamento che vanificano tutti i nsotri sforzi. Non siamo più disposte a pagare i conti dei giudici».
Il giudice: leggete gli atti
Il provvedimento che prevede la sottrazione o la sospensione della potestà genitoriale, è bene specificarlo, è da intendere e applicare nell?esclusivo interesse del minore. Si sottrae un figlio alla potestà dei genitori soltanto per salvaguardarne il benessere e la crescita. Quindi a mio parere si arriva, o si dovrebbe arrivare, a un tale provvedimento soltanto in presenza di motivi davvero gravi, e motivando ampiamente le ragioni per cui vi si ricorre. Per quanto ne so io, oggi accade effettivamente così, tanto più che negli ultimi anni abbiamo assistito a una maggiore giurisdizionalizzazione del tribunale per i minorenni, cioè si è intensificato il controllo da parte delle famiglie sul nostro operato tramite i loro legali. Certo, non posso escludere con certezza che ci siano oggi e ci siano stati in passato alcuni casi in cui la potestà genitoriale è stata tolta in modo improprio, perché errori se ne possono sempre fare, tanto più in questa delicata materia. Se, per esempio, la sospensione della potestà fosse determinata dal fatto che i genitori non hanno un livello socioculturale adeguato, sarebbe un errore. Il livello socioculturale dei genitori non c?entra in alcun modo di per sé, non deve mai entrare in discussione e non conta nulla, a meno che non raggiunga livelli tali da determinare un comportamento che sia oggettivamente di grave pregiudizio nei confronti dei minori. La solita storia trita e ritrita per cui i figli si tolgono ai poveri per darli ai ricchi, insomma, è una colossale falsità. Prima di liquidare frettolosamente un caso di sospensione della potestà come ingiusto, quindi, varrebbe la pena di leggere per intero la documentazione che accompagna il provvedimento. Si avrebbero, forse, delle sorprese.
presidente Tribunale per i minorenni di Milano
La volontaria: più aiuto
Troppo spesso nei provvedimenti sul disagio minorile si preferisce togliere il bambino alla famiglia piuttosto che sforzarsi di intervenire in modo serio per rimuovere i problemi che ne hanno determinato il malessere. Dimenticandosi così che se un bambino è sofferente dietro di lui c?è una famiglia sofferente. Quello che è ancora più grave, poi, è che anche quando il minore viene legittimamente allontanato dalla famiglia, per gravi motivi, e collocato in istituto, la famiglia stessa viene praticamente ?abbandonata? dai servizi sociali. Via il figlio, dei problemi dei genitori nessuno si cura. È così che si crea un circolo vizioso per cui l?allontanamento dalla famiglia e la sottrazione della potestà genitoriale sono l?anticamera di una catena di dolori senza fine, che porta il minore a essere istituzionalizzato a vita. Secondo me invece varrebbe la pena di considerare l?allontanamento dalla famiglia verso l?istituto come extrema ratio, da utilizzare soltanto quando le altre strade siano chiuse. Perché, per esempio, non si utilizza quasi mai il mezzo del sussidio economico alle famiglie di origine, che potrebbe risolvere molti problemi? Perché l?affidamento familiare è guardato ancora con sospetto? Se non si farà un passo in questa direzione, non ci sarà da stupirsi se ancora i figli verranno allontanati dai genitori per motivi socioculturali o di indigenza, perché questo capita purtroppo ancora, in troppi tribunali, in tutta Italia. Con risultati disastrosi anche per il rapporto di fiducia che dovrebbe legare famiglie e servizi sociali, e che in molti casi non esiste più. E come biasimare questi genitori, che – come ho potuto constatare personalmente – magari si rivolgono ai servizi per chiedere aiuto e per tutta risposta si vedono allontanare da casa i figli?
responsabile Coordinamento nazionale per la tutela dei diritti dei minori
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