Famiglia

Bambini c’è poca famiglia

accoglienza. L’talia dedica ai minori appena il 4,4% del Pil. Siamo al penultimo posto in Europa

di Redazione

Non è un Paese per giovani, l?Italia. Ancora meno se si è bambini e ragazzi in situazione di difficoltà. Nel welfare italiano le risorse vanno quasi tutte al sostegno della vecchiaia (pensioni, 68%) e alla cura della malattia (sanità, 24%), piuttosto che all?assistenza: ai servizi sociali viene destinato appena l?8% del budget socio-sanitario. Così poco che l?Italia si colloca al penultimo posto nell?Europa dei 15 per la percentuale di Pil destinata a bambini e famiglie (appena il 4,4%: peggio di noi fa solo la Spagna, con il 3,5%; primi della classe Lussemburgo, Irlanda e Danimarca, con percentuali dal 17 al 13%).

Sotto la piccola coperta dell?assistenza, nel nostro Paese si contano almeno 100mila minori (l?1% della popolazione 0-17 anni) a rischio povertà o emarginazione sociale. «Se la nostra è una società di vecchi e i bambini sono minoritari, dovrebbe essere più facile farcene carico. Invece, come li trattiamo?», si domanda Tiziano Vecchiato, direttore della Fondazione Zancan, che a fine marzo ha ospitato oltre 500 delegati da tutti i Paesi del mondo per un convegno internazionale dedicato proprio a questo tema.

Ciò che emerge dal confronto con il resto del mondo è che in Italia, quando si parla di minori, ci si affida alle stime. Non c?è un monitoraggio puntuale del numero di bambini sulla soglia della povertà, o di quelli che crescono in contesti di disagio o crisi familiare legati alle dipendenze o alle malattie psichiche dei genitori.

I numeri certi dei minori in affido familiare o in comunità risalgono al 2005, quando il Centro nazionale di documentazione e analisi per l?infanzia e l?adolescenza ha censito 2.226 servizi residenziali socio-assistenziali (comunità familiari, comunità educative e istituti in fase di chiusura) che accoglievano 11.543 bambini e adolescenti. A questo dato – sottostimato per l?assenza della Sicilia, in cui peraltro resistono ancor oggi nove orfanotrofi vecchio stile – andavano aggiunti altri 12.551 minori in affidamento familiare.Quanti siano oggi, che tipo di progetto educativo si sia fatto per loro, quanto tempo abbiano trascorso fuori dalla famiglia, purtroppo non si sa. «E già questo è indicativo di quanto lavoro ci sia ancora da fare», commenta Vecchiato. «Oggi in Italia sappiamo quanto poco spendiamo per i minori, ma non sempre sappiamo per cosa. Quasi mai conosciamo i risultati ottenuti. Bisogna ribaltare questa situazione, colmare il ritardo con gli altri Paesi e iniziare un monitoraggio non solo delle situazioni di rischio, ma anche dell?efficacia degli interventi messi in atto».

L?analisi della spesa statale e di quella locale dedicata ai minori è particolarmente interessante per comprendere la portata del problema. «L?assistenza sociale in Italia si eroga solo dopo aver accertato che c?è un determinato bisogno, solitamente accompagnato da una limitatezza o assenza di risorse economiche», spiega Maria Bezze, ricercatrice della Fondazione Zancan che ha curato un?analisi specifica sul tema. I principali erogatori dei servizi assistenziali sono sostanzialmente due: lo Stato e gli oltre 8mila Comuni. Lo Stato eroga assistenza solo sotto forma di trasferimenti economici (indennità di maternità, assegni per il nucleo familiare, assegni per il terzo figlio, ecc?). I Comuni invece erogano soprattutto servizi: ai bambini e alle famiglie viene destinato il 39% delle loro risorse, cioè circa due miliardi di euro. A questo importo vanno però sottratte le risorse destinate agli asilo nido, che non sono propriamente un servizio assistenziale ma educativo, e dunque si resta con 1,2 miliardi di euro. Abbiamo stimato che il 70% di questa spesa è destinato a bambini/ragazzi e a famiglie in grave difficoltà».

Una buona percentuale, su una base di stanziamenti comunque molto esigua. La media pro capite è di circa 90 euro a testa, con notevoli differenze territoriali, soprattutto tra Nord e Sud del Paese (minimo di 24 euro, massimo di 282). «Si tratta di risorse molto contenute e rispetto alle quali poco o nulla si sa se sono correlate al bisogno», specifica la Bezze.

Il riferimento in particolare è alla «voce strutture residenziali», un altro dei paradossi italiani. Sui due miliardi totali, le comunità di accoglienza, i gruppi appartamento, gli ex istituti e tutte le altre variegate forme di comunità per minori fiorite in Italia si prendono una fetta pari al 16,4%, cioè 328 milioni di euro. «La spesa per i servizi residenziali sta in rapporto di 10 a 1 rispetto a quella per i servizi domiciliari», specifica la Bezze. «La cosa sbalorditiva è che, per quanto costi di più, la soluzione residenziale è la preferita: ci sono molti più bambini inseriti in comunità rispetto a quelli che ricevono una risposta domiciliare. Anzi, devo dire che moltissimi Comuni sono più organizzati per fornire una risposta residenziale che un servizio domiciliare».

Uno scenario inquietante, in cui la prassi amministrativa diventa metodo d?intervento sociale, senza valutare se per i minori sia la miglior risposta possibile.>

Alcuni studi anglosassoni, presentati al convegno, rivelano come i bambini in assistenza residenziale hanno maggiori probabilità di avere disturbi mentali rispetto a quelli in affidamento o inseriti presso famiglie o amici (72% contro il 40% e il 32%). Sottolinea Vecchiato: «Sono dati che sottolineano l?importanza della prevenzione: gli Usa ci insegnano che per ogni dollaro investito in prevenzione lo Stato ne risparmia 2,58 in costi successivi». Avverte Maria Bezze: «Abbiamo visto come i trasferimenti economici non sono una misura sufficiente per contrastare la povertà delle famiglie. Ciò che fa la differenza è l?efficienza del servizio sociale. Per questo i servizi di un Comune devono lavorare insieme, con un coordinamento tra Asl, consultori, servizi affido, Sert».

«La povertà delle famiglie e dei bambini è stato il grande tema orfano di questa campagna elettorale», conclude Vecchiato. «Mi auguro che il nuovo governo e l?opposizione sappiano individuarne la criticità. Per questo settore non servono solo grandi interventi strutturali ma un vero potenziamento dei servizi a livello territoriale. Per evitare il semplice ?collocamento? di un minore in difficoltà è poi fondamentale che su di esso si faccia un progetto, con obiettivi da raggiungere e valutazione dei progressi realizzati. Solo così potremo dire che la nostra società di vecchi si è fatta carico dei bambini».


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