Immigrazione

Bambina salvata al largo di Lampedusa: guardate quegli occhi

Unica sopravvissuta al naufragio di una imbarcazione con 45 persone a bordo, partita da Sfax in Tunisia. La vita, e gli occhi, di quella bambina parlano. Che cosa dicano al mondo, lo abbiamo chiesto a Giorgia Linardi, portavoce di Sea Watch Italia

di Daria Capitani

Se guardate bene l’immagine della ragazzina di 11 anni salvata nella notte tra martedì e mercoledì al largo di Lampedusa, si vedono gli occhi. Hanno osservato per tre giorni la violenza di una tempesta che la ong Compass Collective descrive «molto intensa, con oltre 23 nodi e onde alte 2,5 metri», tanto da impedire «la fuoriuscita di numerose barche delle ong». Ha resistito aggrappata a due boe improvvisate con tubi pneumatici pieni d’aria e un giubbotto di salvataggio. «Solo per caso», si legge nella nota, «l’equipaggio aveva sentito le grida nell’oscurità alle 3,20 del mattino e aveva immediatamente avviato una manovra di salvataggio. A bordo della Trotamar III, l’equipaggio si è preso cura della ragazza e l’ha affidata al servizio di soccorso di Lampedusa alle 6 del mattino». È l’unica sopravvissuta al naufragio di una imbarcazione con 45 persone a bordo, partita da Sfax in Tunisia. La vita, e gli occhi, di quella bambina parlano. Che cosa dicano al mondo, lo abbiamo chiesto a Giorgia Linardi, portavoce di Sea Watch Italia.

«Io credo che questo sia un simbolo. Nemmeno a inscenarlo si potrebbe immaginare un monito più forte, potentissimo nella sua tragicità, come nel messaggio di speranza che porta», dice Linardi, che in queste ore si trova a Lampedusa. «Credo che sia un miracolo che questa bambina sia sopravvissuta. Non oso immaginare che cosa abbia vissuto. Le condizioni del mare in pieno inverno hanno raggiunto un picco record nell’ultimo fine settimana a Lampedusa, con raffiche di vento fino a 40 nodi. Faceva paura soltanto a guardarlo dal sicuro della terraferma. Il fatto che sia riuscita a vivere e che sia stata trovata per un’incredibile coincidenza, in un momento in cui pur passandole vicino la nave aveva scarsissime probabilità di sentire la sua voce, ci deve mettere in discussione come società civile». Secondo Linardi, questo è un simbolo che non va sprecato: «Ci racconta la tragicità della situazione nel Mediterraneo centrale, ma anche la speranza di riuscire a scuotere gli animi e la politica, affinché possa generare una riflessione urgente e necessaria rispetto a quanto sta accadendo nel Mediteraneo. È impossibile salvare tutti. Quello che è possibile fare, è cambiare radicalmente la direzione delle politiche in corso».

Quanto è diventato difficile oggi per organizzazioni come Sea Watch fare quello per cui sono nate, ovvero salvare le persone in mare? «Noi questa domanda non ce la siamo mai posta. Qualsiasi cosa succeda andiamo avanti, nei limiti degli spazi che ci restano. È di appena una settimana fa l’approvazione al Senato del decreto flussi, un dispositivo di legge che limita e ostacola la presenza società civile in mare sia in termini di soccorso e salvataggio di vite umane sia in termini di monitoraggio aereo che contribuisce in modo cruciale al soccorso di imbarcazioni in difficoltà».

Secondo il report di Fondazione Migrantes presentato a Roma alla Pontificia Università Gregoriana, la Libia è tornata ad essere il primo Paese costiero di partenza per la traversata del Mediterraneo centrale. «Spesso ci si dimentica che le condizioni del mare sono molto diverse da un lato all’altro del viaggio. Magari alla partenza sono tendenzialmente buone, e poi peggiorano drasticamente nel momento in cui le imbarcazioni sono in mare aperto. È una trappola». Il volume “Il diritto d’asilo. Report 2024. Popoli in cammino… senza diritto d’asilo” di Fondazione Migrantes indica che nel 2024, dopo quattro anni di crescita, è crollato il numero di rifugiati e migranti che hanno raggiunto il Paese dal Mediterraneo: fra gennaio e la metà di ottobre si contano 54mila sbarcati, il 61% in meno rispetto allo stesso periodo del 2023. «Il dato è frutto dell’efficacia delle politiche di respingimento. Quello che non si considera è che proporzionalmente le morti sono in aumento e che il successo delle politiche di respingimento non fa altro che aprire altre rotte».

La fotografia in apertura è della ong Compass Collective.

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