Cop29

Baku, seconda settimana di incognite sul clima

Traballano i negoziati Onu sul clima e un gruppo di veterani delle Cop chiede di passare a trattative più efficaci. A Roma e in molte città del mondo gli attivisti scendono in piazza. Negli Stati Uniti che hanno scelto Trump per la seconda volta, governatori, sindaci e società civile dicono che dalla transizione energetica non si torna indietro. La Cina si presenta come possibile, improbabile, leader. E l'Ue resta in silenzio

di Elisa Cozzarini

Inizia nell’incertezza la seconda settimana della Conferenza dell’Onu sul clima a Baku. Non ci sono stati passi avanti, finora, sulla finanza climatica, tema centrale di Cop29. I Paesi in via di sviluppo chiedono a quelli sviluppati almeno un trilione di dollari all’anno per la lotta al riscaldamento globale. La risposta dei Paesi ricchi è che a contribuire dovrebbero essere anche i privati e le economie emergenti, come la Cina e gli Stati del Golfo.

L’appello all’azione

Intanto, con una lettera aperta, alcuni dei maggiori esperti e protagonisti dei negoziati del clima, tra cui l’ex segretario dell’Onu Ban Ki-Moon e la ex responsabile delle Nazioni unite per il clima Christiana Figueres, affermano che serve un cambio di passo. Lo schema seguito finora dalle Cop va superato, verso un approccio più pragmatico e incontri più frequenti e operativi. «Riconosciamo l’importanza di ventotto anni di negoziati per il clima», scrivono gli esperti internazionali, riferendosi in particolare all’Accordo di Parigi e alla decisione di uscire dal fossile assunta alla Cop28. «Ma questa cornice non è più sufficiente ad affrontare i problemi». Gli esperti si riferiscono alle proiezioni scientifiche: le emissioni di gas serra dovrebbero essere ridotte ogni anno del 7,5% per contenere il riscaldamento globale a 1,5°C, obiettivo stabilito alla Cop15 di Parigi per il 2100. Oltre questo limite, il pianeta verrebbe destabilizzato tanto da mettere a repentaglio il sistema economico e sociale come lo conosciamo.

Orgoglio climatico

Sabato scorso, in occasione della giornata di azione internazionale per il clima a Cop29 e nel mondo, migliaia di persone sono scese in piazza anche a Roma, per il Climate pride, organizzato da Legambiente con decine di associazioni nazionali, tra cui Wwf e Greenpeace Italia, Extintion rebellion, Fridays for future, Arci, Cgil, unite per chiedere una giusta transizione ecologica. In corteo hanno sfilato persone mascherate da animali, con pale eoliche e pannelli solari in cartone a indicare la richiesta di puntare sulle energie pulite. L’obiettivo principale è lanciare un appello forte alla Cop29, chiedendo un’inversione di rotta nelle politiche ambientali globali. «Per archiviare le fonti fossili servono le rinnovabili», ha ricordato il presidente di Legambiente Stefano Ciafani.

Il corteo a Roma, foto di Legambiente Lombardia

Economy first

Donald Trump forse ha annunciato troppo presto l’uscita degli Usa dall’Accordo di Parigi. Governatori e organizzazioni della società civile statunitense, presenti anche a Baku, affermano di non avere alcuna intenzione di fare marcia indietro. Riuniti in tre coalizioni: The Us Climate Alliance (di cui fanno parte 24 governatori democratici e repubblicani, che rappresentano il 55% della popolazione e il 60% del Pil) America is all in e Climate Mayors, continueranno a lavorare per la transizione energetica e la lotta al cambiamento climatico. Persino Exxon chiede di non fermarsi.

«Dobbiamo costruire coalizioni trasversali e con il settore privato per sottolineare che la politica per il clima è una buona politica», ha affermato Justin M. Bibb, sindaco di Cleveland, Ohio, all’indomani della rielezione di Trump. Bibb presiede l’alleanza dei primi cittadini impegnati contro il riscaldamento globale: Climate Mayors, rete bipartisan che unisce circa 350 città, nata nel 2014. È presente in 46 Stati e coinvolge circa 60 milioni di americani.

«Non c’è dubbio che la futura amministrazione di Donald Trump voglia affossare gli accordi sul clima, in favore delle fonti fossili. Allo stesso tempo, mettendo assieme le economie della California, la quinta al mondo, di New York, la decima, con quelle dell’Illinois, del Massachussets, di Rhode Island e di altri Stati, abbiamo una forza molto forte, che può contrastare le decisioni di Trump», ha dichiarato il senatore Sheldon Whitehouse, di Rhode Island, in un incontro organizzato alla Cop29 da America is all in, la più grande coalizione per il clima negli Usa, formata da circa cinquemila enti, tra Stati, amministrazioni locali, nazioni di nativi americani, imprese, chiese e organizzazioni culturali, sanitarie e scolastiche.

Whitehouse ha ricordato che il cambiamento climatico, all’inizio solo «una questione scientifica, in un secondo momento è diventata politica, quando le persone si sono rese conto di ciò che stava accadendo. E ora siamo nella terza fase: gli impatti del clima sono così evidenti che sono diventati fatti economici». Solo quest’anno, i danni degli uragani sono costati 300 milioni di dollari, mentre sulle rinnovabili, dal 2022, ci sono stati 365 miliardi di investimenti, che hanno creato 354mila posti di lavoro. «Sono numeri che spaventano l’industria fossile e che rendono politicamente difficile fermare la transizione energetica».

Una leadership cinese?

E se fosse la Cina la sorpresa di Cop29? Degli oltre 65mila delegati da tutto il mondo presenti a Baku, 969 provengono dal Paese asiatico, il principale emettitore di gas serra al mondo. L’anno scorso a Dubai erano 1.296 (in generale, la Cop28 registrava circa 15mila presenze in più). Alle Cop precedenti, invece, in media la Cina inviava appena un centinaio di persone.

Il vicepresidente Ding Xuexiang ha annunciato misure concrete per contribuire all’adattamento e alla capacità di risposta alle emergenze sempre più frequenti a livello globale. La Cina svilupperà un sistema di cooperazione Sud-Sud per affrontare queste sfide, offrendo sostegno ad altri Paesi in via di sviluppo. In particolare, nei prossimi due anni lancerà tre satelliti in grado di prevedere possibili disastri in Asia, Africa e nel Pacifico, una piattaforma capace di integrare sistemi di monitoraggio, previsione e allarme in ambito meteorologico, idrologico, ambientale.

Secondo quanto riporta Carbon Brief in una newsletter speciale dedicata alla Cina a Cop29, gli investimenti cinesi nella transizione energetica ammonterebbero a 676 miliardi di dollari e l’esportazione di impianti eolici e fotovoltaici avrebbero contribuito a tagliare 810 milioni di tonnellate di CO₂ equivalenti. La Cina, ha detto il viceministro dell’Ambiente Zhao Yingmin sempre a Cop29,  «porta avanti lo sviluppo verde e a basse emissioni».

In apertura, preparazione per il Climate pride di Roma, foto di Legambiente

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