Sono le 5.30 del mattino, il profilo dei monti disegna l’orizzonte. Più giù, dai comignoli delle case addossate una a spalla all’altra, sale un filo di fumo che si disperde nell’aria gelida, luci fioche dalle finestre strette. Il silenzio domina la valle di Bagolino, estremità settentrionale della val Sabbia, provincia di Brescia, abbracciata dalle sue montagne che nel tempo hanno fermato e difeso il paese da pericolosi invasori in armi, e ora sembrano difenderlo dall’impeto prorompente del progresso, cullandolo nella ninna nanna della tradizione.
Lo scricchiolìo del ghiaccio sotto gli scarponi mi accompagna mentre salgo le scale di pietra. Dalle stressate viuzze rimbalza il richiamo della trombetta: è uno dei capi dei “balarì”. Percorre le strade suonando la sveglia sino a metà paese, gli fa eco l’altro capo dal lato opposto. Poco dopo “balarì”, “màscher”,” sonadùr” (ballerini, maschere, musicanti) e gente del paese in religioso silenzio si incamminano, per salire alla parrocchiale di San Giorgio che domina la borgata. I banchi della chiesa si riempiono in fretta. La messa prima apre, e in un qual modo redime il rito profano del carnevale di Bagolino.
Oggi niente scuola
Quando sale l’alba, lo scuolabus se ne ritorna vuoto: nessuno studente ci è salito da due giorni, da quando i personaggi che animano il carnevale, inginocchiati, hanno ricevuto la benedizione e dato inizio all’antico carnevale dei “Bagossi”. Comincia il lunedì mattino e coinvolge da sempre tutta la comunità.
Dopo poco, i viottoli si riempiono del frastuono del battere degli “sgalbér”, zoccoli chiusi e dalla suola chiodata, dei “mascher”: ragazzi e ragazze travestiti da vecchio e da vecchia battono, saltano, corrono, creando una colonna sonora rumorosa e suggestiva a cui fa seguito la “palpata” alle donne, gesto scherzoso, ma esplicito nella simbologia erotica. Quella dei “mascher” è una parodia del mondo agricolo povero e duro, legato alla natura, ai suoi cicli, che hanno segnato i secoli qui, ai piedi dei monti. Si racconta che in tempi passati si scendeva a valle a comperare il pane solo quando c’era un malato in casa; in paese non si panificava, quel lusso era riservato agli infermi; cibo unico era latte e polenta.
L’altra figura del carnevale, con vestiti di straordinaria bellezza, è quella dei “balarì”, accompagnati dalle musiche dei “sonadur”. Maschere-parodia degli antichi mercanti, nobili o signori che salivano dalla città in epoca medioevale: eleganti e composti come usciti da una festa a palazzo.
I “balarì” sono di un’eleganza meticolosa, vestono un abito nero con i pantaloni al ginocchio decorati da passamaneria colorata, uno scialle fluttuante variopinto sulle spalle, il cappello ricoperto da un minuzioso lavoro di raso rosso arricciato e ornato da oggetti preziosi; un velo nero nasconde la capigliatura, sul viso la maschera bianca con bautta nera, uguale per tutti, in una ricercatissima signorilità. Nasconde per due giorni l’identità di chi magari solo qualche ora prima era in stalla a mungere le vacche. “Balarì” e “sonadur” seguono un preciso rituale: appuntamento all’osteria del paese, dopo la messa, quando il sole ancora è nascosto dai monti, si beve un brodo caldo e si inizia il carnevale. Ballando davanti alle case dei parenti e delle fidanzate per rendere omaggio al prestito dell’oro che ogni “balarì” chiede per vestire il cappello ininterrottamente per due giorni.
Tutto sulla parola
Quassù a Bagolino non ci sono Arlecchini o Pulcinelle, nessuna fantasia veneziana alla ricerca di raso e velluto, pur in clima di festa. La goliardia del carnevale cede il passo all’aspetto rituale, con due figure diverse ma indissolubilmente legate fra loro: la classe borghese e il mondo rurale. Quando agli inizi degli anni 70 l’etnologo Italo Sordi salì a Bagolino, rimase sbalordito dalla ritualità dell’evento che quassù si trascina da secoli intatto e unico in Europa. Incominciò una campagna di studi su questo «monumento del folclore europeo», non senza difficoltà: i bagossi cacciarono più volte i “forester”, gli stranieri, le loro cineprese, i microfoni e l’invadente curiosità.
Scrive Italo Sordi nel saggio I riti di carnevale a Bagolino: «Il momento di massimo interesse del carnevale di Bagolino è dato dalle danze che vengono eseguite nelle vie del paese con assoluta fedeltà a una tradizione esclusivamente orale da un gruppo di suonatori e di ballerini in costume. Il complesso di queste musiche e di queste danze, di straordinaria bellezza, costituisce già di per sé un fenomeno unico in Italia e con pochi equivalenti in tutta Europa e fornisce un esempio impressionante del livello di complessità cui può giungere una civiltà musicale popolare». Nobiltà e miseria, eleganza e sberleffo, insieme a scongiurare l’inverno rigido e severo, a cacciare gli spiriti e la malasorte. Un’esplosione di gioia che è parodia di tristezza e miseria del faticoso vivere fra i monti.
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