Economia

Bad Bank, dove finiscono i principi etici delle banche

Il salvataggio del sistema finanziario durante gli anni peggiori della crisi economica, ha comunicato pochi giorni fa la Bce, è costato ai Paesi dell'Eurozona circa 800 miliardi di dollari, l'8% del Pil aggregato. Per questo, l’Unione europea ha adottato una direttiva denominata “Banking Recovery and Resolution”, con l’obiettivo di evitare che future crisi bancarie possano pesare nuovamente sulla comunità. Vediamo cosa comporta

di Monica Straniero

Gli eventi che hanno innescato la crisi finanziaria globale del 2008 uniti agli scandali e alle truffe recenti (subprime, Libor, Euribor, mercato delle valute) avrebbero dovuto imporre un cambiamento di mentalità all’interno delle istituzioni bancarie. Nonostante la nuova vigilanza europea abbia previsto per gli istituti di credito maggiori requisiti patrimoniali per evitare il ripetersi delle situazioni di debolezza, con conseguente ricorso ai fondi pubblici, le grandi banche, le cosiddette too big to fail, continuano a portare avanti comportamenti rischiosi e spregiudicati per perseguire un profitto realizzabile nel breve periodo. E se Bruxelles ha stabilito un tetto ai bonus dei top manager, potente fattore incentivante verso l’assunzione di rischi eccessivi, l’applicazione delle nuove regole si scontra con un sistema di incentivi spesso stabiliti da contratti privati che sfuggono a qualsiasi controllo. Le irrazionali prassi adottate dalla maggior parte degli intermediari bancari hanno evidenziato l’assoluta mancanza del concetto di responsabilità.

Per questo motivo, l’Unione europea ha adottato una direttiva denominata “Banking Recovery and Resolution”, con l’obiettivo di evitare che future crisi bancarie possano pesare nuovamente sulla comunità. Gli interventi pubblici a sostegno del sistema bancario messi in campo per evitare, almeno in teoria, danni al sistema finanziario e all’economia reale, hanno infatti comportato elevati oneri per i contribuenti e in molti casi compromesso l’equilibrio del bilancio pubblico. Il salvataggio del sistema finanziario durante gli anni peggiori della crisi economica, ha comunicato pochi giorni fa la Bce, è costato ai Paesi dell'Eurozona circa 800 miliardi di dollari, l'8% del Pil aggregato.

Seppur con mesi di ritardo, anche l’Italia con l’approvazione del decreto di recepimento della Direttiva, si è allineata al resto d’Europa. Tuttavia tra gli strumenti di intervento previsti dalla nuova normativa, il bail-in, salvataggio interno, è quello che sta facendo più discutere. In estrema sintesi la clausola stabilisce che in caso di crisi bancarie non ci saranno più salvataggi statali dall'esterno, le operazioni di bail out di cui si è tanto parlato in occasione della gestione del caso greco. Mentre la regola sarà coinvolgere per prima gli azionisti, poi i detentori di obbligazioni, che vedranno i loro crediti convertiti in azioni. E se questo non dovesse bastare per tenere a galla la banca, toccherà ai correntisi oltre la soglia dei 100 mila euro, ripianare le perdite prima di un intervento dell’apposito Fondo di risoluzione e, in ultima istanza, dello Stato.

Nonostante dubbi e perplessità intorno ad un meccanismo di gestione delle crisi bancarie che a parere di molti rischia di penalizzare i risparmiatori e rafforzare la discrezionalità e la temerarietà del management, il bail-in intende spezzare il circolo vizioso tra banche e debito sovrano. Tuttavia si dovrà attendere la prima applicazione della norma per valutare l’effettivo impatto dello strumento sui creditori, chiamati, tra l’altro, a vigilare sul buon funzionamento della banca e prevenire situazioni di azzardo morale.

E se il bail-in si può rivelare impopolare in un sistema bancario come quello italiano dove tutto si gioca sulla fiducia tra clienti e banchieri, si tenta allora la strada della bad bank che presuppone la creazione di una società a partecipazione statale o privata per liberare le banche italiane di quasi 200 miliardi di sofferenze che impediscono alle stesse di erogare prestiti a famiglie e imprese. A volerla ad ogni costo è il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, secondo il quale la bad bank ha costituito un intervento realizzato a più riprese dai paesi colpiti da crisi globali perché introduce maggiore trasparenza nelle modalità di conduzione del risk management nel contesto di una banca con diversi problemi. Una soluzione che non convince la Commissione Europea poiché la presenza delle garanzie statali si pone in contrasto con la normativa europea sugli aiuti di stato, e tantomeno i contribuenti che vedono nella bad bank il tentativo delle banche di far pesare ancora una vota sulla comunità le conseguenze della propria cattiva gestione.

Nel frattempo, dov’è finita la liquidità che attraverso il quantitative easing di Mario Draghi ha inondato le banche italiane e che avrebbe dovuto in teoria consentire proprio la ripresa della classica attività di erogazione del credito?

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