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Baby gang e minori che delinquono: i numeri calano, ma l’allarme cresce

Il report "Criminalità minorile e gang giovanili” realizzato dalla polizia criminale registra un -4,15% dei reati a carico di 14-17enni. E le baby gang, che si conquistano continuamente titoli di cronaca, sono composte per lo più da italiani. Perché allora la narrazione va in tutt'altra direzione? In dialogo con Silvio Masin di Fondazione Opera don Calabria, esperto di giustizia riparativa con i minori

di Rossana Certini

Di cosa avrebbero bisogno oggi i ragazzi? Di spazi di ascolto. Questa volta a dirlo non sono le associazioni, il mondo della scuola o dello sport ma il dipartimento della pubblica sicurezza della Polizia criminale. Lo fa nel report Criminalità minorile e gang giovanili, che raccoglie i dati sulle segnalazioni di minori di età compresa tra i 14 e i 17 anni denunciati o arrestati sul territorio nazionale tra il 2010 e il 2023.

Il documento mette nero su bianco un primo, importante dato: un punto fermo da tenere a mente all’interno di una narrazione spesso allarmistica. In Italia nell’ultimo anno le segnalazioni totali di minori, denunciati o arrestati sono calate: segnano in fatti un -4,15%. L’altro aspetto è che il report insiste sulla necessità di educare i ragazzi alla legalità attraverso un approccio mirato, che coinvolga tutti gli attori – forze di polizia, istituzioni, famiglia, scuola, comunità locali – che possono incidere nella riduzione della vulnerabilità e del disagio dei giovani, cercando di porre le esigenze dei ragazzi, le loro aspettative e le loro scelte al centro di specifiche progettualità.

«Che siano le forze dell’ordine a ricordarci che come adulti abbiamo il dovere di occuparci dei giovani descrive bene la situazione di deresponsabilizzazione collettiva che stiamo vivendo nei confronti degli adolescenti», spiega Silvio Masin, responsabile tecnico dell’area sociale e formativa minori di Verona e Mantova della Fondazione opera don Calabria, che gestisce in Italia attività residenziali, diurne e programmi di intervento per l’accoglienza, il recupero e l’educazione di detenuti, minori, persone con disabilità e immigrati. «Gli aspetti critici sono due», prosegue Masin, «da un lato gli adulti si deresponsabilizzano per paura delle conseguenze del loro legittimarsi come educatori. Questo accade, per esempio, a scuola dove i docenti per paura di denunce da parte dei genitori non prendono più posizioni nei confronti degli studenti. Dall’altro lato siamo adulti incapaci di lavorare insieme per la crescita dei nostri ragazzi. Ogni istituzione e ogni realtà educativa segue un suo percorso autonomo».

La solitudine dei ragazzi

La conseguenza diretta di questa frammentazione è la solitudine dei ragazzi. «Sono ragazzi fragili che noi adulti non mettiamo nella condizione di valorizzarsi per quello che sono», spiega Masin. «In una società dell’immagine, quale è la nostra, i ragazzi rincorrono l’abbigliamento firmato, il cellulare di ultima generazione e quando non possono permetterselo ricorrono a piccoli reati come il furto o la rapina che servono a poter arrivare a comprare quegli oggetti che li rendono, a loro modo di vedere, importanti socialmente. Il loro obiettivo è avere un numero di visualizzazioni alto per poter dire: “esisto, sono importante”. Purtroppo non ci sono dietro adulti che li riportano ai valori fondamentali della vita».

I dati delle forze dell’ordine mostrano che tra il 2022 e il 2023 si è avuto un incremento dell’1,96% delle segnalazioni di minori per lesioni personali. Sono diminuite, invece, quelle per minaccia, rissa e percosse, rispettivamente segnando un -10,89%, -16,41% e -16,52%.

In aumento i reati per violenza sessuale

Leggendo il report sulla criminalità minorile colpisce però che negli ultimi due anni si è registrato un incremento dell’8,25% dei reati per violenza sessuale. Nello stesso periodo la prevalenza di segnalazioni di minori stranieri si accentua rispetto all’andamento generale.

«Quello dei reati per violenza sessuale è un fenomeno sicuramente preoccupante che è oggetto di studio da parte degli esperti», spiega Masin. «A innescare questo aumento è stato l’isolamento imposto durante la pandemia, che ha accentuato l’incapacità di questi giovani adulti di ripristinare relazioni sociali. È una cascata lineare che parte dal non saper creare legami, provoca l’allontanamento e poi i conflitti che portano ai reati. Invece, il lieve incremento di segnalazioni a carico di minori stranieri posso ipotizzare sia dovuto al fatto che nel 2023 è stato molto alto il numero di minori non accompagnati arrivati nel nostro paese. Qui andrebbe aperta una parentesi sul sistema di accoglienza di questi ragazzi, che non è adeguato ai loro bisogni e li rende vulnerabili sia alle attenzioni della criminalità organizzata sia alla possibilità di commettere reati per sopravvivere».

Il lieve incremento di segnalazioni a carico di minori stranieri può essere dovuto al fatto che nel 2023 è stato molto alto il numero di Msna. L’accoglienza di questi ragazzi non è adeguata ai loro bisogni e li rende vulnerabili sia alle attenzioni della criminalità organizzata sia alla possibilità di commettere reati per sopravvivere

Silvio Masin, Opera don Calabria

Le gang giovanili, l’emergenza che non c’è

Dal bisogno di emulazione, per sentirsi parte del gruppo, nasce il fenomeno delle gang giovanili che – nonostante il gran parlare che se ne fa nelle cronache locali – nell’ultimo biennio non hanno visto un sostanziale incremento. I reati più frequenti commessi da questi gruppi di giovani sono quelli violenti, gli atti di vandalismo, il disturbo della quiete pubblica e gli atti di bullismo. Le baby gang sono composte da meno di dieci ragazzi, in prevalenza maschi e con un’età compresa fra i 15 e i 17 anni. Nella maggior parte dei casi i membri sono italiani.

Il condizionamento sociale della narrazione

«È importante osservare mentre i dati raccontano di un decremento dei crimini minorili, il percepito collettivo va in direzione contraria», sottolinea Masin. «Per capire perché questo accade è importante fare una riflessione sul fatto che a parlare sono le nostre paure, dettate dalla non conoscenza dei fenomeni. È la lettura sociale a condizionarci. Se io conosco una cosa e mi fa paura, ci sto lontano. Ma se non la conosco, come posso averne paura e di conseguenza avere una reazione? Questo aumento della paura è dettato dagli adulti e da un approccio culturale all’idea che l’ “altro” è per definizione pericoloso».

L’auspicio di Silvio Masin è che «il privato sociale si assuma il compito di fare da ponte tra enti e istituzioni, per porsi come motore del cambiamento. Questo è il “fare sociale” oggi: ripristinare connessioni di rete ma anche realizzarne di nuove per costruire ora il futuro dei ragazzi».

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