Famiglia

Azzardo, un barista a cui piace fare cassa

di Simone Feder

Questa è una voce diversa dalle solite, la voce di chi ha fatto una scelta differente da quelle di cui solitamente parliamo.
È la voce di un barista che ha trasformato il suo bar in una sala slot, che ci racconta la sua esperienza e ci svela alcuni retroscena di questo azzardo.

«Io posso farlo perché, oltre a quella da bar, ho anche la licenza da “sala giochi”, che ai tempi voleva dire flipper, biliardini, videogame. Oggi è ancora chiamata così, perché è più bello eticamente, ma vuol dire “sala da gioco”

Ciò dimostra quanto sia lieve il confine tra la parola “gioco” e la parola “azzardo”. Quanto possa confondere le idee e spingere la povera gente a scommettere, con la convinzione che si tratti di un hobby, di un passatempo innocuo…

«Prima avevo solo due slot in vista nel bar, poi ne ho messe quattro, poi sono passato a sei, poi le ho portate nella sala “nascosta” e ne ho messe otto… prima avevo un cambiamonete che erogava pezzi da un euro, ora l'ho sostituito con un altro che eroga solo pezzi da due euro.»

Cosa significa?

«Se metti un euro e ne vinci dieci, scarichi giocando un euro. Se ti faccio cambiare in pezzi da due euro e hai messo il doppio, giochi per forza il doppio. I due euro che inserisci sei obbligato a giocarli. Questo ti permette una combinazione che ti dà più punti di energia, così li chiamano. Non euro ma “punti energia”. Così hai più voglia di ri-giocare e non scaricare.»

Un meccanismo che incoraggia a continuare, insomma, in modo compulsivo. Un meccanismo alimentato anche da una serie di accordi interni, così come mi ha spiegato il barista:

«Nessun esercizio compra le macchinette, perché vengono noleggiate da chi si occupa di tutto ciò. Quanto si guadagna dipende dagli accordi che si prendono con chi fa il contratto. Per legge ogni macchina deve erogare almeno il 70% di quello che entra. È tutto collegato con delle antenne e registrato all’AAMS. Se ci sono dei guasti, le slot automaticamente si spengono. Lo stato preleva intorno al 18,5% di ciò che viene inserito, indipendentemente da quello che viene pagato. Nella maggior parte dei casi ciò che rimane è diviso tra concessionaria e gestore del locale secondo gli accordi che si prendono con il contratto. Io ho stabilito di prendere il 6%

Quando ho chiesto al barista di definire il suo incasso, mi ha raccontato che in quelle 8 slot machine, presenti nel suo locale, la gente butta via annualmente 2.5 milioni di euro e che il suo guadagno effettivo è di 9.000€ ogni mese, che corrisponde a 108.000€ ogni anno … cioè 40€ ogni giorno per ogni slot. Inoltre, la ristrutturazione ad hoc della sala, con annesso impianto di areazione, è a spese del concessionario che porta le slot…

Non penso ci sia bisogno di aggiungere altro. Anzi, ecco un’ultima precisazione:

«E poi c’è quello che chiamano “maggior corrispettivo di vostra spettanza”, nel mio caso è stato di diverse decine di migliaia di € che mi sono stati offerti e dati al momento della stipula del contratto. »

Mi chiedo, a questo punto: cosa muove chi? Quali sono, e di chi, i veri interessi dietro a tutto questo? Quale valore dare alle parole quando una sala giochi diventa sala da gioco, quando gli euro diventano punti energia, quando un corrispettivo diventa… una tangente?

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