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Azzardo: sinistra, se ci sei batti un colpo

Nella scorsa legislatura senatori e deputati PD firmavano appelli e presentavano proposte di legge. Oggi, al presenzialismo è succeduto il silenzio. Eppure la lotta all'azzardo è un tema trasversale. Lo aveva capito il primo Matteo Renzi che ne aveva fatto un suo cavallo di battaglia, incontrando però ostacoli nel suo stesso partito. Forse è ora che la sinistra si esponga su un tema che i cittadini ritengono cruciale per il loro benessere e per la salute di tutti

di Marco Dotti

«Sono un uomo di sinistra». Esordisce così Roberto Speranza (Liberi e Uguali) nell'articolo, pubblicato dall'Huffington Post. Un articolo con un titolo impegnativo e importante: "intransigenti con Salvini , dialoganti sul decreto dignità". E se questa fosse una chiave? Essere di sinistra, certo. Ma non limitarsi alle petizioni di principio, passando, piuttosto, dalle parole ai fatti. Anche nella critica.

E se fosse proprio il contrasto alle diseconomie dell'azzardo la chiave per tornare a dialogare con quel Paese che, sempre più, non si sente rappresentato da statistiche, numeri, cifre, ma da una realtà minuta che dice spesso il contrario?

Nella scorsa legislatura sul contrasto alla pubblicità dell'azzardo ci provò da sinistra, concretamente e non da parolaio, Lorenzo Basso (PD), poi gentilmente messo alla porta, ovvero ricandidato ma in posizione di non rieleggibilità. Da persona a modo, Basso non ha fatto polemica. Dal centro di orientamento cristiano, ci provò il coriaceo bresciano Mario Sberna, che per sua scelta non si è ripresentato. Tralasciamo, ovviamente, i pronunciamenti-spot, più dannosi che inutili.

Di certo ci provò anche Matteo Renzi. Sì, proprio lui. Forse non piacerà a molti, ma così stanno i fatti. Il primo Renzi, segretario non ancora premier, che da sindaco si era confrontato rasoterra problema, si oppose alla "porcata 2.0", ovvero al tentativo di inserire una norma salva slot nel cd "Decreto Salva Roma". Che fossero stati proprio senatori del PD ad avallare quella norma è cosa nota e consegnata agli atti delle sedute e delle commissioni parlamentari.

Quella mossa diede a Renzi, oramai passato nella stanza dei bottoni, la convinzione che il problema fosse davvero tale e non l'ennesima occasione per trarne consenso. Poi le cose andarono come andarono, tra continui sabotaggi interni, mediazioni estenuanti spacciate per dialogo con le solite forze sociali (forti sì, ma senza sociale alle spalle), bozze di riforma apparse, scomparse, riapparse e nottetempo modificate nella sostanza a favore dei soliti noti. Due provvedimenti che avrebbero potuto cambiare volto alla questione e dare vera forza alla lotta all'azzardo di massa (la delega fiscale e la bozza di riforma da approvare in accordo con regioni e enti locali) vennero sabotati per sfinimento. Alla fine, si sfinì anche il Premier. Fino a che tutto è naufragato nel ridicolo e il PD ha pagato il conto elettorale che conosciamo.

Oggi, però, con il Decreto Dignità la questione viene ripresentata con una franchezza sconosciuta all'ultimo governo (e all'ultima fase del penultimo). Con la questione, si ripresenta anche l'occasione, stavolta da non tradire: essere franchi e conseguenti alle parole. I funzionari (per ora) hanno ceduto, capendo che le intenzioni di chi ha promosso il decreto sono serie. Ma occorre vigilare. Ecco perché per quel poco di buono che gira nell'aria c'è bisogno del contributo (critico, duro se serve) di tutti.

Perché su questo punto, un punto caratterizzante ogni azione sociale che voglia davvero riternersi tale, la sinistra non può permettersi il silenzio. Un silenzio, per fortuna, rotto oggi dall'intervento di Roberto Speranza. Poco? Tanto? È già qualcosa.

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