Dipendenze
Azzardo, qui Roma: «Raddoppiate le richieste di aiuto alla nostra coop»
La difficoltà più grande per le persone dipendenti dal gioco d'azzardo è "ammettere di avere una difficoltà. Spaziano dal giovane all'anziano, dalla casalinga all'uomo impegnato. L'età si è abbassata, molte persone che si rivolgono a noi hanno tra i 15 e i 24 anni". A parlare è Germana Cesarano, psicologa psicoterapeuta, che si occupa di dipendenza dal gioco d'azzardo nella cooperativa Magliana '80 di Roma

«Seguiamo più di un centinaio di persone, da quando abbiamo iniziato a fare gruppi di mutuo-aiuto per le dipendenze dal gioco d’azzardo. Le richieste sono raddoppiate, dall’inizio del 2025. Se fino allo scorso anno, ogni mese, iniziavamo a seguire quattro-cinque persone ora ne arrivano, in media, otto», dice Germana Cesarano, psicologa psicoterapeuta, collabora con l’équipe che si occupa di dipendenza dal gioco d’azzardo di Magliana ’80, cooperativa sociale di Roma «di cui sono l’anima storica».
Cesarano, chi viene a chiedere informazioni e sostegno perché dipendente dal gioco d’azzardo?
Spaziano dal giovane all’anziano, dalla casalinga all’uomo impegnato. Ci sono persone che hanno smesso di venire perché ne sono uscite e altre che da molti anni continuano a frequentarci. L’età si è abbassata, molte persone che si rivolgono a noi hanno tra i 15 e i 24 anni. Ci vuole continuità, nella lotta al gioco d’azzardo: sto seguendo una persona con colloqui individuali da tre anni. E ci sono tante ricadute: sono otto anni che seguo una persona, che ogni due anni torna perché ha una brutta ricaduta.
Una donna da sei anni continua a venire, anche se non ne ha più bisogno: era una casalinga depressa e infelice e ora, come volontaria, viene a dare il suo supporto. Quando ci sono dei finanziamenti, viene inserita nell’equipe di “pari”. La sua è una testimonianza molto forte perché riesce a far capire alle persone che non si devono vergognare ad avere questo problema.
Qual è il momento più difficile per una persona dipendente dal gioco d’azzardo?
La difficoltà più grande è ammettere di avere una difficoltà. Inizia a diventare bugiarda e lo nasconde fino all’inverosimile.
Lo nasconde anche a se stessa?
Sì. Poi c’è tutto un meccanismo per cui la macchinetta, il “gratta e vinci”, la scommessa online diventano come degli esseri umani a cui si rivolgono. Per cui le persone dicono: «Mi devi restituire i soldi che io ho investito su di te». Una persona che seguo, che giocava alle macchinette, mi racconta che, a volte ha speso tanti soldi quando sentiva il gettone infilato nella macchinetta che rimbalzava, perché pensava: «La macchinetta è piena se il gettone rimbalza, quindi mi deve ridare i soldi». C’è una sorta di animismo. Per cui la macchinetta ha un’anima e pensano che debba rispondere. Le persone si dicono che non può andare sempre male, ci sono dei meccanismi psicologici per cui si giustificano. Spesso, per rifarsi dei soldi persi, rigiocano la stessa cifra ed entrano in una spirale senza uscita.
Le persone si vergognano a dire che hanno un problema con il gioco, tendono a sottostimarlo, a chiedere aiuto solo quando il conto in rosso è diventato troppo grande
Il nuovo Fondo per le dipendenze patologiche, istituto con la legge di Bilancio 2025, prevede uno stanziamento complessivo di 94 milioni di euro annui, di cui il 34,25% sarà destinato alla realizzazione di piani regionali sul gioco d’azzardo patologico.
Vedremo cosa succederà, con i fondi che verranno riattribuiti alle regioni. Fino allo scorso autunno, avevamo delle risorse che servivano a fare attività di prevenzione sul territorio, di sensibilizzazione, attraverso un programma promosso dalla regione Lazio e coordinato dall’Azienda pubblica di servizi alla persona “Asilo Savoia”, che ha espresso la volontà di proseguire, ma i fondi non sono ancora arrivati. Abbiamo dovuto tagliare sulla prevenzione, l’aggancio precoce delle persone.
Abbiamo mantenuto gli incontri dei gruppi di mutuo-aiuto. È importante far capire che c’è la possibilità di uscire dal gioco d’azzardo, che non si è soli. Questi fondi speriamo siano rifinanziati, c’è stata una verifica dei progetti, i gruppi erano partiti, le prevenzioni erano state fatte. È un problema quando si avviano iniziative e progetti sperimentali e vengono interrotti. Se funzionano, andrebbero rifinanziate subito. Si creano aspettative negli utenti, che poi si trovano abbandonati. Laddove c’è il volontariato che insiste, abbiamo una soluzione. Ma laddove poi il volontariato manca… Il gioco d’azzardo è un problema sommerso.
Ci spieghi meglio.
Le persone si vergognano a dire che hanno un problema con il gioco, tendono a sottostimarlo, a chiedere aiuto solo quando il conto in rosso è diventato troppo grande. «In fondo è un “gratta e vinci”». «Chi non gioca al lotto?». «Sono stati vinti 88 milioni con tre euro, adesso gioco pure io». Queste sono le frasi che le persone dicono. La giocata da tre euro non è un problema, lo è quando iniziano a giocarsi lo stipendio. In autogrill, a volte, alla cassa viene chiesto: «Vuole il resto in “gratta e vinci”?». C’è una sorta di istigazione al gioco, sommersa. Da parte delle persone c’è una sottovalutazione, iniziano a chiedere aiuto quando si rendono conto che hanno contratto troppi debiti. Quando la situazione è diventata ingestibile, non quando c’è un riconoscimento.
Le persone non capiscono di avere un problema dopo essere state tre ore attaccate alle slot o al cellulare per giocare le scommesse online, non pensano: «Forse non ho vissuto». Quando arrivano a chiedere un anticipo di stipendio, ad avere tre finanziarie, allora si pongono il problema. C’è bisogno di una sensibilizzazione, di una campagna contro le pubblicità ingannevoli. La possibilità che si possano sponsorizzare le società di scommesse è un rischio, perché si normalizzerebbe il gioco d’azzardo (è stata approvata una risoluzione in Senato sul ritorno di loghi e slogan delle società di scommesse sulle maglie dei calciatori e negli stadi. Il Parlamento non ha annullato il divieto in questione, per ora, ma promette di farlo nell’ambito della riforma del settore calcistico, ndr).
Come avete iniziato ad occuparvi di dipendenza dal gioco d’azzardo?
Abbiamo iniziato in maniera sperimentale, perché ci siamo resi conto che c’era un problema e abbiamo deciso di investire delle energie per capire se eravamo in grado di fare qualcosa e se la nostra proposta aveva un senso. L’abbiamo messa un po’ a punto, abbiamo fatto formazione interna, abbiamo chiesto supervisioni. Siamo riusciti a mettere in piedi un progetto con il quale possiamo partecipare ai bandi.
L’età si è abbassata, molte persone che si rivolgono a noi hanno tra i 15 e i 24 anni
Di cosa si occupa Magliana ’80?
Oltre che delle persone con dipendenze del gioco d’azzardo, ci occupiamo di seguire tossicodipendenti, prostitute, vittime di tratta, immigrati. All’inizio ci occupavamo di tossicodipendenza. Siamo nati occupando una sede in una delle zone in cui c’era la più grossa piazza di spaccio negli anni ’80, quando non esisteva Tor Bella Monaca, non c’era come quartiere. Magliana era la più grossa piazza di spaccio. C’erano delle altre cooperative, abbiamo iniziato a fare distribuzione di morfina per agganciare i tossicodipendenti. Non c’erano i servizi per le tossicodipendenze. Eravamo prevalentemente psicologi, iniziammo a fare attività di prevenzione, sostegno, orientamento. Nell’84 il Lazio istituì gli enti ausiliari, quindi noi diventammo un ente riconosciuto dalla regione.
Con l’avvento dell’Aids, iniziammo ad andare verso chi aveva bisogno, a fare contatto e diventammo unità di strada. Oltre a questo, aprimmo un’unità diurna, dei centri a bassa soglia, per un lungo periodo abbiamo avuto un’accoglienza notturna per le emergenze. Lo stesso modello lo applicammo anche alle persone di sesso promiscuo e siamo diventati esperti ad entrare in contatto con le vittime di tratta, che seguiamo con unità di strada, casa di fuga, inserimento lavorativo. Inoltre, offriamo alle persone disagiate forme di terapie sociali: a persone che hanno bisogno di andare in psicoterapia ma non hanno le possibilità economiche. Abbiamo una buona alleanza con la rete del territorio.
Foto di apertura di SLNC su Unsplash
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.