Non profit
Azzardo di Stato: sul “Governo del cambiamento” pesa l’ombra lunga della “bozza” Baretta
Nei cinque articoli previsti sull’azzardo dall’ultima bozza del “Decretone” il Governo tenta di dare una stretta al fenomeno. Ma le norme vanno lette in "combinato disposto": così scopriamo che per contrastare la raccolta illegale il coordinamento di un "piano straordinario" di emersione del nero viene assegnato all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, ovvero all’Ente di scopo cui è affidato di promuovere l’azzardo di massa
Date a un uomo una maschera e vi dirà la verità. Parafrasando Oscar Wilde, ogni qual volta nel nostro Paese si tenti di regolamentare il mercato dell’azzardo la “bozza Baretta” (neppure l’Intesa che venne poi raggiunta in Conferenza Unificata il 7 settembre 2017, seppur mai tradotta in Decreto, ma addirittura i suoi prodromi), funge da maschera.
Nei cinque articoli previsti sull’azzardo (dal 28 al 32) dall’ultima bozza del “Decretone” il Governo tenta di dare una stretta al fenomeno – precipuamente, nell’ultimo articolo: alla raccolta illegale – con contromisure che vanno, nello specifico, dalla pena pecuniaria della multa, che oscillerà tra i 20 e i 50 mila euro, cui si aggiungerà la pena detentiva della reclusione, dai 3 ai 6 anni di carcere.
Il combinato disposto dovrebbe contrastare la raccolta illegale, eppure ciò che sconcerta è il coordinamento, assegnato proprio all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, di “un piano straordinario” per l’emersione delle illegalità. Proprio all’Agenzia, ovvero all’Ente di scopo cui è affidato di promuovere l’azzardo di massa, è consegnato un delicatissimo potere di indirizzo sulla Guardia di finanza e sulle altre Forze di polizia.
Mischiare funzioni e interessi
Un piano straordinario rievoca le deroghe in cui si versa all’indomani dei terremoti e di altre calamità naturali, il fatto che qui si pianifichi un intervento di tal fatta, creando confusioni e commistioni di funzioni e di interessi, è grave. Difatti, riprende uno dei temi cardine della “bozza” del 20 marzo 2015 (contenuto nell’articolo 67) che persino i suoi stessi estensori ritennero di espungere dall’Intesa, almeno nei caratteri proditori con cui era stata posta, dunque non si spiega come mai, periodicamente, assurgano – la “bozza” del 2015 e l’Intesa del 7 settembre 2017 – al grado di precedente giuridico.
A questo punto sarebbe legittimo chiedersi: a quando la reviviscenza delle gaming hall senza limiti di distanza dai luoghi sensibili e di tutti quegli altri aspetti controversi che contribuirono, all’epoca, a fare naufragare l’ambizioso progetto dell’allora Sottosegretario al MEF Pier Paolo Baretta di regolamentare su base nazionale l’offerta di azzardo?
Che si tratti di una manina o di non essere attrezzati a far fronte a una questione tanto complessa, sta di fatto che quando ci si accosta a un riordino del mercato dell’azzardo, considerando gli interessi stratosferici che muove, la soglia dell’attenzione di tutti deve restare sempre ben alta.
Pochi interventi sul regime concessorio
Si sarebbe potuto intervenire sul regime concessorio per correggere l’abnormità di privati che, in un mercato tanto proteiforme – qual è quello dell’azzardo (che ha, tra l’altro, ricadute dirette sulla salute pubblica) – assolvono funzioni statali. Concessionari che sono espressione di fondi internazionali completamente disancorati dai territori e deresponsabilizzati dalle conseguenze che il fenomeno produce, in particolare a detrimento dei suoi cittadini più vulnerabili. Non è un caso se, all’indomani del terribile crollo del ponte Morandi di Genova, il presidente dell’Autorità anticorruzione, Raffaele Cantone, utilizzò parole marmoree contro l’inaccettabile appropriazione dei beni pubblici da parte dei privati concessionari, a cui non corrisponde un controllo reale – a partire dalle gare – dello Stato, cui andrebbe perciò addebitata una responsabilità omissiva.
La leva fiscale dell'azzardo e la tessera sanitaria
L'altro ambito su cui incide il provvedimento governativo è quello della leva fiscale dell’azzardo di Stato con l’introduzione di correttivi che vanno dall’aumento della ritenuta all’11% (dall’8% di adesso) sulle vincite del 10&Lotto e degli altri giochi opzionali e complementari, a quello del PREU al 2% (dall’1,35) sulle Slot machine, mentre il nulla osta per distributori e importatori passerà dai 100 euro una tantum che versano adesso a 200 euro per ogni singolo apparecchio.
Viene previsto l’utilizzo della tessera sanitaria, inoltre, solo per gli apparecchi che consentono il gioco pubblico da ambiente remoto, ed è un dispositivo, questo, che andrebbe chiarito, perché lascia prefigurare il ritorno al tema del passaggio alle AWP esclusivamente da remoto (cd. upgrade tecnologico) e della rottamazione delle AWP, sostituite dalle AWPR che, stando al testo dell’Intesa, “prevedono esclusivamente la giocata attraverso la Carta Nazionale dei Servizi, la carta dell'esercente e la Tessera Sanitaria”. È un sistema di scatole cinesi che, se realizzato pedissequamente, secondo molti osservatori garantirebbe lauti guadagni ai produttori, in particolare al colosso produttore GTech-IGT – dunque al Gruppo Lottomatica – senza contribuire per nulla a contrarre i consumi. Anzi: tutt’altro.
Resta, infine, l’imposta di 3 euro come ‘tassa d’imbarco’ per finanziare il fondo di solidarietà per il personale. La cifra raccolta confluirà al 100% su quei conti solo nel 2020, per l’anno in corso invece, la metà andrà all’Inps.
Legale-illegale: un flusso continuo
Posto che alcune petizioni di principio, seppur generiche, appaiono condivisibili, ci sono delle modifiche strutturali che andrebbero apportate, come detto, al testo. Non può darsi che chi causa la dipendenza – attraverso un’architettura dell’offerta industriale programmata per l’affiliamento al consumo di massa – detenga il coordinamento ispettivo del fenomeno per la parte non emersa.
Anche perché – ricordiamolo – all’azzardo illegale si accede proprio per la sovrabbondanza di offerta di quello legale, che ne ha “sdoganato” il disvalore e creato la necessità di approvvigionamento continuo (parliamo pur sempre di un Disturbo delle abitudini e degli impulsi, come tale riconosciuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità).
Inoltre, e non è secondario, ciò avverrebbe in violazione della Legge 121 del 1981, che è molto chiara in punto di “coordinamento tecnico-operativo delle forze di polizia”, prescrivendo che esso sia prerogativa esclusiva del Dipartimento di Pubblica Sicurezza.
I due piani, dunque, vanno necessariamente scissi. Solo così si arriverà concretamente a ragionare in termini di tutela dei cittadini e dei territori alla prossima Conferenza Unificata Stato-Regioni ed Enti locali.
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