Welfare

Awakening, i giovani che ce la fanno ogni giorno di più aiutando altri

Hanno deciso di smettere con l'assunzione di droghe, trovando la motivazione nell'aiuto di altri ragazzi come loro. Sono Gaia, Betty, Cristian, Marco e Davide e hanno fondato "Awakening", gruppo di aiuto aiuto che cerca di "esserci" per chi vuole smettere, ma non ha la forza per farlo da solo

di Gilda Sciortino

Nel nome che hanno scelto c’è la sintesi di quel che, per loro, vuol dire oggi la vita. Hanno scelto “Awakening” (Risvegli), per chiamare il loro gruppo di auto aiuto, grazie al quale raccontare al mondo la fatica che hanno fatto e continuano a fare ogni giorno per restare “puliti”, non cedendo alla tentazione di fasi l’ennesima fumata di crack.

«Tu credi che io non abbia la scimmia e non vorrei andarmi a fare? – dice Gaia, mentre ti racconta che non gli vuole dare colpe, ma forse avere avuto un padre che sino a 18 anni l'ha tenuta chiusa in casa non le ha fatto tanto bene – ma so che è meglio così. Mio padre mi diceva sempre che nella vita dovevo avere soldi in tasca e il frigo pieno. Oggi ho una casa sulle spalle, un cane a cui badare e voglio vederlo pieno il frigorifero quando lo apro. Non come capitava quando mi facevo».

Gaia è un po’ la leader del gruppo che oggi si riunisce nella sede dell’Arci Porco Rosso, a Casa Professa, a pochi passi dalla piazza in cui si spaccia e dove, in qualunque ora del giorno e della notte, può succedere di tutto. All’inizio erano ospitati dall’Asp di Palermo nella sede di via Pindemonte e poi in quella vicino via dei Cantieri. Questo anche in virtù del fatto che i ragazzi avevano partecipato al progetto “In&Out”, l’unità mobile di strada che raggiungeva le piazze palermitane e altri importanti spazi di aggregazione sociale per promuovere la salute attraverso interventi volti a favorire la consapevolezza dei comportamenti a rischio.


Un gruppo, Awakening, del quale fanno parte anche Christian, Marco, Davide e Betty, che ai tempi del progetto “In&Out” era già nato grazie a un semplice post che Betty aveva scritto su Facebook e al quale hanno risposto quasi subito coloro che oggi ne fanno parte.

«Ho 27 anni e ho cominciato a 14 a fare uso di sostanze. A un certo punto mi sono sentita sempre più insofferente, così ho deciso di vedere se c’era qualcuno che volesse fare qualcosa per chi, come me, desidera smettere ma non ce la fa. Perché non è una bella vita. Le ho provate tutte. Un giorno ho preso Vicodin e Metadone insieme e sono andata fuori di testa. Non capivo più niente. Mi sono svegliata in ospedale e mi hanno fatto il TSO perché avevo cercato di suicidarmi. Da allora dico che voglio smettere. Combatto ogni giorno perché non ne sono ancora uscita, ma il gruppo mi sta aiutando».

Strategica la sede in cui “Awakening” oggi si incontra.

«A noi piace stare qui – prosegue Gaia – perché è il posto ideale per incontrare i ragazzi. Magari qualcuno, andando a “farsi il pezzo”, cambia idea ed entra da noi. È capitato un paio di volte, anche se poi sono andati via. È un inizio».

Fondamentale per i ragazzi far capire il mondo di chi entra nel circuito della droga.

«La nostra è una generazione di psicopatici – sottolinea Christian –, gente che si fa di crack senza pensare chgy7io ,k9ie si tratta di coca basata, tagliata con bicarbonato e non di sostanza pura, quindi pericolosissima. Mentre in America il crack è un miscuglio di coca, anfetamina ed eroina, quindi diciamo pure schifezza, da noi viene cucinata con ammoniaca o bicarbonato per ottenere la sostanza pura. Io, però, ho cominciato con l’eroina direttamente in vena, non sapevo neanche che si potesse tirare. Ho smesso da circa tre anni ei spero di non ricaderci più».

Ma continui, continuate con le canne? Queste non devono preoccupare?

«A me le canne hanno salvato la vita. Non dovrebbero preoccupare così tanto – aggiunge Marco – perchè non è detto che chi comincia con gli spinelli finisce ad assumere altro. Puoi anche cominciare direttamente con sostanze molto più pericolose».

«Bisogna anche fare capire che i metodi coercitivi non sono la strada giusta – si inserisce Marco –. A 13 anni i miei genitori mi portarono al Sert perché mi facevo le canne, poi a 16 anni in comunità perché credevano che non avessi speranze. Ne sono uscito a 18 e ho subito cominciato ad assumere crack e non solo. Va anche detto che in comunità trovi chiunque, anche persone che devono finire di scontare pene detentive e chi ha altri problemi che non sono la droga. Che ti aspetti quando mandi in una struttura del genere un ragazzo così giovane? ».

Non è facile raccontarsi ma anche raccontare a se stessi quanta forza ci vuole per non cedere alle tentazioni. Avere una prospettiva di vita, però, aiuta non poco.

«Ce la sto mettendo tutta – conclude Betty – e ogni giorno so di stare facendo un passo in avanti. Anche perché vorrei studiare. Prima pensavo alle Scienze Umane, ora non so. Vorrei, però, fare qualcosa che abbia attinenza con il sociale. Mi piacerebbe aiutare gli altri con vera competenza».

Ma, se oggi aveste un figlio, cosa gli direste?

«Intanto non userei le maniere forti – parla anche per gli altri Gaia -. Se capissi che sta per fare esperienze simili alla mia cercherei di capire perché, ma soprattutto gli direi che l’eroina e il crack fanno veramente schifo. Il rapporto con i genitori è veramente importante. Fortunatamente oggi ho riscoperto quello con mio padre, che ha capito. Non è più quello di una volta che credeva fosse giusto tenermi al guinzaglio. È bello sapere di avere anche lui come punto di riferimento».

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