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Avsi: «È l’educazione l’arma di pace più efficace»

Ne sono convinti in Sud Sudan gli operatori di Fondazione AVSI che oggi, dopo quattro anni di difficile lavoro tra carestie e una sanguinosa guerra civile, hanno festeggiato le lauree di undici ragazzi del St. Mary College di Juba, tra i pochi istituti del Paese ad offrire corsi di formazione per insegnanti ed è gestito dalla ong italiana

di Lorenzo Maria Alvaro

Undici ragazzi che rappresentano un segno di speranza e di pace in un Paese dilaniato da quattro anni di scontri tribali e proprio una manciata di giorni dopo gli attacchi di Parigi che, dopo il Medio Oriente, hanno portato la violenza estremista anche in Europa. «Queste lauree, ottenute nonostante la guerra e la peggiore emergenza alimentare del pianeta, sono la dimostrazione di come l’educazione possa rappresentare un reale antidoto alle violenze. Ora li attende un lavoro come educatori, in un Paese dove il 60% della popolazione ha meno di 15 anni di età e solo il 24% sa leggere e scrivere, per continuare a costruire il futuro del Sud Sudan», racconta commosso Mauro Giacomazzi che è responsabile del progetto di Fondazione AVSI per il St Mary College e che ha seguito da vicino tutte le attività in questi quattro anni. Lo abbiamo raggiunto al telefono per capire che significa lavorare per l’educazione in Sud Sudan.

In un momento storico segnato dagli attacchi terroristici e dove masse di persone fuggono dalle proprie case proprio a causa delle guerre, cosa significano questi undici lauree?
Questi undici ragazzi rappresentano un segno di speranza per il futuro loro e di chi incontreranno ogni giorno, per i loro studenti. Se uno ce la fa, con tutto l’aiuto del mondo, ma anche con tutte le sue forze, non può fare altro che comunicare questo con la propria stessa vita.

Chi sono questi 11 alunni? E che cosa hanno dovuto affrontare in questi 4 anni di studi?
Ragazzi, giovani, donne, adulti. Ognuno con una storia particolare e unica. Ma soprattutto forti, visto che con loro erano stati ammessi al corso altre quaranta persone che non sono riuscite a proseguire sino al diploma. Alcuni studenti lavoravano già per le scuole elementari, ma dopo l’orario di lavoro, passavano il pomeriggio da noi, a lezione. Poi c’erano gli esami e gli impegni delle famiglie. Ricordo che una giovane allieva non ha mai smesso di frequentare nonostante fosse incinta, fino all’ultimo giorno di gravidanza, per poi tornare a lezione appena 15 giorni dopo il parto, insieme al bambino.

In questi quattro anni in cui sono accadute una miriade di cose, alcune molto drammatiche, e tutte con un impatto diretto o indiretto sugli studenti. Quali sono state le principali difficoltà?
La St.Mary era un’università giovane e abbiamo avuto a che fare con un Ministero ancora più giovane di noi. Abbiamo dovuto cambiare piano di studi almeno cinque volte in quanto ogni nuovo sottosegretario (e sono stati diversi a succedersi in questi anni) cambiava strategia e idea. Solo per dirne una: il corso è passato dall’essere un corso di 3 anni a un corso di 2, per poi tornare a essere di 3 anni. Le norme per l’ammissione degli studenti in istituzioni di formazione superiore private sono state definite dal Ministero solo un anno fa e gli studenti sono stati ufficialmente ammessi, dall’ufficio ministeriale incaricato, alla nostra facoltà di educazione solo due mesi fa. Dico questo perché ovviamente la situazione ha avuto un impatto su tutti noi. Non possiamo tra l’altro dimenticare che siamo già passati attraverso una guerra civile ancora in corso, che ci ha obbligato a chiudere per alcuni mesi il college. Ma gli studenti hanno perseverato e il college li ha aiutati a riprendere una parvenza di vita normale anche nei momenti più difficili.

Cosa vuol dire per il Sud Sudan questo successo?
Penso che la cosa più bella e grande è che nella vita di una persona possa esserci uno spiraglio di speranza, l’incontro con una persona o un luogo capace di comunicare questa speranza. Per una nazione così giovane ma già cosi martoriata, penso sia una grazia avere la certezza della presenza di un luogo nato proprio per questo motivo: per ribadire che dentro a tutte le vicende tristi e faticose vale comunque la pena vivere. E vivere vuol dire pensare al futuro.

L’Onu ha dichiarato che le persone a rischio carestia in Sud Sudan sono 4 milioni e mezzo: Perché AVSI, oltre a proseguire con alcuni progetti di nutrizione, ha deciso di sostenere l’educazione e in particolare questo college?
Educazione e nutrizione non sono in contrapposizione. L’uomo ha bisogno di mangiare, ma senza speranza muore tutto comunque. Pensiamo alle cause di questa carestia. Sono solo cause naturali? E cosa ha generato la perdita di raccolti in concomitanza con gli scontri civili? Cosa può fermare la violenza e la guerra? Cosa può aiutare il popolo ora, domani e il prossimo anno? L’altruismo e il gusto per il bene comune vanno scoperti da ciascun uomo. Per questo AVSI, di fianco agli interventi che puntano a garantire un minimo di sicurezza alimentare, non dimentica mai il fattore che può generare una umanità nuova: l’educazione. Al contrario, gli interventi umanitari, se non accompagnati da un processo educativo, generano dipendenza e disumanizzano.

Come continuerà questo progetto?
Non abbiamo mai pensato al St. Mary come ad un progetto. Per noi è un’opera. C continueremo a sostenerla sino a quando vedremo che si potrà reggere in piedi da sola. Per aiutare il college a crescere, abbiamo presentato al Ministero dell’educazione per riceverne l’approvazione due diversi percorsi di studio: Diploma in Teaching Primary per insegnanti che non possono frequentare regolarmente le lezioni in quanto studenti lavoratori e Certificate in Teaching Primary per coloro che non hanno completato la scuola secondaria ma stanno già insegnando. Si tratta di percorsi snelli e versatili. L’emergenza educativa in questo contesto parte proprio dalla necessità di avere insegnanti anche solo minimamente qualificati. Al momento troppi insegnanti entrano in classe senza un reale titolo di studio o senza un titolo di studio specifico rispetto al lavoro che svolgono. La nazione ha bisogno di loro e il Ministero non si può permettere al momento di allontanare gli insegnanti senza titolo di studio. La cosa più intelligente da fare ci è sembrata quella di proporre percorsi di studio che rispondano maggiormente alle necessità di chi già è nel sistema anche se come volontario (alcuni di loro sono insegnanti da oltre 20 anni anche se hanno solo la 5 elementare).

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