Politica & Istituzioni
Autonomia differenziata, l’Italia fatta a pezzi
Gianfranco Viesti è professore di Economia applicata presso il dipartimento di scienze politiche dell’Università di Bari. Ha da poco pubblicato il libro “Contro la secessione dei ricchi” in cui analizza le conseguenze che l’attuazione dell’autonomia differenziata avrebbe sull’Italia ed in particolare sulle regioni del Sud
Un’Italia divisa in più parti, fatta a pezzi alla fine: regioni e cittadini lasciati in uno stato di confusione, territori con più diritti e servizi rispetto ad altri, riparto delle risorse sulla base del criterio della spesa storica. Per Gianfranco Viesti non ci sono dubbi. «Con l’autonomia differenziata si frantumano le politiche pubbliche nazionali e soprattutto si penalizzano le regioni del Sud Italia». Professore di Economia applicata presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Bari, Viesti si occupa di economia internazionale, industriale e regionale e delle relative politiche. Negli ultimi anni ha partecipato attivamente nella discussione sul disegno di legge-quadro relativo alle richieste sull’autonomia differenziata avanzate dalle regioni Lombardia, Veneto e Emilia-Romagna. In questi giorni è stato a Foggia per presentare il suo libro Contro la secessione dei ricchi (editori Laterza) in cui analizza le conseguenze che l’attuazione dell’autonomia differenziata avrebbe sull’Italia.
Viesti, perché teme la secessione dei ricchi, come la definisce nel titolo del suo ultimo libro? Quali sono i pericoli?
Perché le regioni Veneto, Lombardia e Emilia-Romagna hanno fatto delle richieste eversive. Vogliono i poteri su tutte le materie di politiche pubbliche, sanitarie, istruzione, infrastrutture, energia, ambiente e cultura e vogliono più soldi per gestire queste materie di quanti oggi lo Stato ne spenda da loro. Questa, quindi, è la secessione. Dobbiamo temerla, perché è nel programma dell’attuale coalizione di Governo ed è in corso l’iter al Senato di approvazione di un disegno di legge che aprirebbe le porte a questa richiesta.
Secondo lei, una volta approvata, l’autonomia differenziata potrebbe dividere l’Italia in due parti: Nord e Sud, ricchi e poveri?
Ancora peggio. Potrebbe dividere l’Italia in tante parti, perché abbiamo cinque regioni a statuto speciale, poi ce ne sarebbero alcune con autonomia differenziata, altre che resterebbero – forse – come sono oggi. Diventeremmo un Paese in cui non si capisce più chi comanda, chi ha le responsabilità delle politiche. E le politiche per le imprese o quelle per l’energia diventerebbero un cocktail.
Il regionalismo italiano non sempre funziona bene. Secondo lei qual è la risposta per farlo funzionare meglio e allo stesso modo in tutti i territori?
La risposta è principalmente politica. Sta al coordinamento tra chi è al Governo a Roma e chi è al governo nelle regioni, questo è il nodo principale. Ci sono degli aggiustamenti istituzionali da fare. Si potrebbero togliere alcune competenze alle regioni, a partire da quelle concorrenti nelle energie e nelle infrastrutture. Ma soprattutto c’è bisogno di un centro che faccia il centro, cioè di un Parlamento che prenda le decisioni previste dalla Costituzione, che negli ultimi vent’anni non sono state prese.
Il Sud, intanto, continua a faticare in tanti settori chiave, come economia e occupazione. Secondo qual è il male che attanaglia le regioni del Mezzogiorno?
Il male del Sud è la sua situazione rispetto alle dinamiche dell’economia mondiale. E’ un problema di dove è messo, di come è fatto, della storia italiana che è andata tutta in un altro senso, di livelli di istruzione molto bassi. E’ un insieme di cause, che sono chiaramente individuabili e quindi non bisogna farsi prendere da questo racconto che è solo colpa di chi ci vive. Ciascuno ha le sue colpe, ma non è questa la causa principale.
Lei è tra i firmatari che chiedono la riforma degli articoli 116 e 117 della Costituzione italiana. In che cosa consiste la proposta e a che punto è?
Abbiamo presentato la proposta di legge, che ha raccolto le firme necessarie, per fare un ritocco piccolo della Costituzione, esattamente in queste materie. Soprattutto per far sì che se ci fosse l’autonomia differenziata bisognerebbe spiegare bene perché si vogliono quei poteri e che conseguenze questo provoca, e che la decisione finale sia rimessa ai cittadini con un referendum.
L’ultimo rapporto Caritas rileva che ormai la povertà è un problema strutturale. Pensa che l’autonomia differenziata creerebbe una ulteriore spaccatura?
Ha un effetto territoriale forte, perché lo scopo, soprattutto del Veneto e della Lombardia, è di acquisire più risorse con il tempo e quindi si potrebbero ridurre le risorse per le regioni del centro-Sud, su questo non c’è dubbio. Il principio che c’è alla base non va bene: se vivi in un territorio più ricco hai più diritti. Questo è proprio contro la prima parte della Costituzione.
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