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Autismo, non c’è solo la paura

di Redazione

Ci sono parole che fanno paura solo a pronunciarle. Autismo è una di queste. Una diagnosi di autismo, o solo l’ipotesi, getta quasi sempre nel panico una famiglia, come e forse più di un lutto grave. Quando questo succede ci sono due sviluppi diversi: da una parte la lenta elaborazione del lutto, la ricerca di qualcuno che ne sappia di più, la caccia a servizi competenti, l’impegno personale assieme ad altri genitori per migliorare la qualità della vita dei propri cari; dall’altra invece scatta la depressione, che si alimenta di solitudine, crisi familiari, angoscia, fino a sfociare, troppo spesso, in una nuova devastante tragedia, l’uccisione del figlio, il suicidio.
È successo anche a Gela, dove una mamma ha annegato i suoi due bambini proprio perché convinta di non farli soffrire più. Umana pietà per questa giovane donna, ora in carcere con l’accusa di duplice omicidio. Ma da giornalista mi sento chiamato in causa da un’associazione molto attiva, l’Angsa – Associazione nazionale genitori soggetti autistici, che dal Veneto scrive una lettera molto civile ma ferma. E ci ricorda che il 2 aprile era la Giornata mondiale dell’autismo, alla quale ben pochi media hanno dedicato attenzione, salvo poi raccontare, come sempre in modo impreciso e generico, il fattaccio di cronaca.
L’Angsa del Veneto ci chiede di parlare dei servizi che si potrebbero realizzare applicando le Linee guida del 2004: «È vero che l’autismo è sconosciuto nelle sue cause», scrive Liana Baroni, «ma con trattamenti intensivi e precoci è possibile fare un percorso riabilitativo ed efficace, in seguito al quale si può avere una buona qualità di vita sia per il bambino/adulto con autismo che per la sua famiglia. È un dovere per i servizi aggiornarsi e far sì che le Linee guida non rimangano teoria». E soprattutto la vita, anche nel culmine delle difficoltà può e deve essere vissuta con speranza, fiducia, mai da soli. Parliamone.

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