Welfare

Autismo, mamma Veronica e il dramma di una diagnosi impossibile

Veronica racconta il calvario per trovare uno specialista che chiamasse "autismo" la patologia di suo figlio Federico. Il senso di abbandono e il costo economico elevato di un percorso. "Muri anche a scuola", dice, "ma cerchiamo sempre di abbatterli"

di Sara Bellingeri

Una strada in salita dove la fatica è provocata soprattutto dall’amarezza e dal senso di solitudine del non essere creduti.

Veronica (nome di fantasia), mamma di Federico (altro nome di fantasia) di 9 anni e con diagnosi di disturbo dello spettro autistico, ci racconta dalla Puglia la sua storia dove le conquiste valgono il doppio perché raggiunte senza aiuti ma solo con la forza della determinazione. “Già durante il suo primo anno di vita avevo notato che Federico era particolarmente irrequieto – ricorda Veronica – Si agitava molto quando vedeva persone nuove e piangeva in continuazione. Non ho voluto perdere tempo e mi sono attivata subito per fare dei controlli. Tutti i medici che incontravo però mi rispondevano sempre la stessa cosa: secondo loro il bambino stava bene, semmai ero io che apparivo troppo preoccupata e stressata tanto da arrivare a vedere qualcosa che non andava”. Veronica è determinata nel capire se effettivamente quello che gli altri definiscono “impressioni” siano in realtà segnali precoci di un disturbo. “Federico a un anno e mezzo non riusciva ancora a camminare autonomamente se non con l’aiuto del girello: ho avuto conferma che quelle impressioni non erano frutto di timori personali”. Per i genitori di Federico inizia così una nuova odissea di controlli: “L’abbiamo portato a fare visite da diversi neuropsichiatri e tutto privatamente, pagato di tasca nostra – precisa Veronica – L’ASL non ci ha mai passato nulla se non le due valutazioni utili ad ottenere il sostegno a scuola”.

Salassi economici, che richiedono uno sforzo notevole, che si accompagnano a una dinamica negativa in cui s’imbattono numerosi genitori di bambini con disturbo dello spettro autistico: quella dei pareri medici contrastanti con la conseguente perdita di tempo oltre al senso di abbandono. “All’inizio ci dicevano che Federico era troppo piccolo per una diagnosi, poi dopo diverse visite e anche ricoveri in strutture per effettuare esami strumentali, che tra l’altro risultavo nella norma, abbiamo ricevuto la diagnosi di autismo”.

Il nome di un disturbo o di una patologia solitamente rappresentano la prima tappa fondamentale per capire dove incanalare il proprio percorso terapeutico ma per l’ambito dell’autismo la sensazione di molti genitori è quella di scivolare in un ulteriore limbo di risposte approssimative e di riferimenti assenti. “Siamo stati rimbalzati diverse volte da un professionista all’altro: lo psicologo mi mandava dal neuropsichiatra infantile che a sua volta mi diceva di aver bisogno di un’equipe. Alla fine mi sono arresa nel tentare di recuperare risultati da queste figure” spiega Veronica. Intanto le visite vengono pagate ma poco si concretizza. “Mi sono sentita spesso sola, c’era la fatica di sostenere pareri discordanti in famiglia e le spese di visite e terapie come quella dell’ABA che ci avevano consigliato fortemente. Per questa terapia abbiamo speso un sacco di soldi ma non era adatta a Federico che ogni volta piangeva disperato quando vedeva le terapiste e rischiava la regressione. Non esiste un approccio adatto a tutti e inoltre per l’autismo non viene ipotizzata una terapia globale: un vero problema”.

Una vera e propria giungla quella che i genitori di Federico affrontano da 9 anni a questa parte: “Abbiamo avuto a che fare con figure professionali scarsamente preparate o addirittura improvvisate: questa è stata la maggior causa di disagio per noi – chiosa Veronica – Ci era stata consigliata la psicomotricità ma dopo diverso tempo non vedevamo alcun risultato. Abbiamo poi scoperto che a farla era una psicologa che aveva seguito solo un breve corso di psicomotricità senza avere adeguate competenze”. E ancora: “Purtroppo non abbiamo un neuropsichiatra di fiducia, l’unico è quello dell’ASL che si occupa più che altro della burocrazia per la scuola”. Tante lacune che però non fanno demordere i genitori di Federico nel cercare la terapia più adatta a lui: “A 3 anni ancora non parlava, tutti ci sconsigliavano la logopedia ma noi ci siamo comunque attivati presto e le parole sono poi arrivate”. Veronica non smette di cercare e documentarsi e trova nuovi approcci adatti al suo bambino: “Anche a scuola non sono mancati i muri di comunicazione ma noi cerchiamo comunque di abbatterli. Vogliamo aiutare Federico ad attraversare i momenti cruciali della sua crescita permettendogli di acquisire maggiore autonomia e abilità nel relazionarsi agli altri affrontando i timori che ci possono essere”. Una strada in salita ma che ha scoperto passo dopo passo fasi di soddisfazione e anche qualche discesa: “Federico ha i suoi interessi: gli piace molto scoprire il funzionamento delle cose, ad esempio il lavoro che fa l’idraulico quando viene a casa nostra – racconta con entusiasmo Veronica – Resta importante proprio partire dai suoi interessi e curiosità”. Un approccio che a ben pensarci vale positivamente per tutti i bambini.

La foto in apertura è di Markus Spiske per Unsplash

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