Pochi giorni fa ero ad un matrimonio, di quelli belli e allegri, seduta ad un tavolo di persone simpatiche, di cultura, socialmente sensibili. Inevitabilmente siamo finiti a parlare della foto del piccolo Aylan e poi dell’immigrazione e … e mi sono resa conto che nonostante tutte le campagne di comunicazione, da qualche parte dobbiamo aver sbagliato a comunicare, perché ad un certo punto mi guardavano e mi hanno detto: ma tu descrivi l’inferno! Io descrivevo solo ciò che vedo quando viaggio…
Io non so cosa farei se mi trovassi in una guerra con i miei figli sotto le bombe, non so che farei se vivessi in un luogo dove milizie armate spadroneggiano e decidono della tua vita e della tua morte, non so cosa farei se lavorando in condizioni subumane, quando il lavoro c’è, riesci a portare a casa un pasto al giorno. So che in Italia quando una di queste condizioni c’è stata, in molti hanno deciso di andarsene altrove per ritrovare una speranza e non riesco a capire come non si possa comprendere.
Non riesco nemmeno a capire come si possa scegliere fra chi “merita” una possibilità e chi invece deve essere rimandato a casa sua. Ma hanno lontanamente idea di come si viva in un campo profughi o in un qualsiasi angolo di un Paese povero del mondo? C’è chi ci vive e cerca di migliorarlo ma c’è anche chi se ne vuole andare o vuole dare l’occasione al proprio figlio, nipote, fratello di poter vivere una vita migliore. Ma veramente pensate che qualcuno possa rischiare la vita così, se non fosse convinto che ciò che lascia è molto peggio? E pensate che non sappiano quali sono i rischi e li affrontano senza saperlo?
In uno dei miei viaggi in un luogo lontano (diciamo così) sono arrivata nell’albergo centrale (il migliore mi dicono!) e non c’era né acqua né luce e così è stato per due giorni, perché le piogge avevano interrotto i collegamenti. I ragazzi alla reception, giovani universitari, erano sconsolati perché non avevano internet. Ma non perché internet sia il luogo dello svago: internet è la loro connessione con il mondo, esattamente come per noi, ma forse qualcosa di più. E non è un caso se le grandi e potenti dittature tentano di limitarlo. Ti permette di accedere ad informazioni e cultura in un modo impensabile fino ad alcuni anni fa e alcuni di quei ragazzi studiano e lavorano in quel luogo lontano convinti che riusciranno a fare cose buone anche là, ad altri piacerebbe girare il mondo, cambiare Paese, con la voglia di sperimentarsi, consapevoli tutti che lì, in quel luogo lontano, basta poco perché anche il poco che hai sparisca.
Poi ti sposti dall’albergo ed arrivi all’orfanotrofio dove la stessa pioggia non ha portato via internet, che non c’è mai, ma un’intera capanna e dove i bimbi muoiono per una banale diarrea e lì capisci che il tempo è troppo importante.
Mentre qualcuno studia come “aiutarli a casa loro”, loro, i bambini non hanno il tempo di aspettarti, non gli viene concesso il tempo, ma questo sembra non essere così importante. Loro sono là, non li vediamo, e se anche ci fosse una foto, non smuoverebbe i Grandi della Terra in loro aiuto.
Nella nostra schizofrenia stiamo combattendo l’utilizzo delle foto di bimbi africani che muoiono di fame (anche perché muoiono anche di altro…) ma poi dobbiamo utilizzare la foto di un bimbo morto su una spiaggia per muovere le coscienze.
Una foto vale più di mille parole, è vero, ma che foto possiamo utilizzare per sperare in un cambiamento? Se le questioni non ti toccano veramente da vicino non interessano! Alcuni arrivano a ritenere Putin uno con gli attributi perché interviene in Siria, dimenticando la Cecenia: siamo ignoranti e schizofrenici. E dimentichiamo che se non avessimo bombardato la Libia, non fossimo intervenuti in Iraq, molto di ciò che sta accadendo non sarebbe accaduto. Ma in ogni caso, anche senza queste inutili guerre, molti uomini e molte donne e molti bambini avrebbero continuato a soffrire, lontano dai nostri occhi, senza foto che gli rendessero giustizia.
Aiutiamoli a casa loro vorrebbe dire lavorare per un’economia che non si basi sullo sfruttamento di risorse senza limiti in Paesi che non sono i nostri, non tollerare, anzi, non appoggiare al potere dittatori senza scrupoli, combattere la corruzione e la criminalità organizzata. Ma se affermi di voler cambiare tutto questo, unica condizione perché anche ‘loro’ stiano bene a casa ‘loro’, ti dicono che non va bene, non puoi cambiare il mondo. Sempre la stessa storia… E dire che io mi accontenterei di salvare solo i bimbi che incontro, già sarebbe qualcosa…
Ausencia?
Ausencia: non è solo una bella canzone di Cesaria Evoria (scritta da Goran Bregovic, uno che dalla guerra eè scappato) è anche una mostra fotografica di qualche anno fa. Fra il 1976 e il 1983 in Argentina sparirono 30.000 uomini e donne. Attraverso le foto viene ricostruita l’assenza di coloro che c’erano e non ci sono più.
Un’assenza che richiama alla responsabilità di chi, di nuovo e come spesso accade nella storia umana, ha voltato la testa per non vedere, per non farsi troppe domande e permettere così ad altri uomini di sopraffare il proprio prossimo.
E’ un assenza di immagine, più forte di ogni parola.
Credo che sarà un buon momento quando non avremo bisogno di un’immagine per decidere che gli esseri umani hanno, tutti, un diritto sacrosanto ad una vita degna di essere vissuta come decidono che sia, dove vogliono che sia.
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