Mondo
Aumentare il livello di igiene nei campi profughi in Grecia, come si fa se manca l’acqua?
In Grecia l’epidemia di Coronavirus sembra essere sotto controllo. Ma la situazione nei campi profughi sulle isole dell’Egeo, dove vivono circa 43mila migranti, continua ad essere drammatica. La minaccia che scoppi qui un focolaio di Coronavirus è reale. «Ci sono zone dove per 5mila persone c’è un solo bagno a disposizione. Le strade sono ricoperte di spazzatura», dice Marco Sandrone, capo progetto di Medici Senza Frontiere sull’isola di Lesbo
di Anna Spena
Mentre siamo concentrati e giustamente preoccupati per quello che succede dentro i nostri confini non dimentichiamo che su altri fronti la situazione rimane critiche e la minaccia del Coronavirus rende, se è possibile, ancora più precaria e pericolosa la situazione di una delle fasce più fragili della popolazione: i migranti. In Siria, Libano, nei Paesi della Rotta Balcanica, in Libia. E non dimentichiamo che è dalla loro salute che dipende anche la nostra.
Nei campi profughi in Grecia soprattutto le condizioni igieniche sanitarie non possono essere sufficienti perché di fatto non esistono. Sulle isole dell’Egeo,Lesbo, Chios, Samos, Leros e Kos la situazione è allo stremo. E non potrebbe essere altrimenti: «Sulle isole ci sono circa 43mila migranti», dice Marco Sandrone, capo progetto di Medici Senza Frontiere sull’isola di Lesbo, «a fronte di una capacità complessiva di seimila persone. Solo a Lesbo si contano 21500 persone, 20mila si trovano nel campo di Moria. Lo scorso luglio erano 6500, ciò significa che in meno di un anno sono triplicate». MSF fornisce assistenza medica e umanitaria a richiedenti asilo e migranti in Grecia dal 1996. Dal 2014 ha ampliato le proprie attività in Grecia per rispondere ai bisogni di un numero crescente di richiedenti asilo, rifugiati e migranti in arrivo dalla Turchia e dal 2016 fornisce cure mediche di base, trattamenti per malattie croniche, assistenza psicologica e psichiatrica, insieme a un ampio pacchetto di supporto sociale. Attualmente i team di MSF lavorano sulle isole di Lesbo, Samos e ad Atene. «Insieme ai numeri», continua Sandrone, «è la tipologia di persone che vivono nei campi che desta enorme preoccupazione: il 40% dei migranti sono minori. E oltre mille sono minori non accompagnati, quindi di fatto, sono soli».
La maggior parte dei profughi è scappato Afghanistan: «rappresentano circa il 70% delle persone che vivono nei campi», continua Sandrone. «scappano da uno Stato che non esiste in un Paese in parte in mano all’Isis e sotto le bombe. Con un conflitto aperto tra i talebani e le forze americane. Poi ci sono siriani e somali».
Nelle scorse settimane alcuni paesi dell’Ue si sono impegnati a ricollocare i minori non accompagnati della Grecia. Ma le iniziative individuali non possono sostituirsi all’azione collettiva che a livello comunitario va intrapresa. Sono stati diversi gli appelli all’Unione Europea tra cui quello lanciato da 65 associazioni fra organizzazioni umanitarie, a tutela dei diritti umani e della società civile. E lo scorso 15 aprile stando al comunicato diffuso dall’Unione Europea sono iniziate le prime ricollocazioni dei minori: 12 bambini sono stati trasferiti in Lussemburgo nell’ambito di un programma organizzato dalla Commissione e dalle autorità greche, con il sostegno dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) e l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO). E altri 50 hanno raggiunto la Germania. Ma non basta: «Con l’emergenza Coronavirus», continua il capo-progetto di MSF, «c’è bisogno di adottare misure preventive e di distanziamento sociale che nei campi profughi sono impossibili da mettere in atto. Ci sono zone dove vivono 5mila persone con un solo bagno a disposizione. I migranti devono rimanere in coda per ore prima di riuscire ad accedere ad un pasto o altri tipi di servizi basilari. Come si fa a chiedere a queste persone di non uscire dal campo quando poi vivono in tende e container a decine. Come gli si può chiedere di aumentare il livello di igiene se poi manca l’acqua e ci sono montagne di immondizia ai lati delle strade».
La Grecia, fino ad oggi, per fortuna non si è trasformata in un focolaio. Sono 2408 i casi confermati e la situazione è ancora relativamente sotto controllo. «Ma se scoppiasse un focolaio nei campi profughi come quello di Moria», spiega Sandrone, «sarebbe una vera tragedia».
«Siamo in contatto con l’Organizzazione nazionale per la salute pubblica per coordinare le possibili azioni, tra cui attività di promozione della salute e gestione dei casi per i residenti locali e i richiedenti asilo», aveva dichiarato la dott.ssa Hilde Vochten, coordinatore medico di MSF in Grecia, «ma dobbiamo essere realisti: sarebbe impossibile contenere un’epidemia in insediamenti di questo genere a Lesbo, Chios, Samos, Leros e Kos. A oggi non abbiamo visto un piano di emergenza credibile per proteggere e trattare le persone che vivono nei campi in caso si diffondesee un’epidemia».
Per tutti, ma soprattutto per i bambini vivere nei campi delle isole greche è un incubo: «Non hanno un’infanzia, un’istruzione, sono esposti alla violenza. Non hanno cibo e non sanno quando l’incubo finirà. Vedono la disperazione negli occhi dei loro genitori che a loro volta non sanno quando potranno offrire una vita dignitosa ai loro figli. Per tutti quelli bloccati qui il campo di Lesbo rappresentava l’ultima tappa di un percorso difficile verso una nuova vita». I bambini restano la categoria più vulnerabile: «alcuni non parlano, non dormono, non giocano, non mangiano. La violenza è all’ordine del giorno, hanno paura anche solo di andare in bagno: i bambini commettono atti di autolesionismo fino a tentare il suicidio. I traumi che hanno li portano a volersi togliere la vita. Ecco questo dovrebbe dare indicazioni sulla disperazione dei minori che vivono a Moria».
In Apertura: Campo profughi di Vathy sull’isola di Samos (gennaio 2020). Photo di: Valeska Cordier.
1Campo profughi di Moria, Peter Casaer
2Campo profughi di Moria, Anna Pantelia
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.