Tra i vari messaggi di auguri ricevuti per la Pasqua – dalle paperelle animate alle citazioni evangeliche commentate – uno in particolare ha colto nel segno. Una posta elettronica inviatami da un bravo professionista che si occupa di raccolta fondi. Click. Proprio il fatto che il mittente fosse di un fundraiser ha innescato una serie di retropensieri. “Saranno veri auguri?”, “Cosa mi vorrà chiedere in realtà?”, “Chissà a quanti altri avrà scritto la stessa cosa” e via di questo passo. Ne ho parlato con un collega che mi ha consigliato, forse a ragione, un terapeuta. Però il dubbio, anche se piccolo, rimaneva. Un messaggio non standard, personale (intimo?) richiedeva da parte mia una risposta a tono, non anonima. Richiedeva, richiamando il pensiero dell’economista Luigino Bruni, di avviare una relazione dove gli elementi di personalità, di valore, di preferenza venissero allo scoperto, rischiando però di essere fagocitati, in qualche modo “feriti” dal rapporto con l’altro. Per qualche settimana infatti ho preferito non rispondere. Poi l’ho fatto cercando di aprire un contatto sulla stessa lunghezza d’onda. Vedremo come andrà a finire. Ho ripensato a questo piccolo, strano episodio leggendo dell’ennesimo successo del Festival del fundraising e più in generale verificando quante persone, giovani soprattutto, vogliano cimentarsi in questa professione. Spero che la loro deontologia professionale – esisterà un giuramento del fundraiser? – riservi particolare attenzione alla profondità della relazione che si stabilisce con le persone alle quali si chiedono risorse (denaro, ma non solo). Altrimenti meglio virare su auguri standard e richiesta diretta di soldi. Una sana relazione anonima insomma. Non sarà così efficace, ma almeno non si rischia di scivolare su una relazionalità più spinta.
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