Volontariato
Attivecomeprima: salute e cura della persona come bene comune
Un sistema interattivo di saperi e metodologie di supporto, offerto gratuitamente ai malati di cancro e ai loro familiari da un’équipe di professionisti esperti, per ridurre la sofferenza fisica e psicologica durante le terapie e ridare alla vita senso e prospettiva. A raccontarne la storia iniziata nel 1973 l'attuale presidente dell'associazione
Attivecomeprima è la prima Associazione nata in Italia nel 1973 – fondata da Ada Burrone nel contesto dell’Istituto Tumori di Milano, col sostegno di alcuni medici ‘illuminati’ quali Pietro Bucalossi, Bruno Salvadori, Vittorio Ventafridda e Umberto Veronesi – per il sostegno delle persone ammalate di cancro e dei loro famigliari dal punto di vista medico generale, psicologico e psico-corporeo. La sua azione è finalizzata ad aiutare il paziente oncologico a superare il trauma della malattia e a ritrovare uno spazio vitale durante le cure e nella vita famigliare, sociale e lavorativa, anche al di là delle condizioni fisiche del momento.
Dall'ascolto, ormai, di oltre trentamila pazienti che hanno vissuto l'esperienza del cancro, sono sempre emersi infatti come prioritari due fondamentali bisogni: ricomporre un'identità personale ridotta a pezzi dall'incontro col cancro e ridurre la grave sofferenza fisica indotta dalle terapie oncologiche. Il bisogno quindi di essere aiutati concretamente a “gestire il processo della vita”, sostenendone la fisiologia; di essere aiutati a ritrovare, insieme alla forza fisica, una rinnovata fiducia nelle proprie risorse.
Il metodo innovativo di Attivecomeprima
Iniziare un percorso di cura quando ci si ammala di cancro, è un po’ come accingersi a partire per un viaggio. Un viaggio che non si fa da soli ma accompagnati, fianco a fianco, da professionisti disponibili a offrire la loro competenza umana e professionale per rispondere al bisogno di sentirsi accolti, ascoltati, compresi, sostenuti fisicamente e psicologicamente. Un supporto esteso, laddove richiesto, anche ai propri famigliari; perché il cancro, come ogni evento che irrompe nella vita in modo traumatico, coinvolge inevitabilmente la serenità e i progetti di tutta la famiglia.
Chi si ammala, trova tutto questo ad Attivecomeprima, un’Associazione dove i professionisti della cura lavorano costantemente in equipe e condividono una visione del cancro come problema da affrontare in una prospettiva medico-sociale.
I progetti di aiuto e sostegno messi in campo e offerti gratuitamente da Attivecomeprima consentono così ai malati e ai loro famigliari, non solo di integrare le cure oncologiche con servizi di sostegno alla persona – servizi che solitamente le organizzazioni sanitarie non offrono – ma anche di ottenere, in un unico contesto, un aiuto modulabile e integrato. Questo è molto importante per le persone che vivendo la drammatica esperienza del cancro hanno bisogno di ottenere risorse di solito reperibili solo in luoghi e contesti diversi, tra loro non connessi, e quasi sempre a pagamento.
Un valore aggiunto, infatti, e tutt’altro che secondario di questo originale e innovativo metodo di supporto, risiede nel fatto di essere progettato e realizzato non come un insieme di tecniche, ma come un sistema interattivo di saperi e di metodologie, opportunamente modulabili secondo necessità, da professionisti esperti che lavorano in sinergia tra di loro e che collaborano da anni su questi temi con Attivecomeprima.
Questo consente di affrontare quella “sofferenza totale” che investe il malato e la sua famiglia quando il cancro irrompe nella vita, per poter ridare a questa senso e prospettiva. Oggi di cancro si guarisce di più e anche quando ciò non sembra possibile, si riesce a convivere sempre più a lungo con la malattia grazie alle terapie disponibili. Ma proprio per questo l’organismo deve poter reggere, ed è sempre più necessario considerare il supporto alla persona come parte integrante delle terapie del cancro e come strategia d’intervento ad alto impatto sociale. Basti ricordare, infatti, che un terzo dei malati di cancro soffre ancora di fatigue a sei anni di distanza dalla fine delle terapie; che quasi l’80% dei malati e oltre il 70% dei caregiver ha pesanti danni economici da assenza o perdita di lavoro; che quasi una famiglia su quattro soffre, a causa del cancro, di un default economico tale da compromettere la qualità e i progetti di vita di tutti, figli compresi, fino a vedere aumentare del 20% la probabilità di morte del famigliare ammalato. Percentuale simile, al contrario, ai benefici ottenibili da alcune delle più recenti, efficaci e costose terapie biologiche del cancro.
Queste, in breve, sono le ragioni e il senso del lavoro di Attivecomeprima: aiutare le persone che vivono l’esperienza del cancro e i loro famigliari a ridurre la sofferenza fisica e a dare una nuova prospettiva alla propria vita contribuendo così attivamente, come lo stesso Umberto Veronesi si trovò a dire in anni recenti a proposito del lavoro dell’Associazione, al buon esito delle stesse terapie del cancro.
Persino in questo periodo di emergenza sociale e sanitaria che tutti stiamo vivendo per la pandemia in corso, Attivecomeprima non ha lasciato soli i malati e i loro famigliari e caregiver rendendo disponibili tutti i suoi servizi col progetto “Attive in rete”. Pur coi limiti della distanza, i malati e chi si prende cura di loro hanno potuto beneficiare di un punto di riferimento per un sistematico supporto psicologico, medico generale e psicocorporeo, modulati secondo richiesta e necessità. Ciò ha consentito, tra l’altro, di estendere naturalmente i servizi di Attivecomeprima ben oltre i confini della sua sede milanese, rispondendo quotidianamente a richieste d’aiuto anche da altre regioni d’Italia.
E se Attivecomeprima può continuare a offrire i suoi servizi gratuitamente da ormai quasi 50 anni ciò è dovuto, oltre che alla passione, alla competenza e all’impegno dei professionisti che vi hanno lavorato e che vi lavorano, alla sensibilità delle persone e dei soggetti pubblici e privati che, comprendendo il valore individuale e sociale del suo lavoro, lo hanno sostenuto e vorranno sostenerlo, particolarmente in questo grave momento di allarme sanitario e sociale, per continuare a rendere possibile tutto ciò.
Attivecomeprima: etica della cura e mission
In medicina, negli ultimi decenni, si è passati progressivamente e non senza fatica, da un “modello paternalista” – nel quale il medico, depositario del sapere, formulava diagnosi e prescriveva terapie decidendo autonomamente ‘per il bene del paziente’, ma relegandolo così in una condizione di solitudine e sudditanza – a un ‘modello autonomista’ che riconosce, appunto, l’autonomia e l’autodeterminazione del malato. Un modello però che, interpretato e applicato nell’ambito della cultura ‘tecnica’ che caratterizza il nostro tempo, pone sì in qualche modo la “persona al centro”, ma creando per lei le condizioni di una nuova solitudine. Sola al centro, appunto, di una equipe di professionisti che le forniscono una quantità di informazioni scientifico-tecniche, spesso scarsamente comprensibili, in base alle quali può e deve decidere ‘liberamente e in autonomia’ il da farsi riguardo a scelte che, particolarmente in ambito oncologico, possono stravolgerle la vita.
La cultura della cura che Attivecomeprima ha prodotto vede sì la "persona al centro", ma un centro nel quale la persona non è sola. Un centro nel quale scendono in campo insieme a lei, per accompagnarla e sostenerla nel suo percorso di vita, molti 'compagni di viaggio' a vario titolo coinvolti.
La salute di ognuno di noi, della persona che noi siamo, infatti, non è un bene che riguarda solo l'individuo. È un bene comune. Un bene che riguarda e coinvolge sempre e comunque chi ci sta accanto, dalla nostra famiglia all’intero contesto sociale nel quale viviamo. Un bene non tanto e non solo da “difendere”, ma soprattutto da “coltivare”.
Per questo Attivecomeprima ha sempre accolto e rivolto la sua attenzione, non solo al malato di cancro, ma anche a chi ha il compito e la responsabilità di accompagnarlo in questo viaggio: dai famigliari tutti, ai caregiver – che vivono una sofferenza a volte perfino maggiore del malato, anche se diversa – ai medici, psicologi, infermieri e altre figure professionali coinvolte.
La relazione, un “farmaco” che cura
La Medicina ha sviluppato negli anni un approccio ai temi della salute e della malattia prevalentemente di tipo ingegneristico. Una visione e una cultura 'tecnica' che, nonostante i suoi grandi successi in questo campo, ha posto in primo piano la malattia come ‘nemico da combattere’ eclissando progressivamente la dimensione di senso del processo del vivere e la primaria importanza della dimensione relazionale del processo di cura.
La qualità della relazione di cura – pur non potendo mai prescindere dalla più solida competenza tecnica – non è una questione retorica di benevola condiscendenza del medico ma, come ormai anche numerose ricerche ben documentano, ha a che fare con la capacità di sviluppare un rapporto empatico in grado di attivare la cascata di processi neurochimici che modificano la nostra biologia e agiscono sinergicamente alle terapie migliorandone l'efficacia. Perché il medico non ha solo la responsabilità dell’effetto terapeutico delle sue prescrizioni, ma anche dell’effetto sul malato delle sue stesse parole. E questo vale non solo per il medico, ma anche per le altre figure professionali che abitano quel ‘centro’, fianco a fianco con la persona malata. Al contrario invece una relazione di cura che, nonostante le sue buone intenzioni, non aiuta a sostenere la fiducia e la speranza con argomenti adeguati e mantiene alti livelli di ansia, allarme, smarrimento, senso di solitudine e paura sia nel malato, sia nei suoi famigliari.
La questione quindi non è nei termini di una retorica “umanizzazione della medicina”, ma di una nuova “etica della cura” che chiama a sé chiunque dedichi la sua vita professionale a una relazione d’aiuto. Una questione che richiama alla solidarietà – nelle sue dimensioni individuale e sociale – non solo come “carità”, ma anche e prima di tutto come “responsabilità”.
*presidente di Attivecomeprima Onlus
In apertura photo by Omid Armin on Unsplash
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