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Attimo di scarsissimo rilievo nella Grande Moschea di Parigi

di Paolo Dell'Oca

Charlotte si alzò, con la luce bianca della cucina che le balzava contro gli occhi. Era quasi il crepuscolo. Già quella conversazione le sembrava irreale, come tutte le sue conversazioni con gli sconosciuti. Si avviò alla porta. Non lo saprà mai nessuno, pensò.*

WhatsApp mi avvisa (il medium è il messaggio) di una sparatoria all’aeroporto di Orly, ma questo non cambia i programmi della mia mattinata, tutt’altro. E nel giro di una mezz’ora varco la soglia della Grande Moschea di Parigi.

La visita procede pigra, certamente la compagnia di un amico musulmano avrebbe potuto popolarla di spiegoni e aneddoti. Mi guardo in giro, osservando le persone prima delle cose, e riconoscendo nella loro indifferenza la mia, le volte in cui in chiesa mi imbatto in turisti dagli occhi razzolanti (“non sono qua per voi”).

Il luogo che desta più curiosità in me è la sala delle preghiere, inaccessibile ai turisti. Sbircio dentro, chiedendomi se verrà il giorno in cui l’umanità sarà pronta a mettere a disposizione dei cittadini, anche fuori dagli aeroporti, stessi luoghi che siano sacri per tutti, delle case degli dei.

Le religioni sono strade diverse convergenti verso lo stesso punto.**

Nella sala delle riunioni mi raggiunge un gruppo di turisti francesi e la relativa guida, donna da non fare arrabbiare, che serra la porta dietro di sé: godo così delle sue parole, ma non conoscendo il francese godo poco.

Dello sventato attentato non c’è segno, non fosse per un salone, comprensibilmente chiuso, gremito di persone apparentemente in ascolto di un oratore.

Sulla soglia del giardino un uomo richiama la mia attenzione: porta a spasso dei lineamenti mediorientali e mi domanda di scattargli una foto, operazione che compio diligentemente. Rendendogli il telefono gli spiego che sono insoddisfatto dello scatto, decisamente controluce.

Mi chiede come mi chiamo e di dove sono, lui è statunitense. A quel punto mi tende la mano e ce la stringiamo. Un gesto spontaneo, che mi coglie alla sprovvista. Attimo di scarsissimo rilievo, ma mi ha incuriosito.

Perché l’ha fatto?

Mi domando se sia un atteggiamento da statunitense in vacanza, o forse io gli sono andato particolarmente a genio. Non escludo dipenda dal fatto che un’ora prima un attentato ha aggiunto una perla alla collana di eventi che sfoggerà chi propone programmi politici che fanno leva su presunte incompatibilità culturali: questo lo ha reso particolarmente desideroso di stringere una mano dentro una moschea parigina?

Forse era semplicemente sovrappensiero, non so: una parte delle nostre vite si svolge in incontri con sconosciuti, cui talvolta raccontiamo anche qualcosa di vero, forti della loro estraneità alla nostra biografia. Succede in situazioni di viaggio, sul treno, o in pause di lavori precari.

Sono pezzi di vita che conosciamo solo noi (e loro), ma che la condiscono di un aroma speziato. In fondo dare una mano ad uno sconosciuto dopo un attentato è un ottimo modo per commentare un momento storico. E in minima parte lo può essere anche ritenere che sia quello uno dei motivi per cui ci si è stretti la mano.

* “Guardami”, J. Egan.

** “Antiche come le montagne”, Gandhi.

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