Welfare

Attenzione al trabocchetto delle nuove regole

Luca De Fraia: «A rischio le risorse per lo sviluppo»

di Redazione

Fra le conseguenze della crisi globale nei Paesi ricchi potrebbe esserci proprio il taglio ai budget per la cooperazione, celati dietro alle nuove norme sul commercio
e sulla finanza internazionali
Mancano oramai poco più cinque anni alla scadenza fondamentale degli Obiettivi del Millennio, il 2015, e la distanza che ci separa da alcuni fondamentali traguardi sembra ancora abissale. Proprio nella settimana che precede il vertice di New York, la Fao ha presentato i nuovi dati sulla fame nel mondo: 925 milioni di persone malnutrite. Un miglioramento rispetto all’impatto generato dalla recente crisi dei prezzi alimentari, ma siamo, di fatto, tornati ai livelli anche superiori a quelli di metà degli anni 90. L’attesa riduzione del 50% del numero delle persone alle quali non è garantito il diritto al cibo è ben lontana; povertà e fame nel mondo rischiano di diventare una caratteristica permanente del nostro stile di vita, dei quali oramai non ci stupiamo più.
Questo dato, però, va letto alla luce dei nuovi processi di trasformazione della mappa del mondo che hanno scosso il nostro pianeta dal 1990, anno di riferimento per il raggiungimento degli Obiettivo del Millennio. Le nuove potenze emergenti, in primo luogo la Cina, hanno fatto significativi passi in avanti per sconfiggere la povertà. Non è quindi un caso di semplice mediazione diplomatica se, nel documento finale per il Vertice, ancora in discussione, si parla di mixed stories, ovvero di una storia della lotta alla povertà nel mondo che presenta più facce, che non posso essere ignorate.
In questa mappa globale che cambia, i rapporti di forza fra tradizionali schieramenti sembrano essere cambiati: il gruppo del G77, che riunisce una fetta significativa dei Paesi in via di sviluppo, insieme alla Cina ha fatto sentire il proprio peso nel processo negoziale, intervenendo in maniera evidente nella definizione dei contenuti della dichiarazione finale. Infatti, i Paesi europei si erano attestati su una posizione conservativa, che d’altronde era già emersa in occasione del Vertice G8, quando dal documento conclusivo erano spariti i riferimenti a importanti impegni assunti a livello internazionali, ad esempio quelli sugli aiuti concordati a Gleneagles nel 2005.
A questo punto un breve commento sulla posizione dell’Italia: il chiaro richiamo all’impegno a investire nella lotta alla povertà mette in difficoltà il nostro Paese, che arriva alle Nazioni Unite con una lunga serie di tagli agli investimenti nella lotta alla povertà che mettono saldamente l’Italia in coda al gruppo dei donatori.
Un altro capitolo della storia riguarda i Paesi ricchi. Si teme a ragione che tra le implicazioni di medio e lungo termine della crisi economica globale ci sia proprio la riduzione dei bilanci per la cooperazione allo sviluppo. L’esempio negativo offerto dell’Italia è solamente un aspetto di questa dinamica che, anche nei Paesi più virtuosi, prende la forma di un sostegno sempre meno convinto alle politiche degli aiuti. In Europa, infatti, si parla di approcci olistici, per sostenere che sia necessario prendere in considerazione un’agenda più ampia per affrontare il tema dello sviluppo. È giusto quindi sostenere queste strategie, e le organizzazioni non governative da tempo sottolineano la necessità di praticare una vera coerenza delle politiche.
Due principali riserve: la prima è di natura immediata, ovvero dobbiamo essere sicuri che questi approcci che parlano anche di regole del commercio e della finanza non servano a dimenticare gli impegni per la quantità e la qualità degli aiuti. L’altra riserva riguarda la consapevolezza del fatto che l’agenda della coerenza delle politiche è quella più difficile da realizzare.

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