Bisogna avere i nervi saldi, respirare a fondo, mettersi tranquilli, e aspettare che passi. E’ Natale, così, all’improvviso. Non vale. Nel pieno di una crisi cupa e gelida. I conti di casa che non tornano, la tredicesima che si è smaterializzata nel giro di poche ore, per quelli che l’hanno ricevuta. Il Natale quando arriva arriva, diceva Pozzetto. Il guaio è che stavolta arriva fuori tempo, visto che stiamo aspettando “la fase due”.
Forse per la prima volta da tanti anni è davvero un Natale quasi “povero”. La retorica dell’austerity, che tanti anni fa ci fece un po’ sorridere, oggi ha il sapore amaro della contabilità spicciola, della necessità di scegliere con cura quali e quanti regali fare, e a chi. I bambini non ne hanno colpa, e ancora una volta, mi auguro, vivranno la magia di Babbo Natale e dei pacchetti da scartare sotto l’albero. Si daranno da fare i nonni, gli zii, i parenti e gli amici, per aiutare i genitori alle prese con il rompicapo della quarta settimana più lunga dell’anno.
Arrivano valanghe di auguri virtuali, cartoline nei social network, nella posta elettronica, che imitano palle colorate, nastrini, stelline, e decori di ogni genere, o propongono riproduzioni di quadri celebri, oppure – ancora peggio – si cimentano nelle frasi romantiche, nelle poesie ad effetto, nella bontà a comando. Arrivano da associazioni, da persone più o meno care, da quasi sconosciuti. In posta elettronica molti di questi auguri ti chiedono anche la conferma di averli ricevuti, come se fossero una raccomandata con ricevuta di ritorno.
Penso che non risponderò quasi a nessuno, e non me ne vogliano i gentili estensori delle finte cartoline, peraltro evidentemente inviate a liste di distribuzione che fortunatamente rimangono quasi sempre anonime. Io per parte mia evito scrupolosamente auguri inutili e stereotipati. Anche perché oggi non saprei che cosa augurare di preciso, senza correre il rischio di offendere, di esagerare, di esprimere concetti talmente triti da sconfinare in una banalità inaccettabile.
Diciamo la verità: il Natale può far male, e parecchio. Può far male a chi è davvero solo, e in questi giorni sente il morso della commozione, che rischia di travolgere e inumidire gli occhi anche solo per la scena di un film, che porta a ricordi passati, a situazioni piacevoli vissute in un altro mondo, in un’altra vita. Il Natale può far male se è completamente sganciato dal suo significato intimo, religioso, semplice nella sua storia, nel suo racconto antico e perenne, di una vicenda umana e divina unica e incredibile nella sua bellezza.
Il Natale non deve essere il momento del rendiconto, ma l’occasione della nuova speranza. Un giorno per riflettere, ma guardando avanti, verso l’anno nuovo che sta per aprirsi, e che comunque, bene o male, stiamo per affrontare tutti, scommettendo in qualche modo su miglioramenti, anche minimi, nella salute, nel lavoro, negli affetti. Il Natale non si può imporre, si può solo vivere, ognuno come crede. Ognuno come può.
Secondo me il Natale dovrebbe, oggi, essere un giorno di tregua. Un’occasione per lasciarsi prendere dalla tradizione di un gesto, di un simbolo, di una musica, di un cartone animato, di un film visto e rivisto, di un concerto, di una passeggiata nelle strade liberate dal traffico convulso dei giorni di lavoro.
L’augurio che rivolgo a tutti, sinceramente, è di riuscire a trascorrere la giornata del Natale scacciando la tristezza, e aprendo il cuore e gli occhi a un sorriso indulgente e sereno. A un gesto semplice, a un augurio accompagnato da una stretta di mano, trasmettendo e ricevendo il calore che dovrebbe sempre accompagnare il nostro passaggio nell’esistenza, quel mistero che nella nascita di Betlemme trova la sua sintesi inesplicabile e profetica, anche per chi non crede, o fatica oggi a trovare il senso di una fede.
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