L’imminente beatificazione di Giuseppe Toniolo ci dà l’opportunità di unire passato e presente, di parlare di una storia esemplare, ma anche della nostra attualità. Stupisce ad esempio cogliere nelle parole di Toniolo un chiaro – e quanto mai attuale – allarme sui rischi della prevalenza dell’economia finanziaria e speculativa su quella reale. Scrive infatti: «La facilità nell’ottenere prestiti, diventata un’abitudine generale, ed accresciuta dalla trasferibilità dei titoli di credito, porge continuo e spesso disordinato aumento all’espansione della produzione industriale, quindi alla speculazione mercantile e infine alla concorrenza sfrenata fra produttori e speculatori fino a moltiplicare le crisi commerciali propriamente dette e insieme quelle bancarie. I titoli di credito, rappresentativi del prestito del capitale monetario, moltiplicati e diffusi universalmente, diventano a loro volta oggetto di speculazione sulle oscillazioni naturali o artificiose del loro valore e provocano le crisi di Borsa».
La deriva dei derivati
Più avanti, precisava che «l’interesse concesso dai banchi dovrebbe essere sempre notevolmente inferiore ai profitti ordinari del capitale industriale per non allontanare i capitali dall’impiego diretto all’industria». Se non sapessimo che è stato scritto alla fine dell’800, potremmo pensare possa essere un commento a quanto accade nei nostri mercati negli ultimi anni.
Leggevo tempo addietro che oggi, per ogni dollaro di prodotto globale, ce ne sono 14 di finanza. Nel 2003 si avevano: 37 mila miliardi di prodotto globale e 321 mila miliardi di attività finanziarie (rapporto 8,7). Nel 2010 i numeri erano diventati: 63 mila miliardi di prodotto e 851 mila miliardi di attività finanziarie (rapporto 13,5). Di questi, 250 mila miliardi sono attività finanziarie tradizionali; il resto è finanza derivata.
Un’antitesi non risolta
La questione dell’antitesi tra economia e finanza speculativa ed economia e finanza reale, come appare, non è risolta. E la voracità dell’una si riflette sulla possibilità dell’altra di essere, o restare, “a dimensione umana”. Le regole che si stanno scrivendo per evitare che si ripetano le condizioni che hanno condotto alla crisi sembrano, da un lato, insufficienti, dall’altro, eccessive. Insufficienti perché, ad esempio, le carenze nei controlli pubblici alla base di alcuni fenomeni degenerativi che hanno afflitto il sistema finanziario internazionale sono ancora tutte lì. I derivati hanno continuato a crescere. Il conflitto di interessi spesso attribuito alle agenzie di rating non è stato risolto.
Eccessive, perché non sembrano discernere adeguatamente se un intermediario opera a livello territoriale o trans-nazionale, se nella finanza speculativa o solo nell’intermediazione tradizionale e nel sostegno all’economia reale, se nel portafoglio possiede titoli del debito pubblico del suo Stato o titoli subprime, se ha fruito del sostegno pubblico oppure no (la Gran Bretagna ha immesso risorse pubbliche per salvare le banche nazionali per 295 miliardi di euro, la Germania 282, la Francia 141, l’Irlanda 117, la Spagna 98. In Italia i 4 miliardi messi a disposizione di una parte del sistema creditizio erano prestiti, già quasi interamente restituiti. E le banche che hanno beneficiato di ingenti interventi pubblici fanno concorrenza ad altri operatori che hanno dovuto far fronte alle difficoltà della crisi esclusivamente con i propri mezzi).
Secondo Toniolo l’esercizio del credito deve ubbidire a tre doveri: di moralità, come fatto basato sulla fiducia; di giustizia distributiva, affinchè la remunerazione di chi fa credito non degeneri e non danneggi chi riceve il prestito; di utilità generale, per cui la concessione del credito non abbia in considerazione solo l’interesse del singolo, ma anche e soprattutto quello generale, avendo il credito una funzione sociale.
Negli ultimi tempi la funzione del credito (e delle banche) rispetto al sostegno dell’economia reale è tornata fortemente sotto i riflettori. Mi pare che il paradigma proposto da Giuseppe Toniolo anche a questo riguardo abbia una forte attualità.
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