Disabilità
Attenti a dire che il progetto di vita si può già fare
Continua il dibattito attorno alla proroga della fase sperimentale per il DM 62/2024, che introduce la nuova valutazione iniziale della condizione di disabilità e il nuovo progetto di vita. È vero che il progetto di vita si può già fare in base alla legge 328/2000 ma non è la stessa cosa: «La riforma altrimenti dov'è? Lì ci si muove ancora nel perimetro dei servizi esistenti, oggi invece le risorse e i sostegni potrebbero essere tutti riallocati dalla persona con disabilità per sostenere il proprio progetto», spiega Lisa Noja
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Delusione, indignazione, preoccupazione e anche rabbia. Nelle persone con disabilità, il rinvio della partenza sull’intero territorio nazionale delle novità previste dal decreto ministeriale 62/2024, in attuazione della riforma della disabilità disegnata dalla legge delega n. 227 del dicembre 2021, ha suscitato tutti questi sentimenti.
La reazione forte seguita al rinvio dà la misura delle attese e delle aspettative con cui le persone con disabilità guardano alla riforma. «Ai tempi del governo Draghi, nel 2021, fu urgente scrivere la legge delega sulla disabilità nei tempi previsti dal Pnrr. In Parlamento lavorammo giorno e notte per rispettare quell’urgenza. Io ero relatrice e ricordo che conclusi il mio intervento, prima della dichiarazione di voto, dicendo che quella legge poteva davvero cambiare la vita delle persone con disabilità. Per farlo, però, serviva dare gambe forti alla riforma, con stanziamenti adeguati, altrimenti sarebbe stata l’ennesima legge bellissima sulla carta, senza ripercussioni concrete sulla vita delle persone». Lisa Noja, avvocata, ex parlamentare di Italia Viva, oggi consigliera regionale in Lombardia, lei stessa persona con disabilità, in questi giorni ha più volte alzato la voce per criticare la scelta del Governo di prorogare da 12 a 24 mesi la sperimentazione della nuova valutazione multidimensionale per la valutazione della condizione di disabilità e del nuovo progetto di vita individualizzato, personalizzato e partecipato.
La frammentazione della cittadinanza
Una scelta che il Governo non ha condiviso con l’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, comparsa a sorpresa nel Milleproroghe senza essere stata preceduta da un dibattito fra le associazioni né tantomeno pubblico. Ciro Tarantino, professore di Sociologia del diritto all’Università degli Studi di Napoli Suor Orsola Benincasa, su Informare un’h è stato il primo ad aprire un interessante dibattito, che sta proseguendo con molti interventi. Rifacendosi a quella prima riflessione sottolinea come il rinvio «interroghi lo statuto di cittadinanza reale delle persone con disabilità», con «cittadini di serie A per cui le leggi semplicemente si applicano e cittadini di serie B per cui le leggi si sperimentano, tra cittadini che vivono nelle province in cui la sperimentazione c’è e cittadini che vivono in province dove la sperimentazione non c’è, con una sperimentazione di cui peraltro non sono chiari i criteri e le modalità con cui si tracceranno gli esiti e che terminerà sei mesi dopo il termine ultimo entro cui è possibile modificare il decreto attuativo. Le persone con disabilità, chissà come, possono sempre attendere. Si dimentica – o si finge di dimenticare – che nelle vite soggette a processi di disabilitazione, gli anni si contano su di un calendario particolare in cui un anno pesa molto più di dodici mesi».
La proroga all’inizio della sperimentazione
Noja evidenzia due ragioni di preoccupazione, legate entrambe al tanto atteso progetto di vita. La prima è che il prolungamento della sperimentazione non è stato deciso a valle della constatazione di ingenti difficoltà o criticità, ma appena un mese dopo l’avvio della stessa. «Il Governo così mette le mani avanti. Agli enti locali questa riforma chiede un grande sforzo di cambiamento e alcuni territori si stavano già attrezzando, ma il messaggio dato ora dal Governo genera confusione nei territori e li legittima a rallentare. Penso per esempio alla Lombardia che nel 2022 ha approvato la Legge Regionale n. 25 sulla vita indipendente: come conviveranno ora queste leggi regionali con una norma nazionale che per altri due anni resterà in standby?».
Agli enti locali questa riforma chiede un grande sforzo di cambiamento e alcuni territori si stavano già attrezzando, ma il messaggio dato ora dal Governo genera confusione nei territori e li legittima a rallentare
Lisa Noja, consigliera regionale in Lombardia per Italia Viva
Legge 328 e DM 62, la differenza sta nel budget di progetto
Il secondo punto riguarda le risorse per sostenere quei progetti. «Ora si dice “non preoccupatevi”, perché chiunque e in tutte le province può richiedere anche oggi un progetto di vita ex articolo 14 della 328/2000. È vero: ma la legge delega fa un passo in più, dice che tutti i sostegni possono essere messi a servizio del progetto di vita. Il salto è enorme. Vuol dire che è la persona con disabilità a decidere come usare i soldi. Un progetto di vita che può muoversi solo nel perimetro dell’offerta di servizi esistenti, com’è quello della legge 328, non è la stessa cosa. La riforma altrimenti dove starebbe? La preoccupazione è che si usi questo arco di tempo per depotenziare la riforma e per mettere mano alle parole chiave che la legge delega conteneva, tra cui de-istituzionalizzazione, diritto all’autodeterminazione, diritto a scegliere dove e con chi abitare, diritto ad una vita sociale e lavorativa».
Rispetto alla 328 la legge delega fa un passo in più, dice che tutti i sostegni possono essere messi a servizio del progetto di vita. Vuol dire che è la persona con disabilità a decidere come usare i soldi. Un progetto di vita che può muoversi solo nel perimetro dell’offerta di servizi esistenti, com’è quello della legge 328, non è la stessa cosa
La reazione più dura, sul rinvio, è quella espressa dal comunicato congiunto di Persone, il coordinamento nazionale contro la discriminazione delle persone con disabilità), del Movimento antiabilista e di Unasam-Unione Nazionale delle Associazioni per la Salute Mentale. Si tratta di una rete di protesta che mette al centro l’istanza della autodeterminazione e della de-istituzionalizzazione. La grande aspettativa delle persone con disabilità, sottolinea infatti la rete, è «scegliere liberamente per la propria vita», cosa che finora è stata solo «un sogno».
Dirimente in particolare è la possibilità di «dirigere i fondi, oggi destinati in grande misura alle strutture residenziali e semiresidenziali, verso progetti di vita personalizzati e partecipati, di cui sia titolare la stessa persona con disabilità, che potrà disporre di un budget di progetto da impiegare per autodeterminare quanto più possibile la propria vita. Non ci saranno più fondi destinati all’abitare che debbano essere spesi solo e obbligatoriamente presso strutture residenziali, ma la persona – se necessario col supporto della sua famiglia – potrà decidere dove, come e con chi vivere, con i sostegni necessari, sia finanziari che di altra natura. Si passerà dalla standardizzazione dei percorsi – a cui siamo stati abituati – a una personalizzazione degli stessi sulla base dei desideri e delle aspirazioni della persona interessata».
Empowerent e de-istituzionalizzazione
Da quel primo comunicato sono trascorsi ormai dieci giorni, in cui – spiega ora un’esponente della rete – «abbiamo aumentato la nostra voce. Siamo un movimento alternativo all’associazionismo istituzionale, che vuole avere voce in capitolo ed essere ascoltato. Abbiamo acceso una luce su alcune ombre che ravvisiamo nel rapporto tra il ministero e l’associazionismo. Abbiamo ribadito che ci sono, in questo Paese, persone con disabilità, familiari, attivisti, professionisti, che rifiutano ogni tipo di istituzionalizzazione e segregazione. Abbiamo evidenziato con forza che questa legge non è soltanto una fra le tante che riguardano le persone con disabilità, ma è prima di tutto una restituzione di empowerment: non c’era mai stata prima una legge che riconoscesse la possibilità di usare le risorse che ieri servivano per tenere le persone con disabilità in una struttura, per farla stare a casa. La differenza con il progetto di vita previsto dalla 328 è sostanziale e va chiarito alle persone. La 328 dà accesso ai servizi esistenti, ma non li mette in discussione: la legge delega invece con il progetto di vita individualizzato, personalizzato e partecipato mette in discussione i servizi, partendo dai desideri della persona. Nella 328 la persona con disabilità non deve necessariamente partecipare alla stesura del progetto di vita, qui invece ne è titolare: una ridistribuzione del potere non indifferente».
Questa legge non è soltanto una fra le tante che riguardano le persone con disabilità, ma è prima di tutto una restituzione di empowerment
Persone, Movimento antiabilista e Unasam
Le associazioni dentro il percorso della riforma
Evidenziare la centralità del processo di de-istituzionalizzazione significa rilanciare un confronto aperto e trasparente sul senso e la direzione della riforma ma anche dell’operato del Terzo Settore. In questi giorni c’è chi ha detto che a frenare la riforma sono le resistenza del ministero della Salute. Qualcun’altro ha puntato il dito contro il conflitto di interessi che coinvolge quella parte di Terzo settore che è anche erogatore di servizi. Altri hanno parlato invece dello scontro – che sarebbe peraltro solo all’inizio – fra gli interessi di parte delle singole categorie di persone con disabilità e delle loro associazioni, perché se la riforma deve cambiare le cose in termini di maggiore equità, ma con il vincolo delle risorse invariate, è chiaro che rispetto all’esistente qualcuno potrà guadagnarci qualcosa solo se qualcun’altro sarà disposto a perdere qualcosa. Le rose e le spine.
Lisa Noja non nega la complessità del quadro, ma gli dà una cornice: «Noi abbiamo un sistema in cui c’è un mondo associativo che per molti anni ha supplito alle carenze del pubblico, organizzando servizi. Hanno dovuto fare di necessità virtù. Questo fa sì che alcuni soggetti oggi abbiano sia un ruolo di advocacy sia di gestore di servizi. Ed è evidente a tutti che quando attrezzi un servizio, poi lo devi far stare in piedi. Il rischio di far fatica a tenere due cappelli c’è, anche se sicuramente le associazioni hanno sempre agito nell’interesse delle persone con disabilità. Tra l’altro sia i servizi residenziali sia quelli domiciliari sono necessari. Quando ci sono riforme così epocali, c’è il rischio che ci sia un contrasto di interessi tra le due linee, ma gestire questo contrasto è esattamente il compito della politica. E si può gestire, avendo chiaro che il centro è il diritto della persona a decidere cosa è meglio per lei, dove e con chi vivere: un conto è avere questo focus, un altro è cercare di “salvare capra e cavoli”. Quel che è certo è che non si può pensare di cambiare le cose che non funzionano – e oggi non funzionano, lo dice anche la ministra – a parità di risorse. Il confronto e anche il conflitto tra le diverse parti associative ci sta, ma il tema è se questa riforma è o non è una priorità per il Governo: questo lo si capirà chiaramente dal fatto che avremo o non avremo stanziamenti maggiori in legge di bilancio».
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