Mondo

“Attacco terrore a Ue” momento di verità per Nato?

È quanto si chiede Paul E. Gallis, capo sezione per gli affari europei, eurasiatici, esteri e difesa del Congresso Usa, nel caso di un attacco terroristico contro Europa

di Paolo Manzo

Un nuovo attacco terroristico in grande stile avverrà con certezza. E se questa volta dovesse colpire obiettivi in Europa anziché negli Usa, dove tanto il mondo politico quanto l’opinione pubblica sono preparati a tale evenienza, si tratterebbe di ”un momento della verità” che metterebbe in evidenza il nodo dell’attuale problematica transatlantica. Sarebbe infatti l’Europa in grado di rispondere militarmente senza l’aiuto determinante degli Stati Uniti? È quanto si chiede Paul E. Gallis, capo sezione per gli affari europei, eurasiatici, esteri e difesa del Congresso Usa, secondo cui lo scarso impegno degli alleati in fatto di spese militari e capacità di trasporto truppe nelle aree di crisi sarebbe drammaticamente messo in luce. In uno scenario del genere non ci sarebbero dubbi, spiega Gallis all’Adnkronos, sulla solidarietà americana. L’invio di truppe e l’invocazione dell’articolo 5 dell’Alleanza atlantica da parte del Congresso sarebbero scontati. Ma gli interrogativi sulla credibilità europea in caso di un elevato numero di vittime americane in combattimento insorgerebbero inevitabilmente oltre Atlantico, unitamente ai dubbi sulla capacità europea di rispondere adeguatamente in caso di elevato numero di vittime europee dell’aggressione terroristica. Gli americani, in altre parole, potrebbero essere ancora una volta chiamati a sopperire in assenza di un’autentica divisione dei compiti e dei rischi. Quello americano nella guerra in Afghanistan è stato ”unilateralismo dettato da necessità e non per scelta”. Gli Usa, secondo Gallis, hanno ritenuto di dover agire da soli in quanto unica potenza in grado di intervenire sollecitamente sul terreno, ferma restando l’opportunità di un coinvolgimento dell’Europa (e della Russia) a livello politico e di cooperazione nell’intelligence. È un fatto che solo la Gran Bretagna, ed in misura più limitata la Francia, si siano dimostrate capaci di un impegno analogo. Gli alleati non hanno imparato la ”lezione del Kosovo”, e la necessità derivante di una maggiore preparazione militare. Tale dato di fatto, al cospetto di bilanci della difesa calanti nel Vecchio continente, rimane il principale fattore di irritazione nei rapporti transatlantici. L’Identità europea di difesa e la creazione di una Forza di risposta rapida, accolte inizialmente con sospetto quando non con ironia a Washington, sono viste oggi come un passo nella giusta direzione, ma limitato alla dimensione politica e senza carattere operativo. L’integrazione europea resta, oggi come ieri, un obiettivo strategico per gli Stati Uniti, tanto più dopo l’introduzione della moneta unica. L’Amministrazione, il Congresso e gli imprenditori vedono con favore una Ue caratterizzata da stabilità politica ed economica, come partner commerciale e spazio per investimenti. Un disimpegno americano dall’Europa sarebbe inimmaginabile alla luce di tale interdipendenza. È sintomatico che sia calato il silenzio sulle riserve europee nei confronti del progetto Usa di difesa anti-missili. E ciò perché gli alleati pensano di aver individuato un’accettazione di fatto da parte del Presidente russo Putin, sottolinea Gallis. Quanto al futuro della Nato, permane a Washington il rifiuto della concessione a Mosca di un diritto di veto sulle questioni essenziali dell’Alleanza. Anche se il comportamento ed il senso di responsabilità russi andranno verificati pragmaticamente caso per caso. La Russia ha collaborato alla battaglia contro il terrorismo, in termini politici e di scambio di intelligence; ma non è cessata la fornitura di tecnologie missilistiche all’Iran e rimangono le critiche alla presenza Usa nell’Asia centrale, alla revoca del Trattato Abm ed alla decisione di Washington di immagazzinare le testate nucleari ridondanti rispetto alle nuove intese sul controllo degli armamenti. Un quadro complesso, non privo di elementi incoraggianti, sullo sfondo del quale, rileva ancora Gallis, l’interrogativo fondamentale resta: fino a che punto Putin sarà in grado di coinvolgere nelle sue aperture all’Occidente l’establishment militare e spionistico di Mosca? Nel frattempo, mentre la Russia appare comunque costretta a ridurre il suo arsenale nucleare non essendo in grado di sostenere i costi per l’immagazzinamento delle testate, l’Amministrazione Bush procede alla sperimentazione in vista della dislocazione di uno ”scudo” anti-missile fondato su un sistema adeguato. Che più che a fronteggiare la minaccia da arte di gruppi terroristici o di stati-canaglia potrebbe servire alla difesa contro il crescente potenziale missilistico-nucleare della Cina. Anche se Pechino, secondo Gallis, è ancora lontana dall’aver acquisito un arsenale davvero pericoloso per la sicurezza Usa.


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