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Atene brucia, l’Europa trema

Violenza e sangue in Grecia, i mercati finanziari in difficoltà

di Franco Bomprezzi

Immagini forti, violenza e morte ad Atene: la crisi economica e finanziaria spaventa i mercati europei, e i giornali oggi legano strettamente le notizie di cronaca dalla Grecia allo scenario finanziario del Continente.

“Atene sconvolta dalla guerriglia, uccisi tre bancari”, è il primo titolo del CORRIERE DELLA SERA, anche se l’apertura è dedicata ai nuovi sviluppi dell’inchiesta che ha coinvolto Scajola. La sintesi dei fatti: «Nel primo giorno di sciopero generale scontri davanti al Parlamento. Attaccati dai manifestanti edifici pubblici e sedi di istituti di credito: tre impiegati intrappolati tra le fiamme appiccate alla sede della loro banca sono morti asfissiati. Tafferugli anche a Patrasso e Salonicco. Il reportage, “Quei corpi di lavoratori innocenti” è firmato da Antonio Ferrari. Questo l’incipit: «Siamo sull’orlo dell’abisso», dice con voce accorata il presidente della Repubblica Karolos Paoulias. I cadaveri delle due donne (una era incinta) e di un uomo, giovani e incolpevoli impiegati di banca, pesano sulla coscienza della crisi». In grande evidenza a pag 2 e 3 l’intervista allo scrittore Vassili Vassalikos che dice “«Il premier avrebbe dovuto parlare mesi fa»” che spiega: «Un conto sono i manifestanti, ed io con loro, che accettano come ineluttabili i sacrifici, ma chiedono che almeno un colpevole finisca in prigione, e che anche i benestanti conoscano i morsi della crisi. Che insomma non debbano pagare soltanto quelli che finora guadagnavano mille euro al mese, e da oggi se ne ritrovano in tasca ottocento». A box anche la nuova mappa europea dell’Economist: “«Il Sud d’Italia come la Grecia»”. A pag. 5 la crisi vista dagli altri paesi europei: “Merkel: la Germania proteggerà l’Europa” è l’apertura. Danilo Taino parla di una Germania pronta a «prendersi sulle spalle l’Europa»”, mentre il politologo francese Moisi dice: “gli attacchi alle banche? Figli del nuovo populismo”.

“Grecia in rivolta, guerra nelle strade”: è il titolo allarmato de LA REPUBBLICA che al caos ellenico dedica tre pagine seguite da una doppia economica. Pesantissimo il bilancio della giornata di ieri: edifici in fiamme, assedio al Parlamento e alle banche, 3 bancari rimasti intrappolati in una di esse, la Marfin Bank, sono morti asfissiati. Una delle due donne era incinta di 4 mesi. La folla inferocita, gli slogan pesanti («ladri, ladri»), l’appello all’unità nazionale del premier Papandreou che dice «siamo sull’orlo dell’abisso». La rivolta sarebbe stata gestita da un arcipelago di gruppi di black bloc (se ne contano una sessantina, attivi nell’ultimo anno con una serie molto diversificata di attentati). Da segnalare l’intervista a Daniel Cohn-Bendit, leader dei Verdi europei ed ex 68ino: “Sono soltanto pochi violenti ma chi va in strada vuole giustizia”. Sottolinea che appunto rispetto alle centinaia di manifestanti, sono pochi i fautori della distruzione e che in Grecia si sta svolgendo un processo difficilissimo: è uno stato «in cui nessuno si identica o quasi. È sempre sttao lo Stato degli altri, lo Stato dei ricchi e dei potenti, ognuno lo ha strumentalizzato per sé. È sempre apparso lo Stato di politici corrotti, a gente ha partecipato alla corruzione». La ricetta europea a suo dire è frettolosa: non lascia il tempo di spiegare i sacrifici; ed è ipocrita: «chiediamo ai greci tagli pesantissimi ma abbiamo guadagnato miliardi vendendo le armi». Sul fronte macro-economico, l’euro a picco scende a 1,29 sul dollaro mentre la speculazione mette sotto attacco Spagna e Portogallo (con le borse in generale calo). In appoggio l’economista Nouriel Rubini avverte: «il contagio può estendersi…. I maggiori pericoli li corre il Portogallo. Poi Irlanda e Spagna, quindi con un ragionevole distacco l’Italia». Suggerisce un piano B: «una preliminare ristrutturazione del debito greco, a partire da un allungamento delle scadenze con l’offerta di nuovi titoli in cambio di quelli esistenti». Il commento di Adriano Sofri: “L’ultima Odissea”. Ripercorre la storia recente della Grecia per sottolineare come il trattamento ad essa riservato sia «una minaccia all’idea stessa di una comunità europea. I nuovi Greci hanno fatto una quantità di esperienze che a noi sono state risparmiate. Senza, perdiamo molto di più che il Partendone – e il Partendone non è poco».

IL SOLE 24 ORE apre a con la Grecia. Sopra il titolo “Rivolta in Grecia contro l’austerità” sotto una foto degli scontri. L’editoriale è a cura di Moisés Naim “L’Europa a marcia indietro”. «È iniziata con una tragedia greca, è proseguita con un’operetta spagnola e si potrebbe concludere con una dirompente opera tedesca». attacca l’economista venezuelano, «La crisi economica europea cresce, si diversifica e si complica. Se continua in questo modo, potrebbe mettere fine, anche in maniera drammatica, al progetto più brillante e innovativo della geopolitica mondiale: l’integrazione europea. Raggiungere l’ambizioso obiettivo di consolidare l’integrazione economica europea e di trasformare il continente in un protagonista politico coeso a livello internazionale è indispensabile per gli europei, e rappresenta uno sviluppo positivo per il resto del mondo. Se ricominciasse a dividersi, l’Europa non riuscirebbe a difendere efficacemente i propri interessi, mantenere gli standard di vita a cui i suoi cittadini si sono abituati e diventare un giocatore rilevante a livello mondiale. Purtroppo, un’Europa meno integrata ha smesso di rappresentare uno scenario così impensabile come lo era fino a pochi mesi fa». Dunque solo due le possibilità che si profilano «il post-crisi può svilupparsi in due modi: “Più Europa” e “Meno Europa”. Sarà l’ultima condizione a prevalere, a meno che non si verifichino cambiamenti drastici per tre diverse componenti: le politiche economiche dei governi; l’impunità con cui politici opportunisti, sia al governo che all’opposizione, mentono agli elettori sulla gravità della situazione e, non da meno, la condiscendenza di un pubblico propenso a ripudiare quei politici che dicono la verità. “Meno Europa” è lo scenario che sembra scaturire da una “soluzione” per la Grecia che si rivelerà insufficiente nel giro di pochi mesi, e richiederà la necessità di riproporre al paese altri aiuti finanziari». Il quotidiano economico dedica al caso 6 pagine. Oltre alla cronaca dei disordini che hanno portato alla morte di tre persone vari approfondimenti. «In sette mesi dalla festa all’incubo” di Angelo Mincuzzi ripercorre il brevissimo mandato di Papandreou «Atene, sette mesi fa. Le telecamere indugiano sul volto raggiante di un George Papandreou felice come mai. Le bandiere sventolano, la folla esulta. I numeri, schiaccianti, incoronano il leader del Pasok nuovo padrone della Grecia: 160 deputati su 300 e dieci punti di vantaggio sui rivali del conservatore Kostas Karamanlis. È il 4 ottobre 2009, le urne sentenziano che il paese ha deciso di cambiare, convinto dallo slogan del leader socialista: “Ridaremo il sorriso alla Grecia”. Atene, ieri. Il paese paralizzato dallo sciopero generale, la folla che invade le strade, il lancio delle molotov, il fuoco, la rabbia. E i morti. Le telecamere ora indugiano sulla violenza della guerriglia urbana e sul fumo – acre – che soffoca l’aria. Da Bruxelles la Ue affida al commissario per gli Affari economici, Olli Rehn, il compito di gettare acqua sul fuoco: “Se ce ne sarà bisogno copriremo le necessità della Grecia anche nel 2013”, dice. Ma intanto Atene brucia. E questa volta brucia davvero». Da leggere con attenzione “Il decalogo di sicurezza per i risparmiatori italiani” di Marco Liera che elenca 10 risposte utili a domande frequenti.

 Tre pagine di cronaca, di commenti e di interviste su IL GIORNALE. Apre un editoriale in prima di Nicola Porro “La tragedia greca ora ha 3 morti” nel quale Porro spiega la sua versione dei fatti: «I tre morti di ieri sono il vero motivo peri quali la Grecia è nel burrone. Le tre incolpevoli vittime non sono l’effetto della crisi ma la causa…..Il fallimento di Atene è essenzialmente un fallimento politico. Il popolo dei giovani, dei sindacati, dei lavoratori pubblici ha avuto negli ultimi dieci anni la pretesa che il proprio posto fosse gratis». Ancora Porro: «Una micidiale cultura che per semplicità potremmo definire sindacale ha stabilito negli anni un ricco menù di diritti, senza pensare al conto dei doveri. E ieri, con rabbia, si è riversata in piazza, pretendendo che fosse loro servito il medesimo pasto». E questo pasto lo richiederanno ancora la settimana prossima. Infatti, secondo l’articolo sulla cronaca di ieri “Guerriglia urbana ad Atene: Brucia una banca, tre morti“ il vicepresidente del sindacato Adedy annuncia che per la settimana prossima ci sarà un altro sciopero dei dipendenti pubblici. Ma non c’è solo Grecia nelle tre pagine di approfondimento. Anche gli Stati Uniti non sono messi bene.  Nel pezzo “Usa peggio della Grecia, ma fanno il doppio gioco” Marcello Foa scrive che gli Stati Uniti stanno in condizioni altrettanto gravi se non peggio. Quest’anno Washington registrerà un deficit pari al 12% del Pil, il debito pubblico salirà oltre l’80% ed è destinato a toccare il 100% nel 2012.  Oltre al debito pubblico, Foa fa notare che l’America è gravata da un enorme debito privato, che sommato a quello pubblici, raggiunge il 300% del Pil. E le agenzie di rating cosa fanno? Continuano a agire in una zona grigia, senza contrappesi, senza concorrenza e in queste ore «contribuiscono in modo decisivo a sfiancare l’euro per salvare il dollaro».

“Fuoco greco” è il titolo di apertura del MANIFESTO. La cronaca degli eventi è alle pagine 2-3,4, con un’intervista al regista greco Theo Angelopoulos: «Sono sconvolto», dice «altre volte la manifestazione aveva un carattere di protesta e c’era anche violenza della polizia e  cose di questo tipo. Questa volta è diverso: c’è il fatto che delle persone hanno gettato bombe in una banca mentre dentro c’era gente che lavorava. Questo è un assassinio, non è politica». Il commento di Galapagos è intitolato “Que se vayan todos”: «Oggi la Grecia è allo stesso punto dell’Argentina del 2002. Anzi, è nella stessa situazione nella quale si trovava la Polonia all’inizio degli anni ’90. Molti fanno finta di non ricordarlo, ma anche Varsavia fece default e rinegoziò il debito pubblico ottenendo-imponendo uno sconto del 50%. La Polonia si è ripresa e l’Argentina anche. La Grecia che farà? Al piede di Atene, la Ue ha messo un enorme palla di ferro – come si faceva per i galeotti – con la quale ha vincolato gli aiuti finanziari. Ma aiuti a chi? I dati su chi possiede il debito pubblico greco (300 miliardi di euro) non sono precisi al centesimo, tra pochi giorni dovremmo sapere (c’è una richiesta della Autorità di controllo) l’esatto ammontare, ma si sa che a detenere molti dei bond sono banche tedesche e francesi, fondi di investimento (attratti dagli alti rendimenti) e compagnie di assicurazione, anche italiane. L’accordo tra Grecia, Fmi e Ue prevede che mano a mano che i bond sul mercato verranno a scadenza saranno sostituti da nuove obbligazioni emesse dalla Ue. Di fatto la Grecia non vedrà un euro dei 110 miliardi di prestiti che le sono stati concessi: i soldi finiranno tutti nelle tasche degli investitori più o meno istituzionali (…) Le condizioni poste alla Grecia, faranno precipitare il paese in profonda recessione con una caduta del Pil sia nel 2010 (-4%) che nel 2011. La manovra correttiva imposta a Atene è superiore in proporzione a quella dell’Italia nel 1992. Allora furono prelevati dalle tasche degli italiani oltre 95 mila miliardi di lire con il risultato di un ’93 di recessione, appena riequilibrata dal maggiore export che, grazie alla svalutazione della lira, rese più competitive le merci italiane. Tanto che l’anno seguente il saldo della bilancia commerciale si chiuse con un attivo di oltre 50 mila miliardi di lire. Ma la Grecia non «gode» neanche della possibilità della svalutazione e quindi la manovra si risolverà solo in recessione, accompagnata da un aggiustamento dei conti pubblici».

«Un Paese sull’orlo dell’abisso. Economico. Ma soprattutto sociale. Lo sciopero generale di ieri contro il drastico piano varato dal governo per uscire dal tunnel del disastro finanziario, si è trasformato in guerriglia. In lacrime e sangue. Con tre morti. Tre incolpevoli vittime di una esasperazione generale»: così AVVENIRE inizia la cronaca sui tragici fatti avvenuti ieri ad Atene durante lo sciopero generale. In prima pagina l’editoriale di Giorgio Ferrari titola “Trema un’intera società e anche una supermoneta”, sul passaggio «dagli impalpabili parametri di Maastricht  a un disagio umano immenso», destinando alla Grecia «un futuro all’insegna di una umiliante retrocessione sociale». Ferrari di quei «gruppuscoli di intonazione anarco-insurrezionalista» dice: «li si può comprendere, perché come dice l’economista francese Jean Paul Fitoussi, non è giusto sanzionare un popolo per le colpe di un governo: per le misure di austerità serve il consenso popolare». 
 
“Guerriglia ad Atene: tre morti fra le fiamme”. Fotonotizia e titolo principale in prima pagina sulla guerriglia urbana ad Atene e Salonicco. Nelle pagine che aprono l’edizione di oggi LA STAMPA contestualizza quanto accaduto nella crisi che sta investendo la Zona euro. “Tutta Eurolandia nel mirino degli speculatori” è il titolo a pagina 2. «La cronaca della crisi è un bollettino di una guerra che sembra impossibile da vincere» scrive il corrispondente da Bruxelles Marco Zatterin. «Scoppia la rivolta nella Grecia costretta a una manovra correttiva che vale l’11% del suo Pil, la protesta affolla le piazze e nel fuoco ci scappano i primi tre morti. La tempesta finanziaria uccide e brucia ricchezza. Non basta che l’Ue abbia deciso, a fatica, di garantire la contabilità di Atene. L’euro scivola sotto quota 1,29 col dollaro». L’inviato ad Atene scrive che «Per il presidente greco Karolos Papoulias: “Il Paese si trova sull’orlo dell’abisso” ed «è responsabilità di tutti» non cadervi. Tuttavia, scrive LA STAMPA, da parte di Atene non c’è «nessuna, nessunissima intenzione di fare marcia indietro sul pacchetto di sacrifici: “non è possibile, non abbiamo alternative” ha chiarito un portavoce di Papandreou». Tra le interviste da segnalare quella di Maurizio Molinari al guru dell’economia Allen Sinai, presidente di Primark Decision Economics, il quale afferma che la causa della crisi greca è Eurolandia: «La zona euro è cresciuta troppo in fratta estendendo l’applicazione di criteri assai rigidi a una moltitudine di Paesi deboli». «Il governo non ha strumenti economici per uscire dalla crisi del debito». Dovrebbe «manovrare i tassi di interessi e svalutare la moneta nazionale. Ma gli accordi di maastricht, che sono alla base dell’esistenza stessa di Eurolandia, lo impediscono».

E inoltre sui giornali di oggi: 

GRAN BRETAGNA
CORRIERE DELLA SERA – Due pagine dedicate alle elezioni inglesi di oggi. “Gran Bretagna in bilico. Appello di Blair” è la corrispondenza di Fabio Cavalera: «Le elezioni britanniche, questa volta, sono un thriller con due finali. Uno è scritto e scontato: i conservatori saranno il primo partito. Il secondo non lo è affatto: chi avrà più seggi in parlamento e formerà il prossimo governo? Ecco perché la caccia al voto è serrata, porta a porta, con i leader e ministri che vanno a bussare alle case e ad ascoltare la voce degli incerti, un esercito che non si è lasciato convincere dai tre dibattiti televisivi in diretta.  Ci sono i nostalgici in fuga dal vecchio Labour ma, al fotofinish, forse pentiti di tradire… La sortita dei tre ministri laburisti, guidati da Ed Balls, sul «voto tattico», un voto che dovrebbe indirizzarsi su quel candidato (laburista o lib-dem) che ha più possibilità di sconfiggere lo sfidante conservatore, ha ricevuto smentita da Brown e da un redivivo Tony Blair, di nuovo nella mischia col suo carisma intatto: «Votate Labour e basta». Ma il CORRIERE punta decisamente su Cameron  a cui Aldo Cazzullo dedica un ritratto a tutta pagina: “Dai banchi di Eton a Downing Street. La sfida di Cameron”.

VERDINI
IL SOLE 24 ORE – “Verdini indagato per corruzione”. Domenico Lusi racconta il caso dei progetti sull’eolico in Sardegna in cui il coordinatore del Pdl influiva appoggiando e favorendo imprenditori amici. «Ancora guai giudiziari per Denis Verdini. Il coordinatore del Pdl già coinvolto nell’indagine fiorentina sugli appalti della Protezione civile, è stato iscritto nel registro degli indagati della Procura di Roma per un’altra inchiesta su un grande intreccio d’affari e tangenti relativo ad appalti  in Sardegna, Campania, Lombardia e altre regioni. L’ipotesi del reato è sempre la stessa: corruzione».

LA STAMPA – “Impianti eolici: Verdini indagato per corruzione”. Dopo quella di Firenze, anche la procura di Roma ha iscritto sul registro degli indagati Denis Verdini, uno dei tre coordinatori nazionali del Pdl, per corruzione. Verdini è indagato insieme al faccendiere Flavio Carboni per aver “sponsorizzato” una cordata di imprenditori per la costruzione di un impianto eolico, convocando a Roma il neogovernatore della Sardegna Cappellacci per parlare delle autorizzazioni governative agli stessi impianti.

LA REPUBBLICA – Prosegue la bufera giudiziaria. Denis Verdini, uno dei coordinatori del Pdl,  indagato per il business dell’eolico. Nel mirino dei giudici gli appalti in Sardegna. È il secondo avviso a Verdini (il primo legato all’inchiesta sui grandi eventi). Lui reagisce con stizza all’ipotesi dimissionaria: «non ho l’abitudine, non fa parte della mia mentalità e non ho nessuna necessità di farlo». Berlusconi (che ha assunto l’interim dello Sviluppo economico, non curandosi del “possibile” conflitto d’interessi) grida al complotto. Fini e la Lega non sono d’accordo: ma quale congiura…

DISARMO
AVVENIRE – L’apertura è dedicata all’impegno per un Medioriente senza bombe preso dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, nell’ambito della revisione del Trattato di non proliferazione nucleare. È la prima volta che il Consiglio di sicurezza dell’Onu s’impegna a completare il disarmo atomico del Medio Oriente, ed è un’ipotesi che implica lo smantellamento degli arsenali di Israele, l’unico Paese nella regione a non aver sottoscritto il Trattato di non proliferazione e a possedere testate nucleari, anche se non lo ha mai ammesso. Il pronunciamento di ieri dei cinque membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu segna quindi una svolta. La richiesta è partita dall’Egitto, ma ad aver fatto la differenza rispetto ad altre riunioni, durante le quali simili richiami erano andati inattesi, è stata la posizione degli Stati Uniti. Il segretario di Stato Hillary Clinton lunedì aveva dichiarato senza mezzi termini che «un Medio Oriente libero da ordigni nucleari» era «una necessità» e che gli Usa erano pronti a «sostenere ogni misura pratica che raggiunga quell’obiettivo». Israele è pronto, ha detto un alto funzionario, «ma a condizione che tutti i Paesi arabi, incluso l’Iran, siano in pace con Israele».

CARCERI
LA STAMPA – “Svuota-carceri, Maroni contro Alfano”. Il ministro dell’interno ha bocciato senza appello il disegno di legge svuota-carceri che consentirebbe ai detenuti di trascorrere l’ultimo anno di pena residua ai domiciliari. Resta il problema del sovraffollamento. «I numeri parlano chiaro» scrive LA STAMPA «66 mila 905 detenuti con 20 casi di suicidio da inizio anno».

AVVENIRE – Si apre la polemica tra Maroni e Alfano sul ddl governativo in discussione in commissione Giustizia della Camera, che prevede alcune misure contro il sovraffollamento delle carceri, a cominciare dalla pena scontata ai domiciliari se inferiore a un anno: «è peggio di un indulto», ha detto Maroni, «perché non si tratterebbe di una una tantum, ma varrebbe per sempre: non siamo in grado di controllare i 10mila detenuti che andrebbero ai domiciliari, la metà sono immigrati e molti sono clandestini senza casa». La presidente della commissione, Giulia Bongiorno, ha detto che il problema del sovraffollamento è serissimo e chiesto che i ministri Alfano e Maroni partecipino ai lavori della commissione. 

SPRECHI
ITALIA OGGI – “E’ per farsi vedere, ma Cota sta tagliando”. Niente soldi dei piemontesi per gli uffici di rappresentanza a Roma. Pierluigi Magnaschi scrive un pezzo in seconda pagina dove loda il neo governatore del Piemonte per aver deciso di tagliare le spese di rappresentanza e di funzionamento della sede della regione Piemonte a Roma nella centralissima via delle Quattro Fontane. Cota, si legge nel pezzo, si era recato recentemente in quella sede in un giorno feriale intorno alle 16.45. Su sette dipendenti, a quell’ora ce ne era solo uno in servizio. La sede di rappresentanza a Roma costa 374 mila euro più 31 mila di iva all’anno. «Non solo, la precedente presidente Pd, Mercedes Bresso, nel 2006, certa evidentemente di essere confermata, aveva sottoscritto un affitto per ben sei anni con possibilità di rinnovo per altri sei».  Cota ha dato disposizione ai sui funzionari di rescindere il contratto e trovare un’altra sede. «Un paio di stanze, magari anche non in una zona centralissima, ci bastano» ha detto. Da notare che mentre la Lombardia e il Veneto hanno sedi romane con 7 impiegati, la Campania che è piena di debiti ne ha 18 e la Sicilia 27.


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