Cultura

Associazioni, che ve ne fate di Facebook?

I fans sui social media crescono, i followers aumentano, e tante organizzazioni non profit hanno la sensazione di "aver fatto centro". Ma i "mi piace" a quante donazioni in più corrispondono? Ma quante vite salvano davvero? Una grande ong se lo è chiesto. E offre qualche spunto per riflettere

di Gabriella Meroni

Il bambino, forse indiano o pachistano, è in piedi in una stanza misera. Il fratellino più piccolo è semisdraiato su un materassio sudicio, a terra. Il bambino inizia a parlare nella sua lingua, e i sottotitoli scorrono veloci: "Mi chiamo Rahim e ho 10 anni. Mia madre si è ammalata, e io ho paura di ammalarmi perché se mi ammalo nessuno baderà a mio fratello. Però sono ottimista perché l'Unicef svedese ha 177mila fans su Facebook, e forse raggiungerà i 200mila entro l'estate". Voce fuori campo: "I "like" non salvano vite. Le donazioni sì".

E' questo lo spot, piuttosto forte, che sta andando in onda in questi giorni in Svezia per iniziativa dell'Unicef di quel paese, il primo a dar vita a un interessante dibattito (ripreso in un ampio articolo dal quotidiano di Boston  The Atlantic) sull'effettiva utilità dell'attivismo online, di cui tanto si parla e straparla da qualche anno. All'inizio del trend tutto bene: le condivisioni, i social media servono al community building, a far crescere il consenso, migliorare la reputazione, diffondere il messaggio ecc. ecc. Si citava il clamoroso esempio della campagna Invisible Children su Kony (finita ahinoi maluccio per i problemi di salute mentale del fondatore), si contavano i "mi piace" su Facebook e i followers su Twitter come altrettante monete d'oro piovute nel forziere.

Ma ora che Facebook ha quasi nove anni e Twitter sette, un bilancio reale, al di là delle chiacchiere si può tentare. Le domande dell'Atlantic sono dirette: un clic su "mi piace" quante vite salva? Quante zanzariere ci si può comprare, a quante donazioni in più corrispondere? Donazioni vere,  si intende? Unicef Sweden è la prima grande organizzazione, presente in tutti i social media, a fare esplicitamente la domanda e a darsi una implicita risposta.

Oltre che con lo spot, l'organizzazione ha lanciato il sasso nello stagno con una campagna stampa in cui si legge: "Metti 'mi piace' sulla nostra pagina Facebook, e non salveremo nessun bambino dalla polio. Non abbiamo niente contro i 'like', ma i vaccini costano soldi veri. Per favore acquista un vaccino sul nostro sito, ti costa solo 4 dollari, ma salva la vita di 12 bambini". "Apprezziamo i 'like' su Facebook e crediamo siano un primo passo verso un reale coinvolgimento. Ma non ci si può fermare qui", ha detto il direttore della comunicazione della ong, Petra Hallebrant. "I 'like' non salvano le vite dei bambini. I soldi per comprare vaccini, per esempio, sì".

Qualcuno potrebbe dire che si tratta di una visione troppo manichea, ma la domanda rimane interessante: come far sì che i sostenitori virtuali non si limitino a un clic, sentendosi così a posto con la coscienza, ma sentano il bisogno di fare di più, aprendo il portafoglio vero e cacciando soldi veri? Ma soprattutto: come uscire dalla sensazione di "aver fatto centro" solo perché i numeri dei fans online crescono?

I numeri di due ricerche possono aiutare nella riflessione: la prima, realizzata dalla Georgetown University con il colosso pubblicitario Ogilvy Worldwide ha scoperto che gli attivisti online hanno la stessa propensione a donare di tutte le altre persone: in pratica, il fatto di seguire un'organizzazione non profit online non li qualifica automaticamente come migliori donatori. La seconda ricerca è più preccupante: secondo la professoressa Zeynep Tufekci, docente presso l'Harvard Berkman Center for Internet and Society, i cosidetti "attivisti online" non hanno niente a che vedere con gli attivisti veri; la loro azione è puramente simbolica (in fondo, un clic non costa niente), per loro seguire una ong equivale esattamente a pubblicare un post qualsiasi, come la foto del loro compleanno. Hanno accesso, probabilmente per la prima volta in vita loro, al mondo della solidarietà e lo stanno esplorando, tutto qui. Ma niente fa pensare che potrebbero, un giorno, entrarci fisicamente come donatori o volontari.

P. S. Nonostante le centinaia di milioni di clic sul video di Invisible Children contro Joseph Kony, il comandante della LRA ugandese è ancora libero e impunito


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