Cultura
Associazione. La parola-chiave di Giuseppe Mazzini
Scriveva Giuseppe Mazzini che "anche una tempesta può condurci al porto". Purché su quella nave, che Mazzini individua nell'idea di associazione, l'io sappia farsi noi e parlare una lingua comune. "Yes we can", disse qualche anno or sono Barack Obama. Pochi notarono che quella formula risaliva proprio a Mazzini, il cui busto in bronzo dal 1878 fa mostra di sé a Central Park. Ma per Mazzini non è possibile alcuna azione, senza un sentire comune in cui radicarla. E a questo fine, non bastano un po' di hashtag e diecimila condivisioni immateriali
di Marco Dotti
Scriveva Giuseppe Mazzini che "la politica afferra gli uomini ove e quali essi sono". Politica ha qui un'accezione alta, che sembra perduta per noi. Se non che lo stesso Mazzini rivendica non la mera purezza, ma la coerenza forte di mezzi e fini, in una società – come chioserà nel 1836, nel profetico e attualissimo "Sulla missione della stampa periodica" – che "manca d'insieme, di vita comune, di un fine generalmente riconosciuto; naviga con tutti i venti; oscilla tra l'audacia e la paura, tra la rivolta e la sottomissione".
Eppure, spiega il Mazzini, "anche una tempesta può condurci al porto". Purché su quella nave – che lui individua nell'idea di associazione e fonda su un innovativo sistema non di meri diritti, ma di concreti doveri – l'io sappia farsi noi. E sappia guardare al secolo, ossia alle generazioni, ai giovani.
"Yes we can", disse qualche anno or sono Barack Obama. Pochi notarono che quella formula – forse involontariamente ripresa – risaliva proprio a Mazzini, il cui busto in bronzo, d'altronde, dal 1878 fa mostra di sé nel West Drive di Central Park, a New York.
Per Mazzini – come ricorda Arianna Arisi Rota, nel bel libro che ci fa da guida e consigliamo: I piccoli cospiratori, Il mulino, 2010 – è fondamentale questo "We sense", un comune sentire che leghi, ma non soffochi mai nella nostalgia o nel paternalismo, passato, presente, avvenire e le generazioni che allo ieri, all'oggi, al domani guardano. Ma senza nostalgia. O meglio, con una vitale – per usare l'immagine di cui, anni dopo, si servirà Ernst Bloch – "nostalgia di futuro".
Ma questo futuro non può che fondarsi sui "nati col secolo", i giovani. Educazione e dovere, declinati e aperti sulla libertà futura e volti all'azione presente sono con loro, per loro: Mazzini scriverà anche in favore della scuola elementare aperta e gratuita, per tutti.
Perché leggere Mazzini? Perché lo abbiamo dimenticato, qui, in Italia, mentre la sua dimensione internazionale – "Yes we can" – si è invece consolidata. Perché tocca grandi temi, i nostri temi: pensiero, azione, associazione, mutualismo, terzo settore. Per questo, anche per questo, in quel capolavoro che ha titolo I piccoli maestri, Luigi Meneghello scriveva: "e dire che c'è già tutto in Mazzini; perché Mazzini è davvero anche lui uno di quelli in cui c'è già tutto, come sant'Agostino". I testi che seguono sono tratti, in particolare, da Interessi e principii e dai Doveri dell'uomo.
Associazione
“Il diritto d'Associazione è sacro, come la Religione ch'è l'associazione delle anime. Voi siete tutti figli a Dio: siete dunque fratelli: e chi può senza delitto limitare l'associazione, la comunione fra fratelli?
Questa parola comunione (…) è una santa parola. Essa diceva agli uomini che erano una sola famiglia d'eguali in Dio; e riuniva il signore e il servo in un solo pensiero di salvezza, di speranza e di amore pel Cielo.
Giuseppe Mazzini
(…) La comunione era il simbolo dell'eguaglianza e della fratellanza dell'anime; e spettava all'Umanità d'ampliare e sviluppare la verità nascosta in quel simbolo. L'associazione religiosa delle anime genera il diritto dell'associazione nelle facoltà e nell'opere che fanno realtà del pensiero. Sia dunque l'associazione dovere e diritto per voi. Taluni, a limitarne il diritto fra i cittadini, vi diranno che l'associazione è lo Stato, la Nazione: che voi ne siete e dovete esserne tutti membri: e che quindi ogni associazione parziale tra voi è o avversa allo Stato o superflua.
Ma lo Stato, la Nazione non rappresentano se non l'associazione dei cittadini in quelle cose, in quelle tendenze che sono comuni a tutti gli uomini che ne sono parte. Esistono tendenze e fini che non abbracciano tutti i cittadini, ma solamente un certo numero d'essi. E come le tendenze e il fine comune a tutti generano la Nazione, le tendenze e il fine comune a parecchi fra i cittadini devono generare l'associazione speciale.
L'associazione è il metodo dell'avvenire. Senz'essa, lo Stato rimarrebbe immobile, incatenato al grado raggiunto di civiltà. L'associazione deve essere progressiva nel fine a cui tende, non contraria alle verità conquistate per sempre dal consenso universale dell'Umanità e della Nazione.
(…) La libertà d'associazione fra' cittadini è sacra, inviolabile, come il progresso che ha vita in essa. Ogni governo che s'attentasse restringerla tradirebbe la missione sociale: il popolo dovrebbe, prima ammonirlo, poi, esaurite le vie pacifiche, rovesciarlo.
E son queste, o miei fratelli, le basi principali sulle quali poggiano i vostri Doveri, le sorgenti dalle quali scendono i vostri Diritti. Infinite sono le questioni speciali che possono sorgere nella vostra vita civile; ma non è parte di questo lavoro prevederle e aiutarvi a scioglierle. Intento unico del mio lavoro era additarvi, come fiaccole sulla via, i principii che devono predominare su tutte e nella severa applicazione dei quali troverete sempre modo di scioglierle”.
Stampa e pesinero: muovere all’azione
"Un Giornale non è un lavoro di legislazione: non opera se non a gradi. Un Giornale non ricopre i poveri seminudi, non dà pane agli affamati: predica, insiste perchè si faccia. Or come operare sull'anima di chi legge? Come convincere non solamente dell'esistenza del male ma della necessità di porvi rimedio? Come comunicare al lettore lo spirito d'attività, la forza di sagrificio necessaria per superare gli ostacoli?
Un Giornale è, generalmente parlando, scritto per le classi agiate; e queste classi, confortate di prosperità, non hanno l'esperienza dei patimenti, delle privazioni: esse vedono talora i mali del povero, ma s'avvezzano facilmente a considerarli come una triste necessità sociale, o lasciano la cura di rimediarvi alle generazioni future. L'indifferenza e l'obblìo sono sì dolci per chi siede nel sacrario della famiglia, circondato da volti sorridenti, mentre il vento d'inverno soffia al di fuori e la neve batte, minuta e rapida, l'invetriata d'una doppia finestra!
Sperate voi di strappare quei felici del mondo all'inerzia colla semplice espressione del fatto economico e di ciò che dovrebbe sostituirglisi in una società ben ordinata? Sperate di scotere il loro riposo d'egoismo colla sola fredda analisi di ciò che accade in una sfera nella quale essi non penetrarono mai?
Approveranno forse, come mera teorica, le vostre dottrine d'utilità; ma non chiedete loro d'operare a seconda. Perchè lo farebbero? voi parlate in nome degli interessi. Non è primo fra tutti il godere? or essi godono.
Tra l'approvazione e il sacrificio perciò che s'approva, giace un abisso che voi, col metodo vostro, non potete varcare. E nondimeno è quello il problema. L'uomo è pensiero e azione. Le vostre teoriche possono modificare il primo, non creare l'azione.
È dunque necessario modificare, riformare, trasformare l'uomo tutto quant'è nell'unità della vita. Bisogna insegnargli non il diritto, ma il dovere: ridestare al meglio l'indole imbastardita, l'anima semispenta, l'entusiasmo appassito: risollevare una potenza d'agire oggi schiacciata sotto l'indifferenza, colla coscienza della dignità umana e d'una missione da compirsi quaggiù. Ed è opera questa che spetta ai principî, alle credenze, al pensiero religioso, alla fede.
E fu l'opera di Gesù. Ei non cercò salvare coll'analisi il mondo morente. Non parlò d'interessi a uomini sui quali il culto degli interessi avea versato il veleno dell'egoismo. Affermò, nel nome santo di Dio, alcuni assiomi fino allora ignoti; e quei pochi assiomi che noi, dopo diciotto secoli, cerchiamo tradurre in fatti, mutarono aspetto al mondo. Una sola scintilla di fede compì quello che tutti i sofismi delle scuole filosofiche non avevano saputo intravvedere: un passo nell'Educazione del genere umano.
Il problema attuale – non ci stancheremo di ripeterlo mai – è, come ai tempi di Cristo, un problema d'educazione. Or cos'è mai una educazione che non posa su principî, che non è desunta da una fede comune, che non mira a conquistarle vittoria?"
Governo sociale, oltre la democrazia
In una nota del suo Foi et avenir, opuscolo pubblicato nel 1835, Giuseppe Mazzini è chiaro: la democrazia non può essere un sistema di lotta, come lo intendevano i vecchi giacobini, non può essere un sistema chiuso. Bisogna andare oltre. Infatti, “benché dotata di precisione storica, come tutte le locuzioni storiche dell’antichità, anche la parola democrazia è inferiore all’intelletto dell’Epoca futura che spetta a noi repubblicani cominciare. L’espressione governo sociale sarebbe da preferirsi, come pensiero d’associazione che è la vita dell’epoca”.
"Non rinnegate mai la speranza"
In Mazzini, la pedagogia dell’azione è immersa nella dimensione temporale dell’aspettativa: progetto, generazione e speranza diventano parole chiave di questa institution politique de l’avenir.
Scrive Mazzini, in una lettera dell’8 ottobre 1831:
Abbiamo dunque a disperare delle cose nostre? Tutt’altro: il vile dispera; noi no – dieci tentativi andarono a vuoto? Riusciremo all’undicesimo.
E nel suo appello Alla gioventù italiana, pubblicato dopo il fallimento della seconda spedizione di Savoia, Mazzini rafforzerà la propria posizione, richiamando le parole del teologo cattolico Lamennais:
Non vincerete in un giorno. Quand’anche le vostre speranze fossero state deluse non sette, ma settanta volte sette, non rinnegate mai la speranz”.
Generazioni
Le grandi cose, per Mazzini, “non si compiono co’ protocolli, bensì indovinando il proprio secolo”. Secolo e generazioni sono pressoché sinonimi, nelle parole di Mazzini. La generazione è corale, come l’associazione: garantisce il passaggio dall’ “io” al “noi”.
Per questo, scrive Mazzini, la “legge prepotente delle generazioni è la sola capace di rompere violentemente la catena che lega i tempi e le cose”. E sull’amore per i “figli del secolo”, scrive: “Amate i figli che la Provvidenza vi manda; ma amateli di vero, profondo, severo amore; non dell'amore snervato, irragionevole, cieco, ch'è egoismo per voi, rovina per essi. In nome di ciò che v'è di più sacro, non dimenticate mai che voi avete in cura le generazioni future, che avete verso quell'anime che vi sono affidate, verso l'umanità, verso Dio, la più tremenda responsabilità che l'essere umano possa conoscere: voi dovete iniziarle, non alle gioie o alle cupidigie della vita, ma alla vita stessa, ai suoi doveri, alla Legge morale che la governa.
Poche madri, pochi padri, in questo secolo irreligioso, intendono, segnatamente nelle classi agiate, la gravità, la santità della missione educatrice: poche madri, pochi padri pensano che le molte vittime, le lotte incessanti e il lungo martirio dei nostri tempi son frutto in gran parte dell'egoismo innestato trenta anni addietro nell'animo da madri deboli o da padri incauti, i quali lasciarono che i loro figli s'avvezzassero a considerare la vita non come dovere e missione, ma come ricerca di piacere e studio del proprio benessere.
Per voi, uomini del lavoro, i pericoli sono minori; i più fra i nati da voi imparano pur troppo la vita dalle privazioni. E minori sono d'altra parte in voi, costretti dalla povera condizione sociale a continue fatiche, le possibilità d'educare come importerebbe. Pur nondimeno potete anche voi compiere in parte l'ardua missione. Lo potete coll'esempio e colla parola”.
Immagine di copertina: Il monumento dedicato a Arnaldo da Brescia, nell'omonima piazza della città lombarda. Il volto della statua è, in realtà, quello di Giuseppe Mazzini
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