Welfare

Assistenza domiciliare, Regione inadempiente E l’Europa non paga

A rischio 90 milioni di fondi per le politiche sociali

di Francesco Dente

Al taglio della torta manca davvero poco. Pochi giorni ormai. Sul vassoio c’è un “manicaretto” di quasi 90 milioni di euro messi a disposizione dall’Unione europea e dallo Stato a titolo di premio per i cosiddetti “obiettivi di servizio”. Nel piatto della Sicilia, però, potrebbe finire una porzione molto più piccola di quella che in realtà le spetterebbe. Un piccolo boccone. Ma soprattutto, un boccone amaro.
Il 30 novembre scatterà la verifica intermedia sul raggiungimento dell’obiettivo relativo alla percentuale di copertura dell’assistenza domiciliare integrata agli anziani previsto dal Quadro strategico nazionale 2007-2013 per le regioni meridionali. Le aree del Mezzogiorno entro il 2013 dovranno assicurare assistenza a casa al 3,5% della popolazione con più di 65 anni. Se ci riusciranno, otterranno la premialità. Una parte del premio, tuttavia, sarà assegnata già nei prossimi mesi sulla base, appunto, della valutazione intermedia. Misurando cioè la distanza colmata tra il valore iniziale dell’indicatore relativo alla cura degli anziani e il target finale. La Sicilia attualmente è all’1%. A meno di un terzo, dunque, del percorso.
Una spinta verso il traguardo del 3,5% nel 2013 potrebbe arrivare dalla prima tranche dei 90 milioni di bonus a disposizione dell’isola. Somme che consentirebbero di potenziare ulteriormente l’assistenza domiciliare integrata. Ma, e qui casca l’asino, la Regione guidata da Lombardo non ha ancora elaborato un efficace sistema che consenta di conteggiare, ai fini della premialità, le ingenti somme spese negli ultimi tre anni (2006-08) per il bonus socio-sanitario.
Nelle tasche delle famiglie siciliane che si prendono cura di un disabile grave o di un anziano ultrasessantacinquenne non autosufficiente sono finiti, infatti, circa 87 milioni. Non è l’unica singolarità della misura di sostegno siciliana. Il buono, in teoria, potrebbe essere erogato sotto forma di contributo economico oppure di voucher per l’acquisto di servizi di assistenza dalle organizzazioni del terzo settore, ad esempio assistenza per l’igiene quotidiana degli anziani. In pratica, però, quasi nessuno ha chiesto il voucher e ha preferito incassare, “cash”, il sostegno economico.
La giunta guidata da Raffaele Lombardo, del resto, ha eliminato l’obbligo, stabilito dal precedente governatore Salvatore Cuffaro, di spendere almeno metà del buono presso gli enti non profit. Un meccanismo, questo, che consentiva di favorire l’offerta di servizi qualificati, sostenere le attività del privato sociale e, soprattutto, scoraggiare l’uso improprio della somma erogata. L’impressione, invece, è che il buono socio-sanitario si sia ridotto a un semplice sussidio economico. A causa anche del debole raccordo fra Comuni e distretti socio-sanitari.
Sull’efficacia di questo strumento di sostegno pesa, inoltre, la difficoltà di inserirlo a pieno nella programmazione dei Piani di zona. Infine, nonostante sia una misura di intervento sociale prevista da una legge regionale, la 10/2003 sulla famiglia, è finanziata in larga parte con risorse statali provenienti dal Fondo nazionale delle politiche sociali e dal Fondo per la non autosufficienza.

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