Cultura

Assassini e innocenti? Nella Milano “urfida” si può

Un romanzo che cattura e che parte da un diario abbandonato

di Redazione

di Riccardo Bonacina
In filigrana, una partita a scacchi giocata al computer con Armando, un nome vero o forse un avatar. Danio, lo psicologo protagonista del romanzo di Montanari, l’ha agganciato su un sito di fanatici del gioco e con lui trascina una partita che dura ormai da cinque anni. La partita a scacchi è la prima metafora del romanzo, metafora di un approccio alla vita, quello di Danio (ma non solo), quello di chi vorrebbe ridurre l’impatto con la realtà alla conseguenza delle proprie mosse. Insomma, uno «spreco di intelligenza», come dice Danio in un momento di lucidità.
L’altra metafora è la colonna sonora, pervasiva e onnipresente, la musica di Miles Davis (il «Divino», lo si chiama nel romanzo), ovvero la vita così come ogni giorno ci si propone smarcando ogni nostra mossa, imprevedibile, strana, eccedente ogni nostro pensiero e ogni nostro possibile pronostico.
Ecco, queste due tracce in filigrana che percorrono tutte le 279 pagine del romanzo sono le coordinate di Strane cose, domani, il resto è, davvero, vita. La sua trama scritta attraverso le vicende di Danio, Cristiana, Eliana, Federica, Ric, Tommy. Come confessa lo stesso Montanari nel “Prologo” al romanzo, questa storia nasce da un episodio vero che ha visto protagonista lo scrittore. Due anni fa, mentre percorreva in bici i viali di Parco Sempione sotto la pioggia, vede un oggetto su una panchina, deserta come tutte le altre.
Era un diario che poi Montanari scoprirà essere di una ragazza, diciottenne, in cui erano appuntati i giorni difficili di un anno di sofferenze. Scoprirà Montanari (e con lui, Danio) che la ragazza aveva lasciato quel giorno sulle panchine del Parco ben sette diari, ciascuno diverso dall’altro ma tutti suoi, come per liberarsi della sua sofferenza. Insomma, «una storia scritta dalla vita», dichiara Montanari, «con una tale potenza di suggestione e di trama che era impossibile non diventare servo di quella storia».
E Montanari è un “servo” dalla maestria rara. Strane cose, domani è libro che, appena lo inizi, non lo lasci sino alla fine (capita spessissimo con i romanzi di Montanari) grazie ad una tecnica (quella del noir, tecnica in cui Raul è sicuro campione) che lo scrittore usa in maniera sopraffina. Ma quel che più colpisce del romanzo, di cui non vi sveliamo la trama che da quel diario abbandonato si dipana, è che nella vicenda di Danio, Cristiana, Eliana, Federica, Ric, Tommy, e gli altri, è come se prendessero corpo, fisionomia, psicologia, trama, gli umori di Milano, i suoi appetiti, i suoi odori, le sue tentazioni, i suoi disagi.
Insomma, Strane cose, domani mi è parso un romanzo “di” e “su” Milano, e non solo e non tanto per un finale che cita, in qualche modo Miracolo a Milano di Cesare Zavattini, ma per i garage, le discariche, la toponomastica, gli umori umani e meteo “urfidi” («una giornata urfida», dice spesso Cristiana), e soprattutto per le vicende umane di persone insieme «assassine e innocenti». Già come tanti tra noi, spaesati e persi nella moltidudine metropolitana e nella sua geografia e toponomastica sempre meno “abitata” e abitabile.

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