Cultura

Aspira e annusa Qui c’è aria di mine

Sperimentato un sistema che fiuta la presenza degli ordigni

di Carlotta Jesi

Le mine antiuomo? Se le annusi le eviti. È la straordinaria scoperta di un gruppo di scienziati spagnoli che, per trovare una soluzione definitiva al problema delle mine, ha tratto ispirazione dal comportamento animale con cui più facilmente si scampa ai pericoli: fiutandoli. Ma a una distanza di sicurezza di almeno dieci metri e con narici elettroniche ricoperte d’oro. Proprio come fanno i tecnici della Gtd, un’azienda spagnola che lo scorso mese di febbraio ha seppellito in uno dei suoi terreni due campioni di esplosivo estratti da mine anticarro e anti persona e ora si allena a “captarli” rintracciando nell’aria tracce di esplosivo. Possibile? Sì, con dei filtri a forma di imbuto ricoperti d’oro su cui sono stati montati dei piccolissimi sensori prodotti in laboratorio. Il “naso” cattura molecole «L’oro», spiega Rafael Rodriguez, uno dei tecnici della Gtd, è l’unico metallo su cui le particelle di esplosivo, aspirate dai sensori, non si attaccano». E dunque consente loro di depositarsi sul fondo del filtro. Quindi i campioni di aria raccolti vengono depositati su una superficie di cristallo con molecole disegnate apposta per far aderire l’esplosivo. «Normalmente la superficie di cristallo oscilla con una frequenza regolare che, tuttavia, varia se le molecole hanno captato particelle di esplosivo», spiega Rodriguez. Che come specialista di esplosivi alla Gtd e membro di Angel, un progetto di ricerca internazionale che in dieci anni si propone di produrre veicoli in grado di captare la presenza di mine a distanza, sta sperimentando anche altre tecniche di analisi dei campioni d’aria con sensori di tipo chimico. Qualche esempio? «Le particelle contenute nei campioni d’aria raccolti vengono ionizzate», spiega, «e dunque caricate elettronicamente». Quindi vengono fatte passare attraverso un campo magnetico con una scarica elettrica, e a seconda del tempo che impiegano ad attraversarlo gli scienziati capiscono di che tipo di esplosivo so tratta. Esperimenti, insomma, che se pure ancora allo stato embrionale lasciano ben sperare. O, meglio, preannunciano la costruzione in un tempo non troppo lontano di veicoli dotati di microsensori in grado di disattivare le mine antiuomo. Ordigni imbottiti di esplosivo e capaci di rimanere attivi per oltre cinquant’anni che, a pochi mesi dal 2000, fanno ancora ventiseimila mila vittime all’anno. Più o meno un morto ogni venti minuti nel mondo e molti di più nei settantun Paesi che, secondo il trattato di Ottawa, restano da sminare. Tra i più colpiti, Afghanistan, Mozambico, Angola, Cambogia, Ruanda ed ex-Jugoslavia. Dove si sospetta che durante la guerra del Kosovo la Nato abbia lanciato le terribili “cluster bombs”. Ordigni a frammentazione con gli stessi, terribili, effetti delle mine antiuomo. Bombardate con i raggi gamma «Un disastro con cui l’umanità non può permettersi di convivere», spiega il professor Giuseppe Nardulli del Dipartimento di fisica dell’Università di Bari. Che aggiunge: «Bisogna mettere le nuove tecnologie al servizio dei programmi di rimozione e disarmo delle mine». Un suggerimento raccolto dal professor Giuseppe Viesti dell’Università di Padova, che per “stanare” le mine antiuomo utilizza l’energia nucleare. “Explodet”, il progetto da lui coordinato e finanziato dall’Unione europea e dall’Istituto nazionale di fisica nucleare, da tre anni sta sviluppando un sistema un grado di rilevare l’azoto contenuto nell’esplosivo delle mine antiuomo che ha concentrazioni fino al 40% contro un massimo di 0,1% del terreno. Come? «Grazie a un potente bombardamento di neutroni», risponde Viesti, «L’azoto investito da fasci di neutroni scatenerebbe una reazione nucleare che poterebbe a emettere raggi gamma monogenetici. Che, rilevati con le opportune apparecchiature, indicherebbero la presenza di mine». Riusciranno queste nuove tecnologie a sconfiggere definitivamente il problema delle mine antiuomo e sostituire degnamente i metal detectors, i cani e i maiali addestrati con cui oggi si va a caccia di ordigni? Per il momento è presto per dirlo. Ma una cosa è certa: con i nuovi microsensori e neutroni si potrebbe ridurre drasticamente il numero di vite perse inutilmente e i costi dello sminamento. Per “far saltare” una mina in sicurezza, che ai suoi costruttori costa tra le cinque e le sei mila lire, ci vogliono circa due milioni. Attenzione mine e cluster bombs «Prezik Minat!». È con questo motto, stampato su un volantino di sei facciate zeppo di disegni e spiegazioni, che la Croce Rossa Internazionale sta cercando di insegnare ai popoli dei Balcani come riconoscere ed evitare le mine anti uomo e le micidiali cluster bombs sganciate dagli aerei della Nato. I terribili ordigni su cui oggi serbi, kosovari, militari e cooperanti occidentali rischiano di saltare in aria ad ogni passo. Come evitarlo? Innanzitutto, illustrano i disegni del volantino distribuito in quasi tutti i villaggi serbi e kosovari, girando alla larga dai posti in cui, più di frequente, le mine vengono piazzate: ponti sui fiumi, fondamenta delle case, in riva a corsi d’acqua o sul ciglio di strade. Quindi memorizzando le diverse forme e colori degli ordigni, imparando a riconoscere i cartelli che indicano zone minate e le recensioni da non oltrepassare. E,come indica un enorme disegno al centro del volantino, senza mai raccogliere oggetti strani da terra.


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