Famiglia

Asili nido, il cattivo esempio è pubblico

Presenti solo nel 4% delle amministrazioni statali

di Francesco Dente

Sono 79 gli enti che hanno attivato una struttura per i figli dei dipendenti. L’obiettivo di Lisbona rimane una chimera. Anche perché in pochissimi sono disposti ad investire La sfida è ambiziosa. Accogliere nei prossimi cinque anni 30mila neonati nei nidi aziendali della pubblica amministrazione. Provare ad assicurare un posto a due passi dall’ufficio di mamma e papà a un figlio su quattro dei travet, questo il fabbisogno stimato dal governo. E, perché no, ospitare anche i bambini che abitano nei quartieri sede degli uffici dei ministeri, dei municipi o delle aziende sanitarie locali e che non hanno trovato posto nelle strutture cittadine per i più piccoli.
L’obiettivo, insomma, è fare qualche passo in avanti sulla via che porta a Lisbona, la città che dà il nome all’obiettivo fissato nel 2000 dall’Agenda europea: il 33% di copertura dell’utenza dei servizi per l’infanzia entro la fine del 2010. La strada per la capitale lusitana, per il Belpaese appare tuttavia ancora lunga e in salita. A giudicare, almeno, dai risultati dell’indagine conoscitiva sugli asili nido nelle pubbliche amministrazioni condotta dal ministero per la Pubblica amministrazione e l’innovazione.
Al questionario, inviato a 10.207 enti, ha risposto il 20% degli uffici pubblici (1.943) soprattutto del Nord e Centro Italia. Peluche e sedioline, questo il responso, sono presenti solo nel 4% degli enti e, quel che è più preoccupante, non sembrano destinati ad aumentare di molto nei prossimi anni. Le amministrazione che hanno dichiarato di aver aperto un nido riservato ai dipendenti sono nel complesso 79, di cui 17 centrali (ministeri, agenzie governative, organi costituzionali etc) e 62 territoriali (Comuni, Aziende sanitarie locali, università etc). Quelle invece che ne hanno progettato uno sono 41, praticamente la metà. Altre 150, soprattutto Comuni, sono interessate ad allestire spazi per i figli dei dipendenti ma, al momento, non hanno nulla di scritto. Le motivazioni addotte dagli enti non interessati, rivela il monitoraggio effettuato dal Formez per conto del ministero di Brunetta, sono principalmente l’elevata età media dei dipendenti, le dimensioni dell’ente e l’esiguità di bambini potenzialmente interessati.
Il guaio – e torniamo alle amministrazioni propense al servizio – è che i municipi e le aziende sanitarie locali non sono disposti a mettere mani al portafogli per aprire i nidi interni. Attendono infatti un sostegno dalle Regioni. Si tratta delle due categorie di amministrazioni locali, insieme agli atenei, forse più bisognose di posti. Dal questionario emerge infatti l’esistenza di liste di attesa nei nidi presenti nei Comuni e nella sanità locale.
La ragione del successo delle strutture create negli ospedali e nelle sedi delle aziende sanitarie locali è legata all’opportunità di conciliare due esigenze. Quella delle Asl di rispondere alla carenza di infermieri attraverso l’offerta di servizi aggiuntivi e, appunto, del personale sanitario di avere i pargoletti accanto alla corsia anziché dall’altra parte della città. La struttura degli Ospedali civili di Brescia, ad esempio, chiude alle 22.30, al termine del turno pomeridiano.
La ricerca lancia due segnali interessanti anche al terzo settore. Sia le amministrazioni con un nido in attività che quelle interessate a cimentarsi affidano o sono intenzionate ad affidare la gestione in convenzione alle cooperative sociali. Una seconda opportunità per il privato sociale è data dalla possibilità di colmare, grazie alla capacità progettuale, il principale limite riscontrato dall’indagine in capo agli enti locali. La difficoltà, cioè, di individuare le caratteristiche che il servizio di nido deve assumere per soddisfare pienamente le esigenze dei dipendenti.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA