Famiglia

Asili nido, gli enti locali al collasso

È questo il tema ricorrente del convegno in corso a Firenze

di Redazione

«Credo che le difficoltà siano due: la prima riguarda la questione economica e la fortissima differenza nella presenza di questo servizio nei vari territori, il diverso tasso di copertura, le divergenze sia regionali che comunali con casi in cui è quasi assente. L’altra riguarda la definizione del servizio: rientra nell’ambito di assistenza e cura e quindi non gode delle stesse tutele di attivazione e presenza che garantiscono l’offerta educativa»: così il sottosegretario del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, Maria Cecilia Guerra, sintetizza i nodi principali del tema asili nido oggi in Italia. Lo ha fatto rispondendo all’agenzia Dire, in un convegno in corso oggi a Firenze, organizzato da Legautonomie.

 

IL QUADRO – Come si sa, in Italia, sugli asili nido il divario tra Nord e Sud è enorme. Il servizio copre circa il 12,7%, dei bambini 0-3 anni, percentuale che si abbassa addirittura all’1% in alcune zone del Meridione. L’Europa ci cheide il 33%. In Danimarca si arriva al 60%, al 40% dell’Irlanda e al 29% della Francia. Quello che è emerso con chiarezza anche da questo convegno odierno è che urge un percorso per consentire la crescita dei servizi socio-educativi sia sul piano qualitativo che quantitativo. E soprattutto va trovata una soluzione con gli enti locali, costretti a ripensare la loro azione a causa della mancanza di risorse e dei vincoli del patto di stabilità.

 

GUERRA: «RIVEDERE GLI STANDARD QUALITATIVI»I comuni, ha detto il sottosegretario Guerra, «stanno facendo cose importanti sugli asili nido. Uno dei modi in cui le amministrazioni locali hanno dovuto rispondere alla restrizione finanziaria, e non sempre è stata una scelta, è stato quello di esternalizzare il servizio. Questo non ha comportato necessariamente scadimenti di qualità ma è un confine stretto, perché l’affidamento esterno è stato spesso sostenuto da maggiore flessibilità nella mano d’opera ma anche da un minor costo. C’è però il rischio che proprio il costo venga scaricato sui lavoratori con contratti di lavoro diversi da quelli del settore pubblico, per cui spesso assistiamo ad assunzioni a breve termine e a retribuzioni diverse». Per il sottosegretario Guerra «un mix tra pubblico e privato è uno strumento che i comuni possono usare anche in termini virtuosi con maggiore flessibilità nell’offerta non solo educativa, ma anche di assistenza alle famiglie e in particolare a quelle donne che devono conciliare i propri impegni di lavoro con la cura dei bambini. Le altre cose su cui i comuni possono lavorare insieme con le regioni, in una situazione di ristrettezza economica, è quella di definire gli standard qualitativi senza comprometterli ma capendo quali sono da mantenere e quali no con un’attenzione particolare alle casse. Certo, l’equilibrio è difficile da trovare perché parliamo di un servizio molto delicato».

 

RISORSE? C’È UN VINCOLO MICIDIALE – Guerra ha anche ricordato come attraverso il piano Azione e Coesione, 400 milioni di euro siano stati destinati proprio ai servizi all’infanzia, rifinalizzando i fondi europei. I soldi andranno alle regioni rimaste più indietro nei servizi. «Tengo molto a sottolinearlo perché è un investimento importante non solo per il Sud ma per tutta la nazione, perché permette di colmare il gap per poi andare avanti insieme. Solo se riusciamo a superare il gap territoriale abbiamo la possibilità di intervenire con strumenti ordinari e poi agire a livello nazionale». E per il futuro? Niente di buono all’orizzonte: «Non ci sono interventi già programmati. Stiamo ragionando per capire quali sono le priorità nell’ambito delle politiche per i minori in generale, dovendo fare i conti con un vincolo di risorse micidiale».

 

RAMBAUDI: MIX DI OFFERTA – Lorena Rambaudi, assessore alle Politiche sociali della Liguria, anch’essa presente al Convegno,  ha spiegato a Dire che per gli enti locali «è una preoccupazione riuscire a mantenere questi servizi. Il mio predecessore aveva dato l’avvio a numerosi nuovi posti per la prima infanzia tra cui micro-nidi e asili domiciliari che sono riconosciuti dal sistema regionale come costi e che hanno permesso soprattutto a piccoli comuni come quelli dell’entroterra di dotarsi di una risposta alle esigenze educative anche in mancanza di risorse o di un numero sufficiente di utenti. Il mix di offerta è sempre una soluzione vincente, non solo per quanto riguarda i nidi. I bisogni dei territori e delle persone sono difficili da far rientrare in caselle prestabilite».

 

 

MAGGI: UNO SFORZO DAGLI ENTI LOCALI   «Sicuramente il problema principale oggi è la mancanza di risorse da parte degli enti locali e la crisi economica che sta colpendo le famiglie, con la conseguenza che molte di loro compiono la scelta dolorosa di non mandare i bimbi all’asilo»: Alessandra Maggi, presidente dell’Istituto degli Innocenti va dritta al cuore della questione. Per questo «i Comuni dovrebbero avere maggiori trasferimenti dallo Stato per i servizi educativi e sociali perché gli asili sono ancora a domanda individuale. Alcune nostre amministrazioni locali stanno facendo scelte importanti in questo senso privilegiando le politiche per l’infanzia. In molte delle nostre città c’è un rapporto tra le amministrazioni e le strutture private e le cooperative sociali. Ma anche in queste situazioni il problema è la mancanza di risorse per coprire almeno una parte del servizio». E lancia un appello: «A nome dell’ente che rappresento non posso che rivolgere un appello alle autonomie locali affinché facciano tutto il possibile per non tagliare, e anzi incentivare, le risorse destinate all’infanzia. Va fatto uno sforzo, magari economizzando in altri settori. E’ un diritto dei bambini avere la possibilità di poter frequentare un asili nido: il percorso formativo – conclude- non inizia solo con la scuola dell’obbligo, inizia dalle prime fasi di vita».

 

FILIPPESCHI: URGONO I LEPS – Il presidente di Legautonomie, Marco Filippeschi, spiega però che «ormai i bilanci di molti comuni sono arrivati al livello di guardia: si aggravano le difficoltà per sostenere gli ordinari costi di gestione degli asili nido senza ulteriori aggravi per le famiglie; mentre, si allungano sempre di più i tempi per i pagamenti alle imprese del terzo settore che gestiscono i servizi in regime di appalto, convenzione». Tanto che se non si pone rimedio «incombe il rischio di una arretramento qualitativo e il ritorno a pratiche di carattere meramente assistenziali. Per evitare questi rischi la strada non può essere che quella della definizione dei Leps (Livelli essenziali delle prestazioni sociali)».


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