Mondo
Asia: crescita Pil non elemina povert
Rapporto 2001 della Banca per lo sviluppo asiatico: La globalizzazione non è la panacea dello sviluppo
di Redazione
I dati sulla crescita asiatica, che dopo la crisi degli anni 1997 e 1999 raggiungera’ anche
quest’anno un alto livello con il 5,3% di aumento, non nascondono le vaste sacche di poverta’ che affliggono l’area e che durante i periodi di crisi hanno raggiunto vette come il 48% dell’Indonesia o il 13% della Tailandia. Sostanzialmente, a ”tirare” sono stati gli investimenti stranieri attirati dalle nuove politiche fiscali e dal basso costo della mano d’opera. Resta pero’ il fatto che il grosso
delle produzioni avviene su licenza e che non decollano settori autonomi di ricerca e sviluppo.
”La globalizzazione fino alla crisi del ’97 era vista come la panacea dei problemi di sviluppo ” ha detto Francesco Pittore direttore studi economici di Sace sottolineando,- nel corso del convegno per la presentazione del rapporto 2001 della Banca per lo sviluppo asiatico, – che ”i pilastri per lo sviluppo sono sostanzialmente tre: privatizzazioni, libero commercio e libera circolazione di capitali. Il quarto pilastro, l’information tecnology, viene un po’ piu’ tardi come motore dello sviluppo. L’Asia e’ stata la regione mondiale in cui la globalizzazione non ha dato un particolare contributo allo sviluppo, ma ha parzialmente cambiato la struttura delle economie nazionali”.
Pittore indica poi tre punti da sviluppare per la regione. ”Primo una politica democrafica che renda accettabile il tasso di crescita ed in questo la Cina ha ottenuto risultati eccellenti e altri hanno cominciato a seguirne le orme. Secondo – continua Pittore – una politica di riforma del territorio con programmi specifici per l’agricoltura e progetti sociali per le citta’. Al terzo punto, una strategia globale per una diversa politica fiscale. Infine, ma e’ importante quanto i primi tre punti, lo sviluppo di sistemi educativi globali per creare lavoratori specializzati e avere una base per un sistema autonomo di ricerca e sviluppo”.
E che globalizzazione non significa necessariamente sviluppo ne e’ convinto Pier Carlo Padoan, ordinario alla Sapienza di Roma e Consigliere economico di Palazzo Chigi. E per spiegarlo Padoan, ha ricordato come l’Europa, per confrontarsi con la globalizzazione, abbia dovuto affrontare riforme importanti del mercato del lavoro come ”l’introduzione del concetto di flessibilita’ e l’apertura di mercati competitivi per gli investimenti”. Un processo, quello europeo, che ha comportato cambiamenti importanti tanto nei profili istituzionali che nei mercati.
Tullio Di Pietro, vicedirettore generale del Ministero del Commercio con l’Estero, ha fatto il punto sui rapporti italiani in Asia e gli orientamenti della nostra politica economica. ”Dobbiamo – ha detto – smettere di limitarci a seguire la logica di mercato ed invece rinsaldare al meglio i marchi italiani nelle fabbriche di Cina, Vietnam e Corea. Attraverso la loro integrazione e l’appropriato uso di joint ventures, queste aziende possono guadagnare in termini di acquisizione di quote di mercato e
orientamento della domanda interna. Il nostro obiettivo e’ spingere gli operatori italiani ad investire nei mercati asiatici specialmente nei settori in cui hanno un livello di know-how competitivo a livello mondiale”.
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