Conflitti internazionali
“Ascolto attivo”: la tecnica di chi non vuole abbandonare la speranza di pace
«Come insegna l’accordo di Camp David sono due le strategie tipiche dell’ascolto attivo: la prima consiste nel privare del proprio ruolo i contendenti delle due parti in modo che dialoghino due persone e non due fazioni. La seconda è quella di assumere che la ragione sta dall’altra parte». L'intervento dell'etnografa e portavoce del Movimento europeo di azione non violenta
L’ascolto attivo entra nel gergo dei manuali sui conflitti internazionali, con l’accordo di Pace di Camp David fra Egitto e Israele del 1978. Questo accordo prevedeva: 1. che nel corso dei seguenti cinque anni coloro che vivevano nei territori occupati da Israele in Cisgiordania e striscia di Gaza avrebbero goduto di autonomia con un proprio governo e 2. il ritiro di Israele dalla penisola del Sinai, restituita all’Egitto. Il primo punto come tutti ben sappiamo è ancora lontano dall’essere realizzato, il secondo ha trovato attuazione nei primi anni ’80. Vediamo molto sinteticamente in primo luogo come mai, almeno per “il caso Sinai” Camp David è diventato un prototipo di utilizzo dell’ascolto attivo e della negoziazione alternativa dei conflitti e poi cosa è mancato perché lo divenisse anche sul tema più decisivo per le sorti del Medio Oriente, il riconoscimento di un territorio e governo palestinese autonomo.
Israele aveva occupato i territori del Sinai dal 1967 (guerra dei sei giorni) e quando nel 1978 per iniziativa di Jimmy Carter, iniziano gli incontri fra i rappresentanti di Israele (Pres. Begin) e dell’Egitto (Pres. Sadat) nella residenza di Camp David, nel Maryland, le rispettive posizioni erano le stesse da dodici anni: l’Egitto pretendeva la restituzione dell’intero territorio nazionale e Israele era disposto a restituirne solo una parte, preservando un cuscinetto di difesa (nel 1973 c’era stato l’attacco a sorpresa del Yon Kippur) nel quale nel frattempo si erano insediate delle comunità di coloni. Rispetto questa situazione di blocco, Camp David mette in atto due strategie collegate, tipiche dell’ascolto attivo.
La prima consiste nell’offrire un contesto nel quale i protagonisti fossero indotti a lasciare da parte i ruoli e a rivolgersi gli uni agli altri in quanto persone, ognuna con una propria storia e una aneddotica aperta alla creatività. Dodici giorni a Camp David, con la possibilità di incontri informali lontano dai media, con le passeggiate nel parco, la colazione e i pasti condivisi, con lo scambio di informazioni sugli studi dei figli, ecc. tutto questo ha favorito la costruzione di rapporti di fiducia e l’emergere di una comune volontà di proporsi al mondo come degli innovatori, dei leader capaci di saggezza, aperti ad esiti e comportamenti altrimenti ritenuti impossibili.
L’ascolto attivo è un processo complesso che prevede lo sviluppo inestricabile delle dinamiche dell’ascolto esplorativo, non giudicante, l’auto-consapevolezza emozionale e la gestione creativa dei conflitti. La regola: «Se vuoi capire quello che un altro sta dicendo o facendo, devi assumere che ha ragione e chiedergli come vede il mondo perché quella posizione gli sembri giusta» è la premessa per una moltiplicazione delle opzioni basata sul farsi reciprocamente carico dei più generali interessi e preoccupazioni che sottendono le prese di posizione originarie. A Camp David questo passaggio si è concretizzato nel lasciare da parte la diatriba sui confini per concentrarsi su come garantire una risposta alle preoccupazioni di fondo di entrambi, la sicurezza ad Israele e la sovranità all’Egitto. Risultato: L’intera parte occupata del Sinai restituita all’Egitto, ma dichiarata zona smilitarizzata. Ovunque bandiere egiziane, nessun fucile o carro armato, tranne i caschi blu dell’Onu.
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