Non profit

Ascoltiamo quel dolore soffocato

L'editoriale di Giuseppe Frangi sul tema della malattia e della mancanza di acqua in alcune zone del pianeta.

di Giuseppe Frangi

Molti lettori ci hanno scritto impressionati dalla storia di copertina dell’ultimo numero di Vita. Per chi l’avesse persa, riassumiamo: Grace, 30 anni, é una donna del Malawi, sieropositiva. Ha già perso per Aids il marito e la figlia. Vivesse in Occidente avrebbe buone possibilità di salvarsi. Invece là dove vive é tragicamente destinata a incrementare lo spaventoso numero di vittime che l’Hiv sta falciano nel continente africano. Eppure, ripercorrendo a ritroso la catena di responsabilità, abbiamo scoperto che non sarebbe impossibile invertire questo destino. Che esistono persone, aziende, leggi precise, cioé con tanto di nome, cognome o numero, che determinano il ripetersi quotidiano di tragedie simili. Ma a chi interessa il destino di Grace? O meglio, come far sapere al mondo quello che le sta accadendo? Grace, infatti, é una delle tante vittime di questa assurda guerra, annunciata un anno fa, non ancora combattuta sul campo ma già devastante per i suoi effetti. Un altro esempio di quello che stiamo dicendo é nel tema di copertina che proponiamo questa settimana. Settimana prossima, infatti, si terrà il Forum mondiale dedicato all’acqua. Questione tutt’altro che accademica, visto che già oggi é un problema drammatico per un miliardo e mezzo di persone che vivono senza acqua potabile, e visto che domani potrebbe scatenare conflitti ancor più tragici accesi di quelli accesi in decenni dal petrolio. Anche qui vale la domanda che abbiamo posto a proposito di Grace: chi tiene alta l’attenzione su una questione così decisiva? E la stessa domanda potremmo porla attorno ad altre drammatiche questioni che falciano la vita e le speranze di milioni di persone. Nulla di nuovo: perché quei numeri e quegli spaventosi squilibri sono entrati nell’agenda di milioni di coscienze individuali, in questi anni recenti. Eppure, il cono d’ombra della guerra sembra far slittare tutto questo ineluttabilmente, implacabilmente in secondo piano. Far sentire la propria voce per la pace, continuare a tenere alte le nostre ragioni ha anche questo significato, profondamente umano: quello di rimettere ordine nell’agenda impazzita del mondo. Non é una questione di schieramento politico, di antiamericanismo, di terzomondismo. Nossignori. E’ solo questione di prestare orecchio e cuore all’immenso grido di dolore che si alza dagli angoli dimenticati del pianeta. Quel grido che la macchina da guerra mediatica ha soffocato e silenziato. Ma che una coscienza umana non può, con tutta la sua povertà, non ascoltare e raccogliere. Lo disse, con parole indimenticabile, Giovanni Testori, un grande intellettuale che é all’origine della storia professionale di molti che oggi lavorano o collaborano con Vita, e di cui in questi giorni si ricordano i dieci anni dalla morte. Nell’intervista televisiva che rilasciò a Riccardo Bonacina qualche mese prima di morire e che riproponiamo in questo numero, Testori, davanti alle foto di guerre lontane parlava così: “Sono questi poveri corpi, come tanti Cristi, tanti Gesù Cristi. Bambini, crani, donne, uomini, questi occhi… che domandano aiuto, occhi di fame, occhi di disperazione. Io mi immagino di reincontrare in cielo quei volti scavati e ci chiederanno ragione della nostra spensieratezza, della menzogna delle nostre parole e della nostra vita. Quei bambini solo apparentemente non parlano, le loro parole le sentiremo tutte il giorno del giudizio”.


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