Non profit

Ascoltiamo l’allarme,Impariamo a essere terzi

La riflessione del presidente delle Anpas

di Redazione

di Fausto Casini
Non fa sconti, il Censis, e va ascoltato. Sprona il terzo settore ad affrancarsi dal collateralismo partitico o istituzionale. Se non lo fa, muore; perde la sua identità, la sua capacità propulsiva. Questo settore deve imparare a essere veramente “terzo”, rispetto al pubblico e al profit. Solo in questo modo riuscirà a soddisfare le aspettative che ha suscitato. Perché ciò avvenga, è necessario che la sussidiarietà acquisisca migliore definizione; è un principio fondamentale ma sulla sua applicazione trovano sfondo diverse visioni della società anche all’interno del terzo settore.
L’esigenza è costruire consapevolezza della divisione dei ruoli: cosa deve fare il pubblico, quale il contributo del non profit, quali assunzioni di responsabilità. Tutto questo va condiviso anche per evitare che i percorsi di esternalizzazione divengano meccanismi perversi, quando la parte più imprenditoriale del terzo settore (cooperazione sociale) accetta di essere considerata come un modo per esternalizzare servizi abbattendo i costi o per evitare attraverso l’appalto la fatica della convenzione. Lo strumento è una progettualità integrata vera, che comprenda anche la verifica e il monitoraggio, che rilanci l’innovazione. Senza un progetto di welfare integrato, i diversi attori non potranno ben interagire.
Detto questo, il terzo settore non è un corpo estraneo alla società e soffre dei medesimi “blocchi”: dovrebbe svolgere il ruolo di avanguardia, sapendo che la difficoltà oggi non è tanto “inventare” nuovi servizi quanto riorganizzare gli esistenti, magari convolgendo i cittadini. Sono convinto che alcune prassi promosse dal processo di integrazione europea, quali il finanziamento a progetto, e il proliferare di tavoli di partecipazione, spesso svuotati di poteri, non abbiano aiutato a mantenere la spinta innovativa. La rendicontazione sociale non sarà ulteriore burocratizzazione se si costruiranno strumenti sostenibili anche per la parte meno strutturata del terzo settore che è il volontariato. Quanto al futuro, la miglior reazione è recuperare la coscienza di essere parte sociale, sviluppare l’interlocuzione istituzionale e realizzare nuove progettualità, valorizzando le presenze positive e custodendo maggiormente la parte di volontariato, spesso l’origine di tutto. Il terzo settore non può più essere quello che reclama solo più soldi: è chiamato a declinare una visione di società, a indicare un sistema di priorità esercitando un’azione di denuncia rispetto alle forme di immoralità della spesa pubblica e rispetto a un fisco che colpisce i deboli (in particolare il lavoro) e non le rendite di posizione.

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