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Articolo 30, la guida agli adempimenti richiesti dalle Entrate

Pubblicato il modello per la comunicazione dei dati rilevanti

di Redazione

Vi ricordate il 5 per mille, gli esclusi, il mancato invio delle dichiarazioni sostitutive e il braccio di ferro con le Direzioni regionali delle Entrate? Bene; l’articolo 30 del decreto anticrisi rischia di far diventare quei quattro passi nel delirio una scampagnata estiva!
Articolo 30: di cosa si tratta?
Tecnicamente, l’articolo 30 (del Dl 185/08, convertito in legge 2/09) reca una disposizione che aggiunge un ulteriore adempimento a carico degli enti associativi.La premessa: le associazioni possono decommercializzare i (non pagare imposte sui) corrispettivi versati dai soci per l’offerta di beni e servizi (ad esempio corsi di formazione, partecipazione a gite sociali, abbonamenti ad house organ ecc.) attraverso l’applicazione nello statuto e nella realtà fattuale di alcune regole interne di convivenza dell’associazione stessa. Queste regole toccano argomenti importanti quali la democraticità della struttura, il diritto degli associati maggiorenni a poter eleggere ed essere eletti alle cariche interne, il principio del voto singolo, l’uguaglianza dei diritti e dei doveri, l’obbligo di redazione del rendiconto annuale, l’assenza di fine di lucro? Queste regole sono contenute in due norme quasi fotocopia, l’art. 148, comma 3 e succ del Dpr 917/86 (Testo unico sulle Imposte sui redditi) e l’art. 4 del Dpr 633/72. Per la cronaca, sono norme introdotte nella prima parte del decreto onlus (art. 5 del Dlgs 460/97), 12 anni fa. Entro la fine del 98, le associazioni avrebbero dovuto conformare il proprio statuto a queste regole, pena l’impossibilità di dire «non commerciali» questi corrispettivi versati dai soci. Ugualmente, le nuove associazioni avrebbero dovuto scrivere fin dall’inizio testi statutari conformi a queste regole.
Fino ad oggi, l’assolvimento di questo obbligo formale e sostanziale (statuto e rispetto nella prassi delle suddette regole) era condizione necessaria e sufficiente per ottenere in automatico il beneficio della decommercializzazione di questo tipo di entrate. Entro poco (30 ottobre, termine di presentazione della dichiarazione), questo obbligo rimarrà una condizione necessaria ma non sarà più sufficiente. Per ottenere la decommercializzazione di queste entrate sarà necessario inviare per via telematica una dichiarazione del rappresentante composta di 38 punti, da compilare in modo veritiero (ovvio) ed assennato (meno ovvio, come vedremo).

Chi è obbligato a inviare la dichiarazione?
Sono obbligati tutti gli enti associativi riconosciuti e non, di natura privata, ed in particolare le associazioni politiche, quelle sindacali, di categoria, le associazioni religiose, quelle assistenziali; ed inoltre le associazioni culturali, le associazioni sportive dilettantistiche (vedi dopo), le associazioni di promozione sociale, le associazioni di formazione extrascolastica della persona.

Chi è escluso dall’obbligo?
Sono escluse le Pro loco che utilizzano (per la parte commerciale) una norma particolare (l 398/91), le associazioni sportive dilettantistiche che non realizzano attività commerciali, le organizzazioni di volontariato che, in caso di svolgimento di attività commerciali, seguano il Dm 25 maggio 1995. Però fate attenzione! Le associazioni sportive dilettantistiche sono in realtà obbligate ad inviare il modello di comunicazione, anche quando realizzino una sola attività decommercializzata, almeno secondo l’interpretazione dell’Agenzia delle entrate (circolare 12/09). Vuol dire che un’associazione sportiva che iscriva ai propri corsi i soci, realizza – secondo le Entrate – un’attività che è di per sé commerciale e che solo la normativa fiscale rende decommercializzata ai sensi anche della normativa di settore. Il ragionamento dell’amministrazione finanziaria è: la legge che vi esenterebbe (il citato articolo 30) in realtà non vi esenta dall’invio della comunicazione.
Le organizzazioni di volontariato iscritte ai registri omonimi non devono inviare la comunicazione. Ma devono fare ben attenzione a non aver svolto attività commerciali e produttive marginali diverse da quelle indicate dal dm 25 maggio 1995. Se la vostra organizzazione ha incassato una somma per consentire ad un soggetto economico (azienda) di farsi quel minimo di pubblicità tra gli associati dell’ente, avreste dovuto emettere fattura in quanto quell’attività è commerciale e non rientra tra quelle del citato dm di quasi tre lustri fa. O, se realizzate attività a pagamento verso soci e non soci, state realizzando qualcosa non consentito né dalla l 266/91, né dal decreto. Pertanto dovete inviare il modello, ma con conseguenze “scoraggianti”: perdete la qualifica di onlus e l’ente locale dovrebbe estromettervi dal Registro del volontariato.

E le onlus?
Qui il dibattito è aperto. È mia opinione che le onlus non debbano compilare né inviare la dichiarazione per le seguenti ragioni. Non vi è traccia nell’art. 30 (comma 1 – 3 bis) di questi enti tra i soggetti che debbano adempiere; e neppure nella circolare 12, così come nelle istruzioni al modello. Inoltre, le onlus seguono altra normativa in merito alla decommercializzazione (art. 150 Tuir e non 148).

Le fondazioni e i comitati?
Fondazioni e comitati non devono inviare il modello di dichiarazione. Però – perché in questa storia c’è sempre un però – spesso i comitati si danno regole interne proprie delle associazioni, e pertanto di fatto sono associazioni. Nel qual caso sono obbligati a inviare la dichiarazione.

Almeno una buona notizia. Chi incassa soltanto quote sociali deve inviare il modello?
Vi sembra periodo di buone notizie? A me non sembra, ed infatti l’Agenzia delle Entrate ritiene che, dato che la norma sulla decommercializzazione delle quote sociali è contenuta nello stesso articolo Tuir (148, ma al comma 1) oggetto di attenzione dell’articolo 30, anche chi incassi solo quote sociali debba sottostare all’adempimento.

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