Welfare

Arrivare a #HomelessZero? Una sola strada: la casa

Alla conferenza internazionale di Torino sono stati presentati i risultati della sperimentazione dell'Housing First avviata due anni fa in Italia. Sono 556 le persone accolte in una casa fino a oggi

di Antonietta Nembri

La casa, come diritto umano e come base sicura, è la prima parola chiave declinata nel corso della conferenza internazionale sull’Housing First che Fio.Psd (Federazione italiana organismi persone senza dimora) ha organizzato nei giorni scorsi a Torino. Ma la casa non è la sola parola chiave. Ci sono anche: la comunità come partner di cura; l’innovazione che viene dalla cultura; la persona al centro; la politica nazionale e locale unite nel cambiamento; la valutazione e le evidenze empiriche; il benessere e la felicità; le novità vissute come sfide.

Otto parole che accompagneranno il percorso della fio.Psd nel prossimo futuro anche perché – come ha sottolineato Marco Iazzolino, direttore del network Housing First promosso in Italia da fio.Psd due anni fa – «Housing first non è solo una raccolta di numeri e dati: Housing first è la vita, i volti e le emozioni delle persone che in questi due anni hanno scritto un bellissimo racconto che mi auguro rappresenti la storia di un percorso nel quale in tanti hanno creduto e continueranno a credere». Iazzolino alla conferenza torinese dal titolo “C’è solo una strada: la casa”, ha presentato i risultati della sperimentazione, elaborati dai membri del Comitato scientifico costituitosi ad hoc per analizzare l’andamento dei 35 progetti avviati in 27 comuni di 10 regioni (Piemonte, Lombardia, Liguria, Veneto, Trentino-Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Calabria e Sicilia).

Una giornata di bilanci ma soprattutto di crescita e di progettazione futura, alla presenza dei 54 aderenti al network, che in Italia sono rappresentati da comuni, organismi ecclesiastici o religiosi, cooperative sociali e altre organizzazioni non profit che erogano direttamente servizi di contrasto alla grave marginalità e che hanno deciso di aderire al Network prevalentemente per consolidare e promuovere esperienze innovative nei confronti delle persone senza dimora.
«La particolarità di fio.Psd è che i nostri soci oltre ad essere enti del privato sociale, sono anche i comuni delle grandi aree metropolitane, che dialogano insieme, con l’obiettivo di instaurare una stretta collaborazione tra il pubblico e il privato», ha spiegato Cristina Avonto, presidente della Federazione. La fioPsd è diventata un interlocutore per il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali (importantissime in questa direzione, le azioni di advocacy, che vedono nelle Linee di Indirizzo, nel bando Pon inclusione e Po I Fead i primi frutti) nonché una rete di lobby di rappresentanza per i soggetti del Terzo settore che operano a contatto con le persone senza dimora.

L’origine dell’approccio Housing first si sviluppa negli Usa a partire dal 1992 quando Sam Tsemberis avvia a New York “Pathways to Housing”, un programma di contrasto alla homelessness, finalizzato a offrire un accesso in appartamenti indipendenti a persone senza dimora croniche con problemi di salute mentale e/o di disagio sociale. L’approccio Housing First, prevede il passaggio diretto dalla strada all’appartamento con un accompagnamento assertivo di un team di operatori che sostenga le persone per tutto il tempo necessario a recuperare uno stato di benessere e integrazione sociale e si basa sull’autodeterminazione della persona e su un obiettivo di riduzione del danno.

Oltre a Tsemberis, una delle massime esperte di Housing First al mondo, è Deborah Padgett (nella foto a destra) dell’Università di New York che a Torino ha presentato i dati e i benefici ottenuti dalle esperienze negli altri Paesi (America, Canada, Finlandia), comparandoli per l’Italia con i risultati pressoché simili di ogni luogo in cui il modello viene praticato: «Housing first dando accesso immediato alla casa, riduce drasticamente i danni causati dalla condizione di homelessness, le persone riescono a mantenere una casa con il tempo e le loro vite migliorano», ha spiegato la studiosa statunitense.

Nello studio della sperimentazione per quanto riguarda l’integrazione sociale delle persone accolte è stata indagata, sia l’integrazione fisica, intesa come partecipazione ad attività ludico-ricreative all’interno della comunità, sia l’integrazione psicologica, intesa come senso di appartenenza al luogo in cui si vive. Su 65 intervistati, a distanza di sei mesi dall’ingresso in appartamento, il 73% dichiara di aver incontrato persone per bene un caffè o pranzare/cenare insieme, il 63,8% ha fatto amicizia con nuove persone, il 67% presenta livelli di salute fisica e mentale stabili e il 38,3% ha partecipato a un evento organizzato dalla comunità.

Il numero delle persone accolte nelle progettualità delle organizzazioni attive, si attesta a 376 adulti e se a questi si aggiungono i 180 figli, si raggiunge un totale di 556 accolti (con 77 nuclei familiari), in maggioranza di sesso maschile (69%). Le persone accolte nel 2016, in analogia con quelle presenti sin dal 2015, presentano una forte multi problematicità. Reddito, casa e lavoro sono gli aspetti di disagio predominanti e coinvolgono almeno 8 persone su 10; assenza di reddito o reddito insufficiente, assenza di lavoro o precarietà, senza tetto e senza casa risultano le problematicità specifiche più rilevanti. Problematiche di salute, di socialità, di famiglia e di scolarità sono il secondo gruppo di disagio degli accolti e coinvolgono 4/5 persone ogni 10; malattie, esclusione o marginalità, scarse competenze scolastiche e professionali, difficoltà familiari sono le specifiche problematicità di questo gruppo.

Uno dei punti qualificanti dell’approccio HF è comunque la compartecipazione da parte delle persone con almeno il 30% delle proprie entrate: il 47% degli adulti coinvolti nei programmi HF concorre con proprie entrate o dei propri familiari alle spese del progetto personale.

Sicuramente rilevante è il dato relativo alle persone che a distanza di un anno mantengono la casa, ben l’82% mentre 36 unità (8%), sono totalmente uscite dal programma per raggiunta autonomia.

Gli alloggi dei progetti HFI che accolgono le persone sono 176. Di questi il 60% è stato reperito nel libero mercato immobiliare, il 21% è nelle disponibilità delle organizzazioni del network e il 19% è stato recuperato dal patrimonio immobiliare pubblico. Nel totale gli alloggi singoli per persone sono il 26,7%, i singoli per famiglie il 43,7% e soltanto il 29,6% sono alloggi condivisi.

«A due anni dalla sperimentazione non vogliamo parlare di un traguardo raggiunto, ma di una partenza, con l’obiettivo di arrivare veramente a Homeless Zero progettando le azioni future e i prossimi passi», ha detto ancora Avonto. Nel giugno 2016 è stata lanciata la campagna #HomelessZero rivolta al mondo politico, dell’associazionismo, alla società civile e all’opinione pubblica per richiamare l’attenzione e invitare a partecipare attivamente in una logica di welfare generativo alla messa in campo di azioni coordinate in cui le persone senza dimora siano parte integrante. A oggi hanno formalmente aderito diversi comuni metropolitani e regioni.

La presidente ha infine concluso la conferenza sottolineando come ci sia ora «la consapevolezza che i volti del grave disagio abitativo sono cambiati negli ultimi anni: l’immaginario collettivo restituisce spesso una idea di homeless, senza tetto, vestito di stracci, malmesso e stanziale su una panchina con buste di plastica al seguito, ma a fianco al 20% dei cosiddetti cronici che presentano problemi legati a droghe e alcool, la metà delle persone accolte in case Housing First ha problemi legati alla salute (spesso non trattati), 1 su 2 porta con sé storie di fragilità e allontanamenti dalla famiglia di origine o gravi problemi di coppia e in questa direzione Housing First è una risposta per chi ha perso la casa e vive in strada da anni (65%) ma può essere una misura preventiva per chi vive in una casa inadeguata (5,6%) o per chi la casa sta per perderla (29,4%)».

Dai dati della sperimentazione emerge poi che ci sono singoli (54%), ma ci sono anche le famiglie (46%) che, in un welfare già ricco di risposte dedicate ai nuclei familiari ma spesso frammentate, trovano nella casa Housing First un punto di partenza intimo dove, insieme all’équipe multi-professionale, costruire un progetto personalizzato stabile e coordinato.

In una nota della federazione si sottolinea la soddisfazione espressa dagli organizzatori per il successo dell’iniziativa, che ha visto la partecipazione di 220 persone provenienti da 55 città in rappresentanza di 15 Regioni, presenti oltre 30 rappresentanti di ministero del Lavoro, Regioni, Province, Comuni e Asl.

Nel corso della conferenza, inoltre, è stato presentato il volume “Scenari e pratiche dell’Housing First”, curato da Caterina Cortese, referente dell’ufficio studio e ricerca di fio.Psd, che ha inaugurato la collana di studi "Povertà e Percorsi di Innovazione Sociale" promossa dalla stessa federazione con Franco Angeli editore.

Il prossimo appuntamento saà a Padova per il 2018 con l’obiettivo di garantire una casa a 5mila persone, grazie anche agli stanziamenti previsti dal Governo attraverso i fondi strutturali.

In apertura foto di Randy Jacob/Unsplash

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