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Arrestate Bashir, missione impossibile
Il dramma del Darfur dopo la decisione della Corte internazionale
Una richiesta di arresto che isola ulteriormente il presidente sudanese Al Bashir ma che non potrà essere applicata, e che forse creerà problemi a chi, nel Darfur, lavora accanto alla martoriata popolazione civile: l’annuncio del tribunale dell’Aia trova oggi giustamente ampio spazio sui quotidiani.
La rassegna stampa oggi si occupa anche di:
La richiesta dei giudici della Corte penale internazionale dell’Aja che hanno chiesto l’arresto del presidente sudanese Omar Al Bashir: “«Darfur, arrestate il leader del Sudan»”, riassume nel titolo di prima pagina il CORRIERE DELLA SERA. Bashir è accusato di crimini contro l’umanità, assassinio, sterminio, stupro e crimini di guerra. È caduta invece l’incriminazione per genocidio. «I giudici», spiega il quotidiano, «hanno ritenuto che le prove non fossero sufficienti». Le reazioni: «A Khartoum proteste nelle strade. La tv di stato: decisione neocolonialista». A fianco del pezzo di cronaca il CORRIERE dà spazio agli artisti “amici del Darfur” sparsi in tutto il mondo. Fra questi Clooney che guida l’organizazzione Not on our watch, Mia Farrow, Oprah Winfrey. Fra gli italiani riuniti in Italian for Darfur, Monica Guerritore, Caparezza, Subsonica, Negramaro. Dice la Guerritore: «Finalmente una buona notizia. Finalmente qualcuno che sta sopra i governi riesce a intervenire per provare a fare giustizia». Chiosa Clooney: il mandato di cattura per Bashir «Uno spiraglio di speranza». Il controcanto è appaltato a un’intervista al filosofo politico americano Michael Walzer: “Scelta discutibile, pericolo di ritorsioni” dice nel titolo. E aggiunge: «la sicurezza e i diritti civili del Darfur devono avere la precedenza su tutto per noi, e la decisione della Corte non facilita questo nostro compito, semmai lo ostacola».
Fotonotizia in prima su LA REPUBBLICA per il Darfur, che dedica al mandato d’arresto per il presidente del Sudan le pagine 2 e 3. Daniele Mastrogiacomo riferisce della situazione: al-Bashir, «un passato di gloria nella guerra del Sinai del 1973, un presente d’infamia per aver ordinato e diretto uno dei più spaventosi massacri nella regione del Darfur», è latitante per la giustizia internazionale. L’ordinanza del tribunale de L’Aja «è unica e inedita nel diritto mondiale». Dal 2003 almeno 200mila fra uomini donne e bambini sono stati vessati, inseguiti uccisi mutilati. Oltre 2 milioni i profughi. Mastrogiacomo riferisce il commento di Silvana Arbia, unico magistrato italiano nel Tribunale penale internazionale: «l’emissione di un mandato di cattura non è un atto formale, un gesto simbolico privo di conseguenze. Il presidente del Sudan può e deve essere arrestato. Il compito spetta alle polizie di tutti i paesi che hanno aderito al Tpi». La reazione del Sudan però è rabbiosa, 10 ong vengono espulse dal paese, mentre la Lega araba convoca un consiglio straordinario e l’Egitto chiede la riunione immediata del Consiglio di sicurezza. Giampaolo Visetti traccia il ritratto del 64enne latitante: “Bashir, l’ex soldato bambino sterminatore del suo popolo”. Nato poverissimo, affidato a 12 anni all’esercito dal padre, a 45 Bashir è alla guida del Sudan dopo un golpe incruento. Pensa di unificare il paese ricorrendo all’Islam, nel nome della sharia; non ci riesce e comincia la sua folle ossessione. Scioglie il consiglio della rivoluzione, nel 1996 si fa eleggere presidente con un voto truffa, nel 1999 scioglie il Parlamento, nel frattempo massacra il Sud del paese e poi il Darfur… Due i commenti: Antonio Cassese, “Giustizia impossibile” e Desmond Tutu, “Il dovere dell’Africa”. Proseguono a pagina 31. Scrive Cassese, «l’ordine può essere eseguito solo in Sudan e solo se lo stesso Bashir autorizzerà le sue guardie ad arrestarlo. Al di fuori del Sudan ha un peso giuridico nullo o quasi. Il Sudan non ha sottoscritto lo statuto della Corte, dunque Bashir può invocare l’immunità (può essere tolta dall’Onu, cosa che non è accaduta). Dunque sarebbe stato più saggio un ordine di comparizione evitando una spettacolarizzazione che non serve ed anzi rende più complessa la situazione in Darfur. Tutu sottolinea invece che i leader africani si sono schierati fin qui con il presidente sudanese (il timore è che i presidenti africani siano ingiustamente presi di mira). Tra i fondatori del tribunale però ci sono anche oltre 20 stati africani. «I leader africani sostengono che le decisioni della corte ostacoleranno gli sforzi volti a promuovere la pace in Darfur. In ogni caso, fino a quando gli abitanti di quelle terre non avranno giustizia, non vi potranno esistere pace e sicurezza reali».
Spazio non eccezionale (non ha l’apertura esteri) ma denso quello che il SOLE24ORE dedica all’incriminazione di Al-Bashir. Oltre al pezzo di cronaca sulla decisione dell’Aja, segnaliamo il commento di Alberto Negri “Un altro passo avanti verso il diritto globale”, che riflette sul fatto che, sebbene sarà difficile che il provvedimento del tribunale porti a un effettivo arresto del dittatore (anche perché paesi come Usa, Russia e Cina non vi aderiscono), è comunque un «segnale forte» e si spera che «possa frenare le atrocità nel Sudan e convincere qualche altro Bashir a contenere i massacri» (si noti il verbo “contenere”, ndr). Ma non si dimentichi – continua il SOLE – che al-Bashir è al potere da 20 anni e la sua carriera si «intreccia a massacri e genocidi ma pure a interessi petroliferi e geopolitici di medie e grandi potenze. Oggi forse gli daranno addosso, ma non dimentichiamo che a Roma, due anni fa, anche noi siamo stati a tavola con lui».
“L’Aia: arrestate Bashir. Ma il Sudan si ribella”. Fotonotizia in prima pagina anche su LA STAMPA, sul verdetto storico del Tribunale penale internazionale. All’interno del giornale due pagine di approfondimento con intervista a Edoardo Greppi, docente di diritto internazionale all’università di Torino, secondo il quale la richiesta di arresto non potrà avere un esito concreto. «Il presidente Bashir risiede nella capitale, e la Corte penale internazionale non dispone di un proprio apparato coercitivo. Deve quindi poggiare sulla cooperazione degli Stati: e il Sudan, che non riconosce l’autorità della Corte, ha già annunciato che non coopererà». Il mandato d’arresto per i crimini in Darfur ha quindi un valore quindi solo simbolico? In un certo senso no, perché «l’era dell’impunità sembra finita, almeno in linea teorica». Lo si è visto anche con il Tribunale per l’ex Jugoslavia, che è riuscito a trascinare in giudizio il presidente Milosevic e Karadzic, anche se la giurisdizione delle due Corti (quella per l’ex Jugoslavia e quella dell’Aja) è diversa, perché la prima, frutto di una decisione del consiglio di sicurezza, prevale su qualunque pretesa punitiva dello Stato. Greppi fa un’interessante ipotesi: «Il procuratore Moreno Ocampo ha voluto rendere pubblico il mandato d’arresto. In altri casi si era scelto il silenzio per rendere più probabile la cattura». Potrebbe essere un segnale: «si è voluto forse esercitare una forte pressione per stimolare soluzioni sul terreno politico più che su quello giudiziario». Nel “Retroscena” Domenico Quirico scrive che, a dispetto delle manifestazioni pubbliche in difesa di Bashir, in Sudan si pensa già a un rimpasto. Il regime sarebbe pronto a scaricare lo scomodo presidente, e già circolano i nomi dei possibili successori: Nafie Ali Nafie, uno dei consiglieri o il vicepresidente Ali Osman Taha.
“Stragi in Darfur, la Corte dell’Aja ordina l’arresto del presidente Al Bashir” questo il richiamo in prima pagina de IL MANIFESTO che rimanda ai servizi a pagina 11. Nel commento “Moreno – Ocampo un procuratore bifronte” (richiamato in prima “Il mandato di arresto per il presidente sudanese alza il sipario sui crimini in Darfur. Ma i giudici non sono innocenti”) si fanno le pulci alla decisione della Corte penale internazionale. «Non è il caso qui di far mettere in discussione le responsabilità del presidente Al-Bashir, che sono sicuramente molto gravi, non solo per quanto riguarda la tragedia del Darfur. Ma ciò che soprattutto colpisce in questa vicenda giudiziaria e che merita una pronta riflessione è la figura del Procuratore generale, e quindi la funzione stessa della Corte (…) È il caso di sottolineare anzitutto che la Corte penale internazionale – la cui giurisdizione è in vigore dal 2003 – ha sinora strisciato i piedi in una attività giudiziaria prossima allo zero (…) ». Si nota anche che Ocampo «si è finora distinto per il suo ossequioso rispetto degli Stati Uniti e dell’Inghilterra» non avendo avviato nessuna indagine sui crimini commessi in Iraq dalle truppe anglo-americane, a fronte di ben 240 denunce. La conclusione è che «Siamo insomma ancora una volta di fronte al doppio binario del diritto penale internazionale: da una parte una giustizia su misura per le grandi potenze del pianeta e per i loro leader, e, dall’altra parte, i popoli deboli, sconfitti e oppressi. Ancora una volta la “giustizia dei vincitori”».
IL GIORNALE ne parla a pag.16 sotto al titolo “«Arrestate il dittatore» Ma il Sudan sfida il tribunale dell’Aia”. La cronaca è scritta da Gaia Cesare e un’infografica riassume la vicenda del paese africano. A Fausto Biloslavo invece il compito di svelare il retroscena. Sotto al titolo “Il Paese nel caos: si infittiscono le voci di un golpe. Oltre 400 gli italiani nell’area” Biloslavo dice che «il mandato di cattura per il presidente è una “bomba interna” che getta benzina sul fuoco del conflitto del Darfur. Per ora il Governo fa quadrato, ma sono circolate voci di golpe per togliere di mezzo Bashir e questa grana internazionale. Al momento però il generale è in sella e medita vendetta». Biloslavo cita Medici senza frontiere e Intersos come ong italiane presenti e raggiunge al telefono una delle coordinatrici dell’impegno umanitario italiano in Sudan – senza dire nome e cognome – che dice « la situazione è tesa da settimane. I piani di emergenza sono pronti. L’importante è mantenere una presenza umanitaria in Darfur». Secondo le fonti di Biloslavo «Dietro le quinte gli stessi americani avevano chiesto all’Onu di rimandare di un anno la decisione sull’arresto del presidente sudanese».
Su AVVENIRE, un fondo molto pulito, di cronaca, senza commento: “Darfur, l’Onu ordina: «Arrestate el-Bashir»”. Fra le conseguenze del mandato d’arresto, l’espulsione dal Sudan di 10 Ong straniere (13 secondo alcune fonti), accusate di cooperare con la Cpi. A livello internazionale gli equilibri sono delicati: Bashir può contare sul sostegno politico sia di partner commerciali importanti come Cina e Russia sia di diversi Paesi africani, «molti dei quali hanno manifestato la convinzione di un presunto “pregiudizio antiafricano” della Corte dell’Aja». L’Egitto è preoccupato e ha chiesto una riunione straordinaria al Consiglio di sicurezza Onu per rimandare di un anno il procedimento del mandato, che rischia di compromettere il fragile processo di pace in Sudan. Diversamente gli Stati Uniti «(“dimenticando” di essere stati finora tra i maggiori boicottatori della Corte dell’Aja nel timore di inchieste relative ad Iraq e Afghanistan) ritengono che “chi ha commesso atrocità debba essere portato davanti alla giustizia». Un grido di gioia si leva dai campi profughi del Darfur e del Ciad. Di «grande vittoria» ha parlato il Movimento di liberazione del Sudan (Slm, principale gruppo ribelle, secondo il quale questa decisione «cambierà molte cose ed è grande la speranza che i massacri possano cessare». Scettico Avvenire sulle possibilità di un effettivo arresto di Bashir: la Cpi non dispone di una forza di polizia e ad arrestare il presidente dovranno essere gli Stati. I quali non hanno alcuna intenzione di consegnare il leader del Paese. Si vedrà il 30 marzo, a Doha, in occasione del vertice della Lega araba.
E inoltre sui giornali di oggi:
TESTAMENTO BIOLOGICO
CORRIERE DELLA SERA – Le correzioni della maggioranza al ddl sul fine vita firmato da Calabrò, che oggi incomincia l’iter in Commissione Sanità, non convincono l’opposizione. Racconta il CORRIERE: «Resta frontale lo scontro sul punto centrale delle legge: il divieto della sospensione di idratazione e alimentazione. Il Pdl stava lavorando per ammorbidire il divieto sulla scia della posizione del cattolico Pd Bosone, ma non se ne è fatto nulla. Anche Dorina Bianchi, capogruppo Pd in Commissione Sanità su posizioni opposte a quelle di Marino, ammette che il testo «pur con qualche miglioramento resta inaccettabile».
LA REPUBBLICA – Prove di dialogo fra maggioranza e opposizione. Il Pdl propone una nuova versione della legge ma i capisaldi restano immutati. Vietato interrompere l’alimentazione anche in casi gravi, vincola l’attività medica all’esclusiva tutela della vita (divieto di eutanasia e di suicidio assistito), fa marcia indietro rispetto al ricorso al notaio (sarà istituito un registro delle dichiarazioni, presso il ministero del Lavoro). Il Pd non è comunque soddisfatto e conta di discutere i suoi 332 emendamenti.
AVVENIRE – “Fine vita, modifiche al testo. «Ora una larga condivisione». Il relatore Raffaele Calabrò presenta due emendamenti, accogliendo alcune richieste dell’opposizione. Il primo dei quali accorpa tre articoli in uno, portando il ddl a 8 articoli anziché 10. Nel secondo comma del primo emendamento, poi, il senatore indica un indirizzo di principio per le cure palliative. Ma il presidente della commissione, Tomassini, ha già anticipato che questa mattina lo dichiarerà inammissibile. Nel secondo emendamento si istituisce il registro delle Dat in un archivio unico nazionale. Il ministro del Welfare dovrà regole tecniche e modalità di consultazione. Infine, sarà il medico di medicina generale a raccogliere le volontà del paziente al posto del notaio. Nonostante le modifiche apportate al testo, sono ben 332 i sub-emendamenti che l’opposizione ha depositato ieri sera alle 20: 255 da Democratici e Idv, 77 che portano la firma della radicale Donatella Poretti.
LAVORO E PENSIONI
LA REPUBBLICA – La regione Lazio ha approvato una legge che dà un reddito minimo ai disoccupati. 530 euro mensili per chi non arriva a 7mila l’anno. stanziati 40 milioni di euro fino al 2011 si prevede che ne beneficeranno circa 20mila persone.
SOLE24ORE – Il SOLE torna sull’argomento delle pensioni a 65 anni per le donne e fa un focus su come verranno utilizzati i risparmi di spesa. Inutile dire che l’idea dell’innalzamento dell’età pensionabile piace al SOLE e riferisce dell’idea del governo (cioè di Brunetta): i 2/3 dei miliardi che si ricaveranno andranno spesi per «migliorare e riequilibrare le condizioni delle donne nel mercato del lavoro in termini di carriera, salari e welfare familiare, dagli asili nido ai sussidi». Il punto è però se veramente le risorse liberate dal provvedimento saranno così ingenti: Tito Boeri, per esempio, non ci crede perché secondo lui le stime del governo (secondo le quali le donne tendono ad andare in pensione non appena possono) potrebbero rivelarsi sbagliate; morale, secondo lui le “vere” risorse sarebbero pari a circa 1,5 miliardi.
IL MANIFESTO – L’apertura è una vignetta di Vauro in cui una donna armata di classico mattarello per la pasta ha appena dato una mattarellata in testa a Sacconi, caricaturato con un evidente bernoccolo in testa. Il testo che accompagna il disegno è “Pensioni. Il bozzo Sacconi”. Tre le pagine dedicate che in prima vengono riassunte così: “Il governo fa marcia indietro sull’innalzamento a 65 anni dell’età pensionabile per le donne. Sacconi frena Brunetta: «Nulla è ancora deciso». Dopo il no della Cgil, arriva anche quello della Cisl. Intanto continua la serie di brutte notizie e di pessime previsioni sul fronte economico. La cassa integrazione aumenta del 553%, Bankitalia prevede un 2009 nero con il Pil che scende del 2,6%”.
AVVENIRE – «Serve un nuovo patto fra le generazioni, riformando previdenza e ammortizzatori sociali, ma anche un altro patto tra i generi, che potenzi i servizi per le donne e le famiglie». A parlare è Maurizio Ferrera, docente di Teorie e pratiche dello stato sociale all’Università statale di Milano, secondo cui bisogna smetterla con la «litania dei “poveri pensionati”. Non stiamo parlando degli 80enni con l’assegno sociale, né degli assegni di chi è già oggi a riposo. Parliamo di “giovani vecchi” prossimi a incassare pensioni di un livello che non ha uguali nel resto d’Europa. E che riceverà la pensione per 15-20 anni. La sua ricetta? «Eliminare la pensione di anzianità (quella anticipata), fissare una soglia minima almeno a 62 anni, ma io direi anche 64 anni, e poi lasciare libertà di scelta con rendimenti crescenti per chi si ferma più anni al lavoro. Nei Paesi scandinavi si va da un minimo di 65 a 68 anni; in Gran Bretagna fino a 70. Da noi ha senso pensionare un lavoratore a 57 anni?». Occorre inoltre che i risparmi derivanti dall’allungamento dell’età pensionabile femminile vadano realmente investiti a vantaggio delle donne, per politiche family friendly (pag. 5). Preoccupante anche il quadro fornito dalla Caritas, secondo la quale le famiglie in difficoltà sarebbero aumentate del 25-30%.
COOPERAZIONE INTERNAZIONALE
ITALIA OGGI – Un pezzo sui progressi conseguiti in settimana dal Consiglio giustizia e affari interni dell’EU in materia di cooperazione giudiziaria europea. Il primo riguarda l’adozione della seconda generazione del Sistema d’informazione Schengen ( SIS 2). Poi la discussione della nuova proposta di creare un ufficio di supporto europeo alle procedure di asilo, nonchè degli aspetti principali della decisione quadro riguardante la prevenzione nei procedimenti penali e le garanzie dei depositi bancari e dei ritardi dei pagamenti. Il nuovo sistema SIS 2 ha come obiettivo principale quello di migliorare la libera circolazione dei cittadini comunitari e di aumentare i controlli alle frontiere esterne dell’unione per cercare di arginare in modo rapido ed efficace il fenomeno dell’immigrazione clandestina. Il consiglio ha anche ribadito la positività del coinvolgimento degli stati membri nella messa a punto dei test di verifica dell’identità delle persone che intendono fare il loro ingresso nel territorio dell’ Unione. La data prevista per l’implementazione del SIS 2 è settembre 2009. A Bruxelles è stato anche raggiunto un accordo per quel che riguarda la Convenzione sulla scelta della Corte in Materia di diritto internazionale privato. La convenzione riguarda la legislazione secondaria della Comunità europea, basata sulla scelta delle parti e sul riconoscimento e l’applicazione delle risultanti sentenze. Il Consiglio ha riaffermato l’intenzione di continuare a cooperare in modo stretto con l’unione europea, ricamando gli Stati membri a firmare, ratificare e implementare le Convenzioni del Consiglio del Consiglio d’Europa in materia di cooperazione internazionale in materia penale. La decisione quadro comprende anche lo scambio di informazioni su abusi sessuali perpetrati nei confronti di minori.
INDIA
AVVENIRE – L’india fortifica gli oltre 4mila chilometri di confine per fermare l’immigrazione, i traffici e il terrorismo. Il muro, o Zero Line come lo hanno chiamato, cresce di settimana in settimana, tagliando fuori il Bangladesh. Né lingua, né etnia distinguono le popolazioni ai due lati. Ma il colosso indù teme infiltrazioni di gruppi musulmani (vetrina di pagina 3).
ROMENI
LA STAMPA – “La grande bufala del Dna romeno”. Un articolo interpella scienziati e genetisti: «sostenere che dai geni degli stupratori del Parco della Caffarella si desuma che fossero romeni è una falsità evidente» dice Guido Barujani, professore all’Università di Ferrara. LA STAMPA quindi “corregge il tiro” su quanto pubblicato ieri nella cronaca: non si può desumere la nazionalità da un profilo genetico.
IL MANIFESTO – “Caffarella, bufera sul dna dei rumeni. La questura si difende: l’accusa regge” è il titolo dell’articolo dedicato alle indagini sullo stupro della Caffarella. Interessante la fotografia di corredo all’articolo. Scattata il 24 gennaio, dopo lo stupro di Primavalle, quando polizia, militari della Folgore e vigili urbani sgomberarono un insediamento abusivo del quartiere, in due cerchi sono evidenziati i due accusati dello stupro alla Caffarella in secondo piano dietro i militari.
RAI
LA STAMPA – Potrebbe essere l’ex due volte premier Giuliano Amato il presidente della Rai, rivela oggi il quotidiano di Torino. Qualcosa si saprà martedì, quando ci sarà l’assemblea degli azionisti della Tv pubblica.
SCUOLA
IL GIORNALE – Apre con questo titolo “Così la sinistra crea le scuole ghetto” e nell’occhiello subito la spiegazione “Ha detto no alle classi ponte e poi di nuovo no alle quote. La conseguenza? Troppi stranieri in aula e i genitori ialini ritirano i figli. Così il prossimo anno nasceranno prime elementari solo di immigrati”. Sul caso l’editoriale del direttore «Le classi ghetto nascono grazie al buonismo della sinistra, al politicamente corretto in salsa rosa, alle nenie ipocrite in stile Livia Lacrimans Turco e Rula Jebreal». A pagina 3 si riportano esempi di gestione delle classi multietniche. A Genova per esempio dal 2005 c’è il limite del 30% di stranieri per classe.
COOPERATIVE
IL GIORNALE – Apertura delle pagine di Milano con una denuncia: “Lo scandalo delle cooperative: «Fanno lavorare in nero 162mila persone»” Lo studio condotto dal giuslavorista Giovanni Giannelli verrà presentato oggi alla Statale di Milano. «Se per assurdo un giorno questi lavoratori decidessero di scioperare la città si bloccherebbe. Perché si tratta di una rete strutturata di cooperative create ad hoc per fornire braccia di lavoro e manodopera clandestina in nero all’industria e alle società di servizi».
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