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Armi? Bush vuole il nostro petrolio

All Shaker ufficialmente si occupa di business, di fatto è l’ambasciatore di Bagdad. Spiega che la ragione del conflitto sono i pozzi i contratti con Cina e Russia...

di Francesco Agresti

I veri motivi di un?eventuale nuova guerra contro l?Iraq sono le riserve di petrolio e la volontà di mutare lo scenario in Medioriente per servire gli interessi di Usa e di Israele». Faris Ali All Shaker si presenta così. Da qualche mese ricopre il ruolo di incaricato d?affari in Italia per l?Iraq e, in assenza di un ambasciatore, è il diplomatico di più alto rango. Ci accoglie nel suo studio sui cui muri campeggiano gli immancabili ritratti del Rais.
«A causa del conflitto del 91 e dell?embargo non possiamo permetterci nemmeno di depurare l?acqua: come è possibile pensare che il nostro esercito abbia in dotazione armi di distruzione di massa? Sono solo pretesti per colpire di nuovo la popolazione irachena», dice Shaker. «L?Iraq ha due ricchezze», prosegue, «il petrolio e i giovani, che rappresentano la maggioranza della popolazione. Prima del conflitto i livelli di scolarizzazione e di mortalità infantile erano vicini a quelli di un Paese occidentale, oggi competono a malapena con quelli del Bangladesh». E nelle università si studia ancora sui libri di dieci anni fa, e negli ospedali i bambini continuano a morire per malattie che da noi non richiederebbero nemmeno il ricovero.
«Contiamo molto sulle nuove generazioni», sottolinea All Shaker, «crediamo in loro e faremo di tutto per assicurargli un futuro nel nostro Paese». A far gola è l?altra risorsa irachena, quella petrolifera. Le riserve certe sono pari a 112,5 miliardi di barili, il 10,5% di tutto il petrolio mediorientale, seconde al mondo solo a quelle dell?Arabia Saudita.
L? Energy information agency stima che le riserve probabili siano di circa 220 miliardi di barili, ma secondo il ministero iracheno del Petrolio, che ha pronto un piano per portare entro il 2010 la capacità produttiva a 6-10 milioni di barili, sarebbero addirittura 300 miliardi. I principali importatori sono Usa, Russia, Malaysia, Cina, Italia, Francia e Giordania. Nel settore del gas naturale, Francia, Russia e Cina, le tre nazioni che hanno apertamente contrastato la linea dura degli Usa, hanno sottoscritto contratti che prevedono investimenti per 4,2 miliardi di dollari; inoltre la sola Russia ha concluso un accordo bilaterale del valore di 40 miliardi di dollari che interessa anche comunicazioni e infrastrutture.
«Negli ultimi 10 anni», sottolinea Fabio Alberti, direttore di un Ponte per…, unica ong italiana presente a Bagdad, «l?Iraq ha sottoscritto 48 contratti con società occidentali per lo sfruttamento di giacimenti petroliferi e 101 accordi per attività di ricerca di nuovi campi petroliferi con imprese francesi, russe e cinesi e di altri Stati occidentali, nessuna delle quali statunitense. Se finisse l?embargo prima che gli Usa si siano assicurati un governo amico a Bagdad, il petrolio iracheno, il più grande giacimento del mondo dopo quello saudita, resterebbe fuori del loro controllo». Che fine faranno quei contratti, chiediamo a Shaker, se il Rais fosse destituito? Risposta secca: «Inutile prendere in esame un?ipotesi irreale».

Info: Un Ponte per…

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