Cultura

Armando Punzo, 25 anni di autoreclusione

Nell'agosto 1988 Armando Punzo entrava per la prima volta nel carcere di Volterra. In questi anni ha rivoluzionato il concetto di teatro in carcere e non solo.

di Redazione

E dopo 25 anni ci ha regalato un libro, il primo a firma sua. Era l’agosto 1988 e Armando Punzo varcava per la prima volta le sbarre del carcere di Volterra. Oggi, dentro quello stesso carcere, progetta di realizzare il primo Teatro Stabile in Carcere del mondo. In mezzo, da venticinque anni, ci sono trenta spettacoli teatrali realizzati dai detenuti del carcere Toscano, ormai migliaia di spettatori che hanno consegnato le loro carte d’identità e hanno sentito chiudersi alle loro spalle le pesanti inferriate del carcere per assistere (che poi non è mai solo qualcosa di passivo) a questi straordinari lavori della Compagnia della Fortezza, e quattro Premi Ubu. Il libro si intitola È ai vinti che va il suo amore e racconta questi 25 anni «di auto reclusione», con oltre 150 fotografie, testi inediti, appunti, poesie.  Venticinque anni – scrive lo stesso Punzo sul blog della Compagnia – «passati a dis-fare e ri-fare l’Uomo, il Teatro di rappresentazione, il concetto di Realtà, l’architettura mentale e fisica della Prigione, l’Essere Prigioniero, l’Io prigione di noi stessi, l’Arte come superamento dell’Arte, il concetto di Bellezza rassicurante, il Maledettismo nichilista, il Pessimismo, la morte di Dio, l’Inferno prima di Dante, l’anelito al Paradiso in noi…».

 

 
 

Santo Genet Commediante e Martire
Lo spettacolo proposto quest’anno è ispirato a Jean Genet. Lo spettacolo è presentato così: «Come santi meravigliosi, nell’atto dell’estasi, dell’oblio. Perché quel corpo deve essere mitizzato, non è il corpo del reato del reale, ma è il corpo di chi si allontana dal reale, dalla storia e dalla sua storia. Tutte qualità e potenzialità nello stesso soggetto. Genet non uccide, si uccide, si sacrifica. Sacrifica il suo essere. I suoi eroi vengono svuotati della loro realtà. Ogni omicidio diventa un suicidio, un morire a se stessi su un piano estetico. Il teatro è la macchina del delitto. La realtà diventa immagine reale che si fa riflesso che tradisce la realtà con tutta la sua arroganza». «La bruttezza è bellezza in riposo. La bellezza è la proiezione della bruttezza».

 

 

Rivoluzionare il teatro
«Il nostro obiettivo non è rendere più umane le carceri, quanto quello di mettere alla prova il teatro in queste condizioni», dicono senza mezzi termini. A Volterra il “teatro” dove gli attori provano e vanno in scena è una cella di tre metri per nove: una sfida per reinventare il teatro stesso e restituirgli la sua necessità. L’«impossibilità» diventa una scelta, oltre che una condizione. «L’impossibile come attitudine della mente e del corpo attraverso cui spingersi alla ricerca di una propria espressione»: da qui parte ogni anno ogni lavoro. Da qui nasce il progetto de I teatri dell’Impossibile, di cui la Compagnia della Fortezza è la prima incarnazione.

 

 

Oltre la scena
«Se la Compagnia della Fortezza è potuta divenire quello che è, ovvero una compagnia teatrale longeva e di successo, ciò lo si deve al fatto che nulla è lasciato al caso», recita il sito della Compagnia. Dietro la Compagnia infatti ci sono certo le idee e le visioni del suo fondatore, ma anche una struttura che cura, gestisce, organizza e supporta ogni attività: l’Associazione Carte Blanche, attiva nel campo della ricerca e della sperimentazione teatrale e il Centro Nazionale Teatro e Carcere, che ha dotato la Compagnia della Fortezza di nuovi strumenti con cui tutelare e valorizzare il lavoro svolto tanto all’interno della Casa di Reclusione di Volterra quanto all’esterno.

 

 

Un vero lavoro
Dal 1993 la Compagnia ha iniziato ad essere invitata e ospitata nei principali teatri, festival e rassegne italiani. A quel punto l’attività teatrale svolta dai detenuti cessa di essere un’attività ricreativa ma viene riconosciuta come attività lavorativa a tutti gli effetti: gli attori quindi possono uscire dal carcere e andare in tournée, come previsto dell’art. 21 dell’Ordinamento Penitenziario. Prima di allora, i detenuti spesso erano costretti ad utilizzare i loro permessi-premio per andare in tournée, a scapito degli incontri con i loro famigliari.

Foto di Stefano Vaja dal blog ufficiale della Compagnia
 

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