Scienza
Arianna Traviglia, l’archeologa che usa robotica e I.A. per salvare l’arte
E' la donna del futuro che scava nel passato. Arianna Traviglia dirige un centro specializzato dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Venezia, un luogo futuristico, dove chimici, ingegneri dei materiali, informatici e laureati in beni culturali usano l’intelligenza artificiale e la robotica per proteggere e conservare il patrimonio storico, archeologico, artistico e culturale. Traviglia e il suo team non scavano: per esplorare il sottosuolo e ricostruire antiche civiltà si servono di immagini telerilevate, laser scanner e radar
Il Centre for Cultural Heritage Technology (Ccht) dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Venezia è un luogo futuristico. Qui, chimici, ingegneri dei materiali, informatici e laureati in beni culturali usano l’intelligenza artificiale e la robotica per sviluppare nuovi sistemi in grado di analizzare, proteggere e conservare il patrimonio storico, archeologico, artistico e culturale nazionale e internazionale. Lo dirige, fin dalla sua nascita (cinque anni fa) la scienziata Arianna Traviglia.
«Qui al Ccht crediamo che le opere d’arte siano come dei pazienti malati e noi gli specialisti che se ne prenderanno cura», spiega. «Quando arrivano dei nuovi ricercatori e delle nuove ricercatrici la prima cosa che faccio è mettere nelle loro mani i materiali antichi, come frammenti di vetro, parti di mosaici, sezioni di affreschi, dipinti, e dire loro: “Ti prego, salviamoli”».
Rendere visibile l’invisibile
La prima azione da compiere è analizzare lo stato di salute di frammenti di vetro, parti di mosaici, sezioni di affreschi, dipinti: «Ci muoviamo con circospezione nelle sale dei musei, come fossimo dei ghostbuster (gli acchiappa-fantasmi del film degli anni Ottanta alla ricerca di fenomeni paranormali) utilizzando dei sensori iperspettrali che ci permettono di acquisire in maniera accurata, veloce e non invasiva, centinaia di immagini che svelano elementi non visibili ad occhio nudo e ci consentono di valutare il livello di degrado dell’opera senza creare uno stress da manipolazione o spostamento».
Aloe e crostacei per proteggere l’arte
E poi, come ogni malato che si rispetti, anche le opere d’arte ricevono delle medicine ad hoc: gli scienziati stanno inventando dei materiali speciali, sicuri per l’ambiente e la salute, utilizzando sostanze che provengono dalle piante (come l’aloe) e dai residui di alcuni crostacei. Una volta deposti sull’opera, questi gel naturali, e atossici, creano delle pellicole che rallentano o interrompono il processo di degrado e corrosione causato dall’umidità, dall’azione dei microorganismi, o , come nel caso di Venezia, dall’acqua salata dell’alta marea.
Grazie ad algoritmi di intelligenza artificiale – per un altro progetto finanziato da ESA, dal nome Alceo, sono riusciti a identificare nuovi siti di saccheggio in luoghi di interesse archeologico in Siria, Egitto e Italia.
Non si scava: si usano i radar
A confutare l’immagine dell’archeologa china sul passato, c’è anche il fatto che Traviglia, che ha vissuto molti anni a Seattle e a Sydney, e che è tornata in Italia tramite una Marie Curie Reintegration grant, (una delle misure più note del programma Horizon 2020 della Commissione Europea), non scava: per esplorare il sottosuolo e ricostruire antiche civiltà si serve di immagini telerilevate, laser scanner e radar.
Usare i satelliti per scovare nuovi siti
«Nel progetto pilota “Cultural Landscapes Scanner” che coordino, risultato di una partnership tra l’Istituto Italiano di Tecnologia e l’Agenzia spaziale europea, identifichiamo nuovi siti archeologici sepolti o sommersi e ancora sconosciuti, utilizzando le immagini satellitari che ci giungono grazie al programma europeo di osservazione della terra Copernicus». È così, ad esempio, che i ricercatori di Traviglia stanno ricostruendo il paesaggio antico che circondava il sito di Aquileia (Udine), una delle maggiori città di età romana (risalente al II secolo a.C.), importante crocevia di religioni e culture.
Il progetto di Pompei
Dal 2021, inoltre, Traviglia fa parte della cordata di partner guidata dall’Università Ca’ Foscari di Venezia che vede esperti di archeologi ed esperti di robotica interagire tra loro con l’obiettivo molto ambizioso di riassemblare all’interno del Parco Archeologico di Pompei le migliaia di frammenti degli affreschi della “Schola Armatorarum” e della “Casa dei Pittori al lavoro”, danneggiati nel corso della eruzione del 79 d.C. e poi ridotti in frantumi in seguito ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale.
Si tratta di un progetto unico al mondo, chiamato Repair, che ha destato l’attenzione dei media di tutte le nazionalità: «Quando il numero dei frammenti è molto ampio, con migliaia di pezzi è come voler completare un puzzle, senza avere il riferimento dell’immagine finale, senza avere il coperchio della scatola».
Con la collega scienziata dell’IIT, Barbara Mazzolai, stanno inoltre valutando valutando se i suoi plantoidi (i robot ispirati alle pinate) possono inserirsi tra le mura delle case di Pompei dove si osservano ancora degli affreschi. I plantoidi potrebbero aiutare a definire lo stato della staticità dei manufatti e segnalare la possibilità di distacco dell’affresco, permettendo così d’intervenire prima che vi sia un cedimento che distruggerebbe l’opera.
Eppure, confessa Traviglia, «oggi più che la Gioconda, gli affreschi di Pompei, i paesaggi del Canaletto, sono i capolavori realizzati in vetro quelli che più mi preoccupano e che sento l’urgenza di mettere al sicuro». Questo materiale infatti è stranissimo: «noi lo vediamo immobile ma in realtà è in continuo movimento (anche a temperatura ambiente) e non ci sono ancora strumenti efficaci per fermare il degrado di un materiale di più di due mila anni fa».
Oggi più che la Gioconda, gli affreschi di Pompei, i paesaggi del Canaletto, sono i capolavori realizzati in vetro quelli che più mi preoccupano e che sento l’urgenza di mettere al sicuro
Arianna Traviglia
Le biblioteche digitali
Mentre si perfezionano tecniche e strumenti per arrestare il degrado dell’immenso patrimonio storico, archeologico, artistico e culturale, cosa si può fare per garantirci di poterlo osservare anche in futuro? Ancora una volta è l’Intelligenza Artificiale a fornire la risposta: il team di Traviglia, infatti, sta lavorando alla creazione di enormi “biblioteche digitali” dove verranno custoditi modelli in 3D delle opere, in modo da poterle studiare, approfondire o utilizzare come riferimento in caso di disastri, come è accaduto in occasione della ricostruzione delle statue e di alcuni dettagli (inclusa la guglia ottocentesca) della cattedrale di Notre Dame dopo il disastroso rogo, quando si è ricorso ad un modello 3d che era stato realizzato per un videogioco.
Mettere l’arte al sicuro
Mettere al sicuro l’arte significa anche assicurarsi che non finisca nelle mani sbagliate. E infatti un’altra delle attività del centro Ccht, che si svolge in collaborazione con il comando Tutela Patrimonio Culturale dei carabinieri, è dedicato al contrasto dell’ “ART- crime” (il crimine relativo all’arte) con l’obiettivo di identificare dipinti, statue e reperti archeologici rubati e messi in vendita su internet nei gruppi chiusi dei social media. «Dopo il traffico di droga e quello di essere umani – spiega Traviglia – il traffico illecito delle opere d’arte è un mercato enorme, che tocca in modo particolare l’Italia. Così come l’acquisizione abusiva e il saccheggio di antichità».
Dopo il traffico di droga e quello di essere umani il traffico illecito delle opere d’arte è un mercato enorme, che tocca in modo particolare l’Italia
Arianna Traviglia
Aree ad alta vocazione archeologica sono tuttora soggette a questo scempio, sia nel nostro paese (come in Sicilia o in Puglia, o nell’area dell’antica Etruria nel centro dell’Italia) che in molte aree del mondo (Medioriente e Sudamerica soprattutto).
Foto dell’ufficio stampa dell’Istituto Italiano di Tecnologia
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