Mondo

Argentina, quando una tragedia si trasforma in caso politico

Una serie di corrispondenze dall'America latina vi accompagneranno in un tour che avrà come meta finale Porto Alegre, città brasiliana che ospita il Forum Sociale Mondiale

di Paolo Manzo

BUENOS AIRES Ferita, arrabbiata e confusa. Così appare l?Argentina targata 2005 a chi la guarda da Plaza de Mayo, centro politico di quella Buenos Aires che, da fine Ottocento sino agli anni Sessanta, è stata la capitale dell?immigrazione europea. Ferita per il suo piccolo tsunami personale, che l?ha colpita al cuore, la notte del 30 dicembre, quando la discoteca República Cromagnon si è trasformata in un altoforno, portandosi via 185 persone (ma il bilancio è ancora provvisorio, dato l?alto numero di feriti in prognosi riservata), nella stragrande maggioranza dei casi giovani o, addirittura, bambini e neonati. L?evento tragico ha sconvolto la normale routine vacanziera che, in questo mese di gennaio, vede 10 milioni di persone in viaggio verso la costa atlantica, da Mar del Plata a Pinamar, da San Bernardo a Villa Gesell. Nel frattempo, infuriano le polemiche che hanno trasformato una tragedia in un caso politico e sociale. Cerchiamo di capire cosa sta succedendo in questo paese che, oggi più che mai, appare sull?orlo di una crisi di nervi. Già, perché in una scala di responsabilità per quanto accaduto alla República Cromagnon, in testa dovrebbe starci Omar Chabán, il proprietario della discoteca (anche se de jure gli intestatari del boliche erano un pensionato e una casalinga), che ha fatto entrare un numero di persone tre volte superiore a quello regolamentare, che ha chiuso a doppia mandata quattro delle sei uscite di sicurezza, che ha evitato accuratamente di perquisire chi era entrato con i bengala che hanno originato l?incendio, che ha permesso che il bagno femminile della discoteca si trasformasse in un inquietante (dal punto di vista etico e sociale) asilo improvvisato. Subito sotto, nella scala delle responsabilità dovrebbe esserci chi i bengala li ha tirati. In terzo luogo i tanti genitori, padri e madri giovanissimi, che non hanno trovato di meglio che portare i loro figli di due, tre e quattro anni (ma una vittima aveva addirittura 10 mesi) in una discoteca, per parcheggiarli nella lurida guardería (traducasi asilo) allestita alla bell?e meglio nei bagni femminili della República Cromagnon. Solo dopo, nella scala delle responsabilità, possiamo metterci i pompieri, il sindaco di Buenos Aires, Aníbal Ibarra, o il presidente Nestor Kirchner, la cui unica colpa è il non essere intervenuto tempestivamente, con un discorso alla nazione, per «far sentire la sua presenza ». Invece, lunedì 3 gennaio, 6mila persone da barrio Once ? il quartiere di Buenos Aires dov?è avvenuta la tragedia ? hanno marciato sino a Plaza de Mayo, per chiedere la testa di Ibarra al grido di «assassino, assassino». La marcia, organizzata dai famigliari delle vittime, è stata avvicinata da alcuni militanti di estrema sinistra e di piqueteros, che volevano dispiegare le loro bandiere e aggregarsi ai 6mila. Ricevuto un secco no da parte dei manifestanti (che aprivano il corteo con una bandiera argentina con su scritto «Giustizia per le vittime»), sono iniziati gli scontri con la polizia (18 feriti e 8 persone arrestate), mentre la giornata si è conclusa con l?intervento del padre di una delle vittime, la giornalista Jacqueline Santillán, il quale ha sottolineato, dal microfono sul palco in Plaza de Mayo, la responsabilità ? anche ? di molti dei genitori delle vittime. È stato aggredito. L?appuntamento, adesso, è per giovedì prossimo, essendo già stata annunciata una nuova marcia da barrio Once a Plaza de Mayo. Sperando che non ci siano più infiltrazioni politiche, più o meno violente, che sia lasciato il giusto spazio al dolore dei famigliari delle 185 vittime della República Cromagnon e che i responsabili di questo dramma rispondano presto alla giustizia. (Articolo pubblicato il 5 gennaio 2005 su Europa)


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