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Argentina. Parla lex presidente Duhalde. Chi ha colpa dei bond
"Mi spiace per i 320mila investitori italiani. Ma devono chiedere conto alle loro banche. Non sono state oneste".
di Paolo Manzo
Piove a Buenos Aires. Nonostante ci si stia avviando verso l?estate, in questa parte di emisfero che rincorre con sei mesi di ritardo il nostro. O lo anticipa, chissà. Di fronte a me un uomo qualunque all?apparenza: statura medio-bassa, occhio vispo, umile negli atteggiamenti e nel tono di voce, sempre basso. È curioso il mio interlocutore, mi chiede che ne penso della Bolivia, allarga le braccia quando io gli chiedo dei tango bond. Sorseggiando un caffè continuiamo a parlare, mentre lui fa di tutto per mettermi a mio agio, e io continuo a rivolgermi con l?Usted, quanto di più formale ci può essere a queste latitudini. E continuo a chiamarlo “presidente”, com?è dovuto a chi, alla Casa Rosada, c?è stato. Foss?anche per una sola settimana, come Rodriguez Saa, quello cui lui è succeduto alla presidenza del Paese più strano del mondo. Quello che Borges definiva a volte la patria degli psichiatri, altre una nazione popolata di italiani che parlano spagnolo. Il mio interlocutore è Eduardo Duhalde, principale sponsor dell?attuale presidente Nestor Kirchner e vera e propria eminenza grigia del peronismo che oggi comanda l?Argentina, distante anni luce da quello menemista.
Vita: Presidente, lei certamente saprà che Kirchner ha dovuto annullare una visita in Italia a metà ottobre per timore che gli pignorassero il Tango 1, l?aereo presidenziale?
Eduardo Duhalde: E al suo posto sono andato io, in quell?occasione. Vuole che le faccia fare uno scoop?
Vita: Magari?
Duhalde: In realtà hanno mandato me, perché? volevano che pignorassero il sottoscritto.
Vita: Seriamente, parliamo dei bond argentini che sono la base del problema. Che si sente di dire ai lettori di Vita?
Duhalde: A me spiace molto per le obbligazioni acquistate dai 320mila piccoli risparmiatori italiani, ma si tolgano dalla testa di recuperare il 100%. L?Argentina è un Paese in fallimento e, anche quando falliscono le aziende, i titoli valgono meno. Non mi spiace, invece, per le azioni acquistate dai fondi speculativi, che si possono”attaccare al tram”. E poi c?è stata una responsabilità delle banche.
Vita: In che senso, presidente?
Duhalde: Nel senso che non si può offrire a un piccolo risparmiatore obbligazioni di qualsiasi Paese, dicendogli che danno il 20% di interessi e che non ci sono rischi. Qualcosa ci sarà dietro, bisognava dirglielo. Altrimenti che avessero comperato bond Usa, che rendevano l?1%?
Vita: Oggi, però, l?Argentina vive un boom economico?
Duhalde: Sta recuperando, ma la situazione permane difficile. Abbiamo quasi il 55% di poveri, una cosa mai vista nel nostro Paese. Le previsioni per il 2003 ci parlano di una crescita del 7%. Quindi è vero: stiamo vivendo una congiuntura in cui la gente ha recuperato la speranza e, dal governo più fragile della storia politica argentina, il mio, è nato un governo con una grandissima forza. Ma questo è stato tutto merito del popolo argentino, che ha saputo sopportare momenti così difficili.
Vita: Come giudica la presidenza di Kirchner, che lei ha appoggiato?
Duhalde: A differenza della mia, la presidenza Kirchner più che sorprendere le attese le ha superate. E il Paese lo sta ricevendo molto bene.
Vita: Quanti anni ci vorranno perché l?Argentina esca da questa crisi?
Duhalde: All?Europa ci sono voluti 20 anni dopo la guerra. Credo accadrà lo stesso a noi.
Vita: L?Argentina deve dare fiducia ai mercati per attirare capitali dall?estero. Cosa sta facendo Kirchner?
Duhalde: Sta portando avanti una politica incentrata sullo sviluppo. Con Menem la nostra era un?economia speculativa, ora stiamo passando al capitalismo produttivo.
Vita: Che prospettive abbiamo che Argentina e Brasile facciano politiche più comuni, nel Mercosur?
Duhalde: C?è un interesse e una coscienza comune affinché si possa andare avanti assieme. E poi c?è un?ottima relazione tra Lula e Kirchner.
Vita: C?è un?ipotesi di moneta unica tra Baires e Brasilia?
Duhalde: È una possibilità. Ne parlai con Lula, quando ero presidente, e rimanemmo d?accordo nel pianificare una moneta di scambio che valesse non solo per i prodotti agricoli, ma per tutte le transazioni tra i due Paesi. Un?emissione limitata, il preambolo a un?unione monetaria.
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