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Argentina in crisi: le Ong denunciano

Una panoramica su cause e possibili scenari futuri della tragedia argentina. Con un'intervista a tre donne coraggiose che, da anni, lavorano a Buenos Aires nel Terzo settore

di Paolo Manzo

L’ira funesta degli argentini è esplosa. Prevedibilmente. E il governo di De La Rua è fuggito dalla Casa Rosada in elicottero. Lasciando che, nell?antistante Plaza de Mayo quattro ragazzi che protestavano contro fame e ingiustizia sociale venissero uccisi a colpi di arma da fuoco da parte della Policia. In due giorni di rivolta popolare, sono oltre venti le vittime degli scontri, figlie di misure economiche fallimentari che hanno portato alla fame quel che restava della classe media. Eh sì perché, a differenza della triste epoca di Montoneros ed Erp (Esercito Revolucionario del Pueblo,ndr), quando l’ondata di violenza era esclusivo terreno degli estremisti (cui seguì la violenza della dittatura militare), qui in piazza ci sta andando la gente della classe media, che non ne può davvero più. Quando c’era il comunismo, la tesi dei “compagni” (italici e non) di fronte alle barbarie liberticide che si commettevano quotidianamente nei Paesi “socialisti” era: il comunismo in sé e per sé è bellissimo, il problema è che viene applicato male. Caduto il muro ai pasdaran dell’ideologia comunista si sono sostituiti quelli dell’Fmi. I pasdaran del neoliberismo che, oggi, dominano. E non mancano di farci sapere che le politiche neoliberiste, soprattutto in economia, sono stupende, le migliori. Solo che, purtroppo, non sempre vengono applicate correttamente. Piccolo particolare: oltre a Stati Uniti e Gran Bretagna, quali gli altri Paesi del globo terracqueo dove si può dire che il neoliberismo puro abbia funzionato? Di certo non in Argentina, dove le misure draconiane “imposte” dall’Fmi (che adesso fa finta di non avere nessuna responsabilità sulle politiche economiche di Baires che stanno sconquassando il Paese…) hanno fatto disastri. Anche nei confronti delle ballerine del Colón, il teatro più famoso del Sudamerica, che da settimane portano in strada le loro proteste assieme alla loro arte. Si intrufolano nel complicato caos urbano di Baires, zeppo di file di pensionati davanti agli uffici del Pami (l’Inps argentino,ndr) e cortei di gente infuriata contro il governo. Molti ironizzano sulle slanciate danzatrici del Colón che, indossati bianchi tutù, hanno preso a ballare davanti ai passanti sorpresi, che rallentano per alcuni minuti il loro frenetico tran tran pedatorio nel centro della capitale. Motivo? Non sono pagate da settimane (motivi di bilancio…) e non possono neanche ritirare il denaro che erano riuscite a mettere da parte, perché il piano di risanamento proposto dall’oramai ex superministro dell’Economia, Domingo Cavallo (che da due giorni è, in pratica, agli arresti domiciliari), non consentiva sino all’altro ieri di prelevare oltre 250 dollari la settimana dai loro conti correnti. Adesso de jure la “legge blocco” è stata annullata, per tentare di frenare la degenerazione di piazza (un po’ tardino no?) ma, de facto, non è cambiato nulla. Eh sì perché, se da un lato sono stati sbloccati i prelievi, dall’altro sono state chiuse tutte le banche del Paese. Per adesso sino a lunedì, poi c’è il Natale e…poi si vedrà. Ma perché erano state imposte misure tanto draconiane sulla libertà di gestione del patrimonio? La spiegazione della Casa Rosada era di voler evitare la fuga di capitali ma, tenuto conto che secondo le statistiche Buenos Aires è la metropoli più cara al mondo dopo Tokio, si capisce come fosse difficile da rispettare la regola del massimo prelievo per chi ha una famiglia e dei figli da mantenere. E perché la gente sia scesa in piazza. In Argentina oggi un caffé costa minimo 4mila lire, un auto usata il doppio che in Italia e, per cenare fuori al ristorante in due, non bastano 200mila lire…inoltre lo stipendio medio di un insegnante elementare non supera i 400 dollari. Chi ce la fa, della classe media, è perché aveva messo da parte un po’ di risparmi in un lontano passato, che sino a ieri stava usando, ma non potendo più ritirare… Le vere ragioni del blocco dei prelievi in realtà stavano (e stanno) nella pervicace volontà di mantenere fisso il tasso di cambio del peso al dollaro, alla parità uno ad uno. Un’assurdità tutta argentina (e dell’Fmi…). Perché nel mentre il Real (la moneta brasiliana) si è svalutata di circa il 200% contro il Peso negli ultimi 3 anni e, chiaramente, oggi il mondo acquista prodotti made in Brazil e le aziende (poche) argentine non se le fila nessuno, avendo i loro prodotti dei prezzi esorbitanti. E la cura (pessima) oggi rischia di uccidere l’ammalato. Quali, infatti, i benefici per la classe media nel non voler svalutare? Praticamente nessuno. Prezzi stile Manhattan, esportazioni in crollo verticale a causa dell’esosità delle stesse e, dulcis in fundo, una disoccupazione in continuo aumento. Le statistiche parlano di un nuovo disoccupato in più ogni quattro minuti e, nell’ex ricca Rosario, la disoccupazione si aggira attorno al 40%…Svalutando si potrebbe dare un impulso alla competitività Paese dell’Argentina (noi italiani lo abbiamo fatto per anni, ora l’Europa lo fa con l’euro…), rimettendo in moto un minimo di ripresa economica. Ma il problema maggiore resta sempre il debito estero che, da anni, il governo di Buenos Aires ha deciso di coprire emettendo prestiti obbligazionari e pagando alcune fasce dei dipendenti pubblici con i “mitici” Patacones, una sorta di cambiali in bianco. I “soldi non soldi”, che il fantasioso ministro Cavallo aveva messo sul mercato per aumentare un po’ la massa monetaria senza creare inflazione né perdere la parità col dollaro, non hanno avuto però molto successo. La gente non li accettava mentre il debito con il Fondo Monetario Internazionale ha continuato a lievitare e, quindi,…si è arrivati al blocco dei prelievi. Quali gli scenari futuri? Continuare così sarà impossibile, tenuto conto che già due giorni fa un dollaro veniva scambiato sul mercato nero a Recoleta (bellissimo quartiere di Buenos Aires, ndr) contro 1,30 pesos. E, nonostante le quotazioni sui listini ufficiali restino di uno ad uno, nessuna banca scambia pesos in dollari… Ma i pasdaran del cambio fisso hanno già pronta la soluzione: dollarizzare l’economia. In una parola fare della pampa una colonia valutaria degli Usa. Idea che però non sembra attecchire molto tra la popolazione per almeno due motivi. Checché se ne dica i compatrioti di Peron e Maradona si sentono molto legati al peso e non vedono di buon occhio la perdita dell’autonomia monetaria. Già molti denunciano l’invadenza yankee nella vita economica del Paese e, di certo, la dollarizzazione scatenerebbe le proteste della stragrande maggioranza. Inoltre allontanerebbe la possibilità di una svalutazione controllata (“dirty floating” in sostituzione del vigente “currency board”) che, invece, all’occupazione farebbe un gran bene. Anche perché acquisterebbe valore il crescente ammontare delle rimesse dall’estero, soprattutto da Italia e Spagna… Il problema sarà vedere se, il passaggio ad una svalutazione soft Bazilian style è ancora possibile. Di certo lo sarebbe stata alcuni mesi fa, quando gli speculatori erano meno concentrati sul peso. Adesso il rischio è di fare la fine del bath tailandese che diede il là alla crisi asiatica del 1997. Se c’è qualcosa che si salva dal caos generale in Argentina oggi, questo è proprio il Terzo Settore, in controtendenza nella disastrata economia argentina. «È vero, siamo in espansione e stiamo ricevendo sempre più richieste d’aiuto ma è sempre più difficile lavorare», spiega Susan Murray, presidente di Missing children Argentina, un’associazione non governativa (missingchildren.org.ar) che, dal 1998, ha aiutato più di 500 famiglie a ritrovare i figli, scappati da casa. «Per capire cosa sia oggi il mio Paese basta raccontare un episodio, reale purtroppo. Spesso chiamiamo i tribunali per i minori. Bene, mi è accaduto di scoprire che alcuni tribunali non hanno neanche più il telefono». Come, scusi? «Non avendo pagato le bollette ai gestori delle linee, gli hanno tolto l’ utenza… In Argentina la crisi è tale che neanche i telefoni dei tribunali sono garantiti», conclude amara la presidente di Missing children Argentina. L’associazione opera via telefono, con un gruppo d’ascolto che accompagna i genitori dal momento della denuncia di scomparsa sino all’ atteso ritrovamento del figlio. Il governo, neanche a dirlo, non aiuta in alcun modo le sei volontarie che gestiscono la sede di Buenos Aires, che si autofinanziano tramite donazioni e che stanno cercando di farsi sponsorizzare da uno dei molti operatori telefonici (Telefónica, ndr) perché, precisa Susan, «le nostre uscite sono quasi tutte in bollette». E lo stato aiuta poco anche Margarita Barrientos, che pure due anni fa si era guadagnata il titolo di Donna dell’anno, superando nel voto popolare e in quello della giuria, duecento candidate tra attrici, scrittrici, giornaliste e top model. Margarita, nominata cittadina onoraria di Buenos Aires, è diventata una celebrità dal 1996 quando dal nulla creò una mensa gigantesca, el Comedor Los Piletones, che dà ogni giorno tre pasti caldi ad oltre 1.400 persone. Cui si sono aggiunti un consultorio medico e un asilo. «Ci passano un po’ di pane, verdura e 15 chili di carne la settimana che, per sfamare migliaia di persone, non è proprio il massimo», dice. «La crisi in cui è precipitato il Paese ha, di fatto, duplicato in un anno le richieste d’aiuti alimentari. È molto triste ,ma cerchiamo di aiutare più gente possibile». Ma i numeri esatti del Terzo settore argentino li dà Alicia Cytrymblum, direttrice della rivista Tercer Sector (tercersector.org.ar) nata nel 1994, oggi il principale media specializzato in solidarietà e settore sociale di tutto il Sudamerica. «In Argentina la situazione non è dura, bensì disastrosa. Ma il Terzo settore sta crescendo perché, a causa della crisi, c’è sempre più gente disoccupata e che ha bisogno d’aiuto. Nel 1995, una ricerca della Johns Hopkins University su 23 Paesi nel mondo chiariva che in Argentina c’erano 50mila associazioni per un giro d’ affari di 12miliardi di dollari. Oggi si stima ci siano 80mila enti non lucrativi, che garantiscono il 5 per cento dell’occupazione totale». Tre sogni che vorrebbe si avverassero? «Primo, che il mio Paese capisca che lo sviluppo non nasce solo dal dar da mangiare alla gente, ma nell’insegnare strategie di vita produttive. Poi, convogliare tutte le conoscenze di cooperative, microcredito e settore mutualistico, nel Terzo settore, per fornire strumenti operativi diffusi. E, infine, tornare ad avere una buona scuola pubblica che favorisca l’uguaglianza. Un quarto desiderio, naturalmente, è che torni presto la calma». Ed è quello che auspichiamo soprattutto noi italiani che, è bene tenerlo a mente, in Argentina abbiamo tutti un parente, essendo oltre il 50% della popolazione argentina in grado di ottenere la cittadinanza italiana per legge…


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