Mondo
Argentina: il de profundis della classe media
In un giorno di festa (el Día del padre) il centro di Baires e' deserto. E le facce della gente valgono piu' di mille analisi macroeconomiche
di Paolo Manzo
Entro nel Caffe’ delle Caravelle, nel centro della peatonal (il corso in cui gli abitanti di Buenos Aires sono soliti “fare le vasche”) e scopro subito di essere l’unico cliente. Nel bar in fronte (Bar Roma) la situazione e’ un po’ piu’ allegra, ma basta un’occhiata per capire il perché: “se acceptan Patacones y Lecop”. Si accettano i soldi non soldi con cui da mesi vengono pagati gli stipendi dei dipendenti pubblici della provincia di Buenos Aires. Al Bar Roma sí, alle Caravelle no.
Chiedo ad Angel il perché: “Il nostro gerente non vuole. Ma se continua cosi’ si dovra’ rassegnare. Da dicembre qui la crisi e’ nera, e anche nel centro piu’ centro della capitale piu’ europea del sudamerica dovremo arrenderci”. Le cause? Per Angel sono semplici: “los políticos acá son todos ladrones. Ellos han fundido el País”. I politici qui sono tutti ladri patentati. Hanno portato il Paese alla rovina. Cerchi di dargli un po’ di solidarieta’, con le parole e con lo sguardo, “la mirada”, ma serve a poco o nulla.
Le facce sono cupe, tristi, rassegnate, in ogni dove la sola musica che suona e’ il tango, cosa che se uno e’ gia’ un po’ triste rischia il suicidio. Gli unici allegri sono i pochi turisti brasiliani e paraguaiani che, adesso, corrono nella patria del peso svalutato per fare shopping. Da non credere sino a qualche anno fa.
Il legame con l’Italia alle Caravelle e’ fortissimo: appena entrati c’e’ un orologio del 1964 che segna le ore di Baires e di Roma. E tanto per non cadere in equivoci sul bancone sta scritto a caratteri cubitali: ESPRESSO ITALIANO.
Esco e cerco un ristorante per mangiarmi un paio di “empanadas”, una sorta di panzerotti un po’ piu’ grandi, ripieni di carne. Buonissimi nella mia memoria di altri viaggi. Ma la difficolta’, per chi viene oggi solo nella capitale argentina, e’ di trovare un ristorante che non sia deserto: mangiare da soli e’ di per sé triste, farlo in un locale deserto e grande (qui tutto e’ grande, anche i saloni dei ristoranti), lo e’ ancor di piu’. Alla fine ce la faccio, entrando in un Comedor (trattoria) dove s’accettano i famosi (e famigerati) Patacones.
Ottimo il servizio, unico problema il pagamento: pago con dieci pesos ma il resto mi viene dato in Patacones. Accenno a una protesta ma il “mozo” (il cameriere) mi fa spallucce. M’infilo in tasca i quattro Patacones e, tutto sommato felice, me ne esco dal Comedor. Gia’, adesso posso dirlo con certezza: anch’io sono entrato full immertion nella “nuova economia argentina”. E senza impegnarmi troppo. Mi ci e’ voluto meno di un giorno…
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