Sostenibilità

Aree verdi al verde Protette o abbandonate?

Aumentano le quote di territorio vincolate, ma i fondi dallo stato sono sempre meno.

di Redazione

Come conservare, tutelare, promuovere i beni naturali? Il problema è a monte, sottolinea il WWF nel libro sui cinque anni del governo Berlusconi in materia di ambiente. L?Italia non ha ancora un Piano nazionale sulla biodiversità, come invece previsto dalla Convenzione internazionale sulla biodiversità, sottoscritta dal nostro Paese. E manca ancora uno strumento previsto dalla stessa legge quadro sulle aree protette (394/1991), la Carta della natura. Ci sono poi luoghi che sono ancora fuori da provvedimenti adeguati di tutela. È il caso della Laguna di Venezia, uno degli ambienti umidi più importanti e famosi non solo in Italia, e del Monte Bianco che, seppure ferito in più parti, rappresenta la cima più alta d?Europa.
Negli ultimi anni l?interesse verso i parchi si è spostato prevalentemente verso gli aspetti ?antropici? (che certo devono essere considerati, ma in ben altro modo), cioè quelli legati alla valorizzazione, ai benefici per le attività di sviluppo, alle produttività del territorio. Insomma, c?è in atto una forte tendenza che vuole vedere i parchi più come aziende che come strumenti di tutela del territorio. Espressione di questa spinta sono le proposte di modifica alla legge quadro sulle aree protette che sia da sinistra che da destra sono state avanzate. La sinistra insiste sull?allargamento della partecipazione nella gestione delle aree protette e, quindi, non ritiene adeguati gli attuali livelli di rappresentanza degli Enti parco. La destra invece mira a ben altra riforma ed esplicitamente dichiara di volere una riclassificazione delle aree protette, processi di consenso preventivi e vincolanti, una differenziazione vincolistica, l?autofinanziamento degli enti gestori.
Grave anche il tentativo di affermare un?idea dei parchi che devono autofinanziarsi: basti guardare il costante taglio del contributo pubblico alle aree protette operato negli ultimi anni con le varie leggi finanziarie. Si è passati dagli oltre 62 milioni del 2001 ai 57,8 del 2005. Tutto ciò è avvenuto nonostante siano stati istituiti otto nuove aree protette nazionali: i parchi dell?Appennino tosco-emiliano, della Sila e dell?Alta Murgia e cinque aree protette marine. Per il 2006 è stato previsto un ulteriore taglio del 6% dei finanziamenti.
Suonano quindi ancora attuali le parole di Fulco Pratesi alla seconda Conferenza nazionale delle aree protette svoltasi a Torino nell?ottobre 2002: «Se per sviluppo dei parchi si intendono gli impianti di risalita e di innevamento artificiale, i grandi insediamenti turistici, l?apertura di nuove strade, l?attività venatoria noi siamo contrari e gli Enti parco che si oppongono fanno solo il loro dovere. Se però per sviluppo si intende la ripresa e la valorizzazione delle attività tradizionali, del pascolo e dell?agricoltura di qualità, dei prodotti tipici, dell?educazione ambientale e del turismo sostenibile, allora i parchi possono essere protagonisti di eccellenza».
Oggi otto enti non hanno presidente, sei sono commissariati, sei non hanno consiglio direttivo, due non sono ancora attivati, quasi tutti gli enti sono privi di direttore regolarmente inquadrato. Questo quadro crea inevitabilmente una situazione di precarietà che certo non giova e non fa decollare come sistema i parchi nazionali del nostro Paese.
Le ruspe tra le vette dello Stelvio
Un parco ferito, quello dello Stelvio. L?immagine accando risale a non molto tempo fa, quando, per far spazio a un nuovo impianto di risalita (in occasione dei Mondiali di sci l?anno scorso a Bormio) è stato asportato un immenso cubo di montagna proprio lungo la cresta del Sobretta, all?interno dei confini del parco nazionale. Le proteste degli ambientalisti, all?epoca, non fermarono le ruspe.

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