Cultura

Arcipelago via Padova

A Milano una delle storiche arterie commerciali è oggi un mosaico di colori, identità e lingue diverse (di Asli Kayabal Zavaglia).

di Redazione

China Market International Food, Cairo Phone, Bazar Oriente di Mr. Wei, Bodega Latina Americana, macelleria el-Azhar, Sultan Kebap… Sono solo alcune delle decine di insegne, inimmaginabili appena quindici anni fa, che si vedono lungo via Padova, a Milano. L?importante arteria commerciale milanese degli anni 60 e 70, che collega piazzale Loreto agli snodi autostradali e non è lontana da corso Buenos Aires (la strada europea con la più alta concentrazione di esercizi commerciali), negli ultimi cinque anni ha vissuto un cambiamento scioccante. Fino a metà anni 90, via Padova non presentava tracce visibili di presenza straniera. Gli esercizi commerciali, diffusi come oggi, avevano un carattere diverso: erano tutti gestiti da italiani e il terziario era scarsamente presente. C?erano panetterie, drogherie, ferramenta, bar, fioristi, macellai. L?italiano non serve Oggi non è più così. La mappa di via Padova è tra le più multiculturali di Milano. Camminando da piazzale Loreto verso l?incrocio con via Giacosa, s?incontra a ogni passo un Phone Center, centri che forniscono un servizio di telefonia economica verso tutti i Paesi d?immigrazione, oltre ai servizi di fax, scannerizzazione e internet. La maggior parte di questi negozi è gestito da egiziani. La presenza della popolazione straniera è evidente in ogni aspetto della via quotidiana. Chi prende l?autobus numero 56, che percorre la strada in su e in giù, coglie immediatamente questa realtà perché la maggior parte dei passeggeri sono stranieri: filippini, cinesi, latino-americani, mediorientali. Per leggere le insegne dei negozi non serve essere italiani, per centinaia di metri. Semmai serve molto di più masticare inglese, francese, arabo. Una rivoluzione a metà tra l?etnico e il commerciale, molto colorata e molto veloce. Straniero sì, ma tranquillo Lo sottolinea anche Francesco Boati, secondo il quale questo cambiamento radicale e repentino ha profondamente trasformato l?identità della via. Lui è uno dei pochi italiani che resiste qui, gestendo una bottega dell?economia solidale. Fra le decine di vetrine straniere, all?altezza di via dei Transiti s?incontra, infatti, quella dell?Altro Mercato che, assieme ad altre 200 botteghe diffuse in Italia, vende i prodotti provenienti da Paesi e culture diversi, nel rispetto del lavoro locale e dei diritti dei produttori. Anche i prodotti di questo negozio, però, di meneghino non hanno niente. Vi si trovano prodotti artigianali come tessuti indiani, borsette latino-americane, maglie fatte a mano sulle Ande, prodotti orientali come the e diverse specie di spezie, cacao africano. Secondo Boati la trasformazione veloce avvenuta in via Padova non ha creato conflitti. “Via Padova è una zona tranquilla”, assicura. “A differenza di altri luoghi della città, come per esempio la Stazione Centrale, anche di notte non è rischiosa. Non ci sono pericoli. La pensano così anche molti italiani che abitano qui”. Come dire: straniero non fa rima con violento. La multiculturalità non produce necessariamente conflitto sociale. Ma c?è un ma. La confusione degli anziani Per Boati a plasmare il futuro di via Padova sarà la capacità di integrazione, che nonostante le apparenze è ancora un miraggio. “Ogni comunità vive all?interno del proprio ambito etnico”, osserva. “Basta dare un?occhiata all?interno di bar o ristoranti per rendersene conto. I latino-americani frequentano i negozi gestiti da latino-americani, gli arabi e i turchi i negozi islamici, i cinesi, in special modo, solo quelli cinesi. Non c?è vero scambio culturale, ricerca di dialogo, desiderio d?incontro. Di fronte a questa situazione, via Padova ha probabilmente bisogno dei mediatori culturali”. Le persone anziane che abitano qui non sanno nulla di mediatori culturali, sono solo preoccupate dalla presenza di molti stranieri. Alcuni di loro si chiedono “Dove va il mio quartiere?” e, disorientati, cercano di capire questa nuova realtà. I giovani sono invece più indifferenti. Alcuni apprezzano la presenza straniera e ritengono che “se non ci sono conflitti, c?è più ricchezza”. La sera come al Cairo Se vi capitasse di percorrere via Padova di sera, notereste ancora più facilmente queste realtà diverse. Potreste incontrare un gruppo di giovani latino-americani che cantano fino alle due di notte le canzoni dei loro Paesi, alcuni lavoratori dei locali arabi che si rilassano, dopo una giornata piena, seduti davanti alle vetrine; giovani africani che su una panchina bevono in solitudine una birra pensando al loro futuro e agli affetti lontani. Potreste ancora, come se foste al Cairo, ascoltare da una macchina che attraversa la strada una canzone popolare egiziana o dialoghi intensi in lingue sconosciute; vedere i visi delle persone che dalle cabine trasparenti dei phone center chiamano i loro familiari. E ancora, insegne e insegne che richiamano realtà lontane, nuova Hong Kong, pasticceria maghrebina, abbigliamento Rong Hua, macelleria Bab-el Salam. È la Milano del terzo millennio: una mescolanza inscindibile di suoni, colori, gusti, profumi che rendono più interessante questo spicchio di mondo.

Asli Kayabal Zavaglia


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